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Ecco come la Cina censura i social network

Nell’era di internet e dei social media, il governo comunista cinese ha intrapreso nuove forme di censura per contrastare possibili azioni collettive “eversive”. Per raggiungere tale obiettivo è necessario il controllo dei flussi di informazione e delle interazioni social che i cittadini intrattengono. Tre studiosi, Gary King, Jennifer Pan e Margaret E. Roberts, hanno pubblicato (sulla rivista scientifica American Political Science Review) uno studio che rivela l’impiego delle autorità cinesi di individui, appartenenti al cosiddetto 50c Party (così chiamato per il guadagno che percepirebbero gli impiegati), i quali avrebbero il compito di distogliere l’attenzione pubblica da argomenti scottanti per il governo e suscettibili di attivare forme di associazionismo dal basso. Gli studiosi hanno svolto una ricerca per individuare gli argomenti trattati dai 50c, la struttura dell’organizzazione e le loro finalità.

1) Dati, struttura e identità.

I tre ricercatori hanno ricavato un archivio degli account appartenenti ai 50c Party reso pubblico dall’hacker “Xialon” nel dicembre 2014. Sono 43.797 i post riconducibili a questi ultimi, i quali hanno intrattenuto una corrispondenza con l’ufficio della propaganda internet di Zhenggong. Una delle principali scoperte del team di ricerca è che i post non sono distribuiti uniformemente o casualmente. Essi sono concentrati in distinti volumi di burst (ammontare di dati inviati nel corso di inter-comunicazioni), finalizzati a raggiungere un certo risultato e un dato target, piuttosto che distribuiti a caso nel vasto mare dei social media. Ciò indicherebbe un alto livello di coordinamento.  Inoltre, le analisi hanno rilevato come la maggior parte di questi post si concentra su  quegli argomenti che sembrerebbero avere l’obiettivo di distrarre l’opinione pubblica da questioni sconvenienti per il governo. Con lo scopo di “promuovere l’unità e la stabilità attraverso la pubblicità positiva”.

2) Contenuti e coordinazione.

I ricercatori hanno suddiviso i post in cinque categorie: “taunting of foreign countries” (paragoni favorevoli tra la Cina e altri Paesi stranieri, solitamente occidentali); “non-argumentative praise and criticism” (elogi e critiche circa temi non controversi, come dibattiti sul debito pubblico o il welfare); “argumentative praise and criticism” (elogi e critiche argomentative su questioni controverse); “factual reporting” (descrizioni dei programmi del governo, iniziative , eventi o piani);  “cheederleading, cioè espressioni di patriottismo, slogan, discussioni circa figure culturali o celebrazioni. A un primo sguardo, su un campione di 200 post dei 43.797 individuati, nessuno rientrava nelle categorie “taunting of foreign countries” o “argumentative praise and criticism”. I post ricavati dagli account hackerati per circa l’80% rientrano nella categoria “cheerleading”.

Questa osservazione si ripete anche nell’analisi dei post fabbricati da account appartenenti al social media Sino Weibo. Dai 498 account sono stati estratti 167.971 post riconducibili al 50c Party. Anche in questo caso, selezionando un campione di 500 post, i contenuti prevalenti erano quelli della categoria “cheerleading”. Perciò, anche questo dato confermerebbe l’idea dei tre ricercatori, e cioè che l’attività del 50c Party sia quella di distogliere l’attenzione pubblica. Inoltre, King e colleghi hanno evidenziato un’ulteriore differenza tra accounts ordinari ed esclusivi; i primi sono persone comuni che postano foto e commenti, e che si inseriscono nel flusso della propaganda di Zhanggong; i secondi sono commenti e opinioni espresse sotto pseudonimi da accounts non verificati per ingannare altri utenti. In entrambi i casi, i post dei 50c hanno lo scopo di riflettere il punto di vista del governo piuttosto che le opinioni della gente comune.

Ordinary Exclusive
Cheerleading 58% 46%
Tauting of foreign countries 10% 4%
Argumentative praise or criticism 10% 4%

Infine, è stato notato un alto livello di coordinazione per ciò che riguarda la frequenza e il contenuto dei post e delle attività dei 50c. Elementi che lo stesso Presidente cinese Xi Jinping ha ritenuto necessari per garantire «la sicurezza di internet». Pertanto, questo tipo di operazione assume una direzione guidata dall’alto, che arriva fino ai vertici del partito e dello Stato.

3) Dimensioni del 50c Party

Gli studiosi hanno stimato l’esistenza di ben 448 milioni di post pubblicati sui canali social a livello nazionale. Circa il 53% di questi è apparso sui siti del governo e i restanti 212 milioni su siti commerciali. Attraverso queste stime si nota lo sforzo profuso dalle autorità nella realizzazione di questi commenti da diffondere in rete. Solo il numero dei post pubblicati da accounts Sino Weibo dovrebbe essere di quasi 80 miliardi all’anno. Inoltre, dei 43.797 post presi in considerazione dal 2013 al 2014, ben 30.215 provengono dal distretto dell’ufficio della propaganda internet di Zhenggong. Ciò sottolinea ulteriormente l’impegno del governo in quest’opera di censura e la diffusione di questi post; i quali sono però concentrati con maggiore intensità in certe aree strategiche.

Alla luce di questi dati, l’attività di distrazione messa in atto da Pechino avrebbe lo scopo di bloccare la diffusione di critiche nei confronti del sistema politico cinese ed evitare azioni collettive che potrebbero prendere forma a partire proprio dall’organizzazione via internet. Ciò spiegherebbe la particolare attenzione dedicata agli argomenti indicati come “cheerleading”. In quest’azione vi sarebbe il tentativo di plasmare l’opinione pubblica in maniera favorevole al governo. Come suggeriscono gli autori, il pericolo che incorrono i regimi autoritari è quello di un’opinione pubblica più informata e potente. Strumenti quali i social media possono mettere in dubbio l’ordine costituito e la percezione positiva circa l’operato del governo. Infine, questa nuova modalità di controllo messa in atto attraverso il 50c Party offre al governo l’ulteriore vantaggio “di controllare attivamente l’opinione pubblica, senza dover censurare più di quanto dovrebbe fare altrimenti”.

 

Antonino Musco

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