“Hillary Clinton ha avuto quasi 3 milioni di voti in più di Donald Trump, quindi il sistema elettorale in Usa non funziona ed è lei la vera vincitrice delle elezioni”. Il messaggio che è uscito dagli ambienti liberal dopo il voto di novembre è questo, soprattutto dopo che, di settimana in settimana, i dati reali dei voti hanno registrato un distacco sempre maggiore a favore di Hillary contro Donald.
Eppure entrambi i contendenti conoscono il sistema di voto in America e tutti gli elettori e gli osservatori sanno che gli Stati Uniti sono una repubblica federale, non popolare. Non ha senso quindi citare il distacco in termini di voti popolari, se negli swing-states Hillary ha perso ovunque, dall’Ohio alla Pennsylvania passando per il Michigan.
Gli swing-states, appunto: è stato ampiamente criticato il loro ruolo decisivo per l’andamento delle elezioni americane. Per la seconda volta nelle ultime cinque elezioni, non diventa presidente il candidato che raccoglie più voti. Una dinamica che passa attraverso il ruolo cruciale due fattori:
- stati chiave, dove la formula winner-takes-all spinge i candidati a concentrare campagna, risorse e attenzioni sugli stati in bilico, trascurando altri meno cruciali;
- la formulazione del collegio elettorale, sbilanciata a favore degli stati meno popolati e a discapito di Texas, California, Florida, New York.
Questo sbilanciamento di natura federale lo si ritrova ancor più accentuato nel Senato, con un livellamento generale a 2 senatori per ogni stato, indipendentemente dalla sua popolazione. Del resto, la natura federale degli Stati Uniti è salvaguardata dalla Costituzione ed è parte fondante della sua nascita e della sua storia.
Ma cosa succederebbe se conservassimo i superdelegates per ogni stato, adottando però un sistema proporzionale? Se volessimo preservare la struttura federale degli Usa, ma passare dal winner-takes-all alla suddivisione dei superdelegati?
Un sistema dove il candidato con più voti non ottiene tutti i super delegati in palio in un singolo stato (55 in California, 38 in Texas, 4 alle Hawaii) ma ne ottiene in proporzione rispetto ai voti ottenuti. Un sistema dove sia ogni stato, sia ogni voto conta, dall’Alabama all’Oregon. E dove bisogna sempre arrivare a 270 delegati per raggiungere la presidenza. I risultati di questo divertissement sarebbero curiosi.
Prima di tutto, i numeri a livello nazionale. Hillary Clinton ha raccolto 65.850.000 voti, corrispondenti al 48% su base federale. Trump ne ha raccolti 62.985.000, il 45,9%. Con il sistema maggioritario attuale, i voti equivalgono a 304 delegati per Trump, a 227 per Clinton.
Se invece adottassimo uno schema proporzionale, la battaglia sarebbe molto più in bilico. Trump strapperebbe infatti 17-18 superdelegati in California, dove ha raggiunto il 31%, ma Clinton ne otterrebbe 14 in Florida, 8 in Michigan, 10 in Pennsylvania. Stati che, come sappiamo, sono costati la presidenza all’ex first lady.
Il sistema elettorale cambia ovviamente tutto. Lo 0,7% in più ottenuto nello stato di Philadelphia ha portato 20 superdelegates a Trump e zero a Clinton. Con qualsiasi formula proporzionale (D’Hondt, Hare/Niemeyer, Sainte-Laguë) la sfida sarebbe finita in parità (10 a testa).
Come sarebbe finita quindi?
Se adottiamo un proporzionale metodo D’Hondt, questi sono i risultati: Clinton 268, Trump 266, Johnson 2, Stein 1, McMullin 1. Nessun candidato raggiunge i 270 superdelegati necessari. E se volessimo includere una “soglia di sbarramento”, una clausola dettata dallo “spirito americano” di modo da includere solo i due partiti maggiori?
Sarebbe finita 270 a 268 per Clinton. Una battaglia vinta da Hillary per un solo super-voto.
Il metodo Hare/Niemeyer premia maggiormente la proporzionalità, ed è per questo che i risultati sono più livellati: Clinton e Trump a 260, Johnson a 15, gli altri a 3. Paradossalmente, se anche qui restringessimo il campo a democratici e repubblicani, sarebbe finita 269-269. Con una vittoria a tavolino di Trump attraverso il voto della Camera dei Rappresentanti a maggioranza repubblicana. In questo caso, con il metodo Hare/Niemeyer sarebbe stata proprio la California a risultare fatale a Hillary Clinton, con 19 supervoti in mano a Trump: a dimostrazione del fatto che il proporzionale cambia tutto, e i voti si pesano in ogni stato, non solo in Ohio.
Il sistema dei superdelegati è strutturato appositamente per un modello winner-takes-all: con il proporzionale ogni elezione si appiattisce e i candidati si avvicinano alla parità. Ma non necessariamente il risultato finale tradirebbe il voto popolare, anzi.
Questo lo scenario che si è verificato nel 2000, e come invece sarebbe andata con i superdelegates suddivisi con il proporzionale.
Il povero Walter Mondale nel 1984 è stato protagonista della peggiore sconfitta della storia elettorale americana. Eppure il suo distacco popolare da Reagan era netto ma non umiliante.
Nel 2012, Obama vinse con 332 superdelegati e il 51,1% di voto popolare, contro il 47,2% di Romney. Avrebbe ovviamente vinto anche con il proporzionale, ma meno nettamente.
Un proporzionale federale è uno schema sconosciuto: il Bundestag tedesco si elegge su base nazionale, nonostante la Germania sia una repubblica federale. Il nostro resta un divertissement, che può aumentare i rimpianti di Gore, di Clinton e dei democratici.
Un articolo che non ha un senso.
Le regole del gioco sono quelle del “winner takes all” ed ovviamente i candidati più intelligenti si giocano le risorse dove serve, non a tappeto.
Prendere quindi i voti di un’elezione diciamo maggioritaria come c’è ora ed analizzarli con sistema proporzionale dimostra che non si capisce assolutamente nulla di analisi politica.
Salve Gabriele, grazie per il feedback.
Tutto vero: i candidati sapevano le regole del gioco e si sarebbero comportati diversamente con regole diverse.
Questo articolo invece è un “gioco senza regole”, se così possiamo definirlo. Nessun intento di ricostruire la storia a colpi di proporzionale, purtroppo o per fortuna.
Io invece trovo giusto l’articolo di Gabriele.
Non mi sembra giusto che una minoranza prenda tutto;
questa è l’essenza del maggioritario (in realtà andrebbe
definito “sistema minoritario” perchè chiunque vinca non ha
mai il consenso della maggioranza).
Sono proporzionalista da sempre.
Pardon, volevo dire l’articolo di Tomaselli.