Lo scorso 22 giugno si spezzava l’attesa per l’esordio di Emmanuel Macron al Consiglio Europeo. Da qui a pochi mesi Angela Merkel dovrebbe (salvo sorprese) essere riconfermata Cancelliere. Theresa May ha davanti a sé due intensi e difficile anni di negoziati sulla Brexit. Ma accanto allo strapotere, fattuale e mediatico, dei soliti noti, altri attori vogliono giocare la parte di comprimari.
Il 4 luglio a Strasburgo, di fronte a un “ridicolo”, poiché semivuoto, Europarlamento – Juncker dixit – il Primo Ministro maltese, Joseph Muscat, presentava un bilancio dei suoi sei mesi di Presidenza del Consiglio dell’UE. Dal caldo del Mediterraneo alle fredde sponde del Baltico, il testimone passa ora a Kersti Kaljulaid, Presidente dell’Estonia, che presiederà il Consiglio fino a dicembre.
Che mesi ci attendono? E chi stabilisce l’agenda dell’UE? A quest’ultima domanda, l’ovvia risposta “la coppia franco-tedesca” coglie solo in parte la complessità del processo decisionale.
Dove ci ha lasciato La Valletta e dove ci porterà Tallin
Come ci spiega in dettaglio POLITICO, fra il marasma della Brexit e la tempesta migratoria, la Presidenza rotante maltese ha tenuto saldo il timone dei 27 ottenendo qualche risultato degno di nota. In particolare, Malta ha portato avanti gli accordi di Parigi sul clima in tema di efficienza energetica, emissione di CO2 ed economia circolare. Piuttosto immobile, invece, su anti-riciclaggio e tassazione – capiremo più avanti il perché.
D’altro canto, la presidenza estone inizia con i migliori auspici: “In Europa l’inverno dello scontento lascerà il passo a una nuova primavera” . Così si è espressa la Presidente Kaljulaid. Vediamo cosa intende in concreto.
L’Estonia punterà soprattutto ad esportare il suo fiore all’occhiello, l’e-government, all’Unione Europea, imprimendo un’accelerazione ai dossier legislativi in materia di digitalizzazione. Questo slancio avrà possibili implicazioni sia in ambiti di sicurezza (cybersecurity, eprivacy, scambio di informazioni fra polizie e controllo doganale) che in ambiti amministrativi (digitalizzazione della pubblica amministrazione) e commerciali (sviluppo e-commerce, superamento geo-blocking).
Novità anche in materia economica dove, oltre a portare avanti il completamento dell’unione bancaria e dell’unione dei mercati dei capitali, la nuova presidenza del Consiglio intende lanciare un sistema transfrontaliero per il calcolo dell’IVA. Fra le priorità anche misure per la lotta all’evasione, rimaste in sordina durante la presidenza maltese. Qui, il programma completo.
Se la signora Kaljulaid riuscirà a sciogliere il ghiaccio dello scontento, bisognerà aspettare sei mesi. Sicuramente, nel primo vertice di Tallin sul tema dei migranti, il clima è stato molto caldo, forse troppo.
L’entusiasmo e la volontà di incidere caratterizzano ogni nuova presidenza rotante. Per chi intravede spinte federaliste nelle parole della Presidente estone, è meglio non farsi illusioni: la Presidenza rotante del Consiglio è soprattutto una vetrina. L’abilità di guidare il dibattito, di prendere decisioni e di ottenere risultati concreti riflette l’autorevolezza di un paese. In altre parole, ogni paese che ricopre quella carica vuole, prima di tutto, “fare cose” per dimostrare di valere.
Quindi i “piccoli” contano?
Quanto letto finora offre un’idea sul ruolo della Presidenza del Consiglio dell’UE, indipendentemente dal paese che la detiene: impostare l’agenda legislativa, ergo accelerare o rallentare il processo legislativo su specifici dossier e lanciarne di nuovi. Ricordiamo, come detto in un nostro precedente articolo, che il Consiglio può considerarsi come la camera alta, rappresentativa degli stati membri, di un sistema semi-presidenziale.
Per il resto, vale il sistema di voto a maggioranza qualificata o doppia maggioranza. Come suggerisce il nome, questa maggioranza si ottiene a due condizioni: che voti a favore il 55% degli stati membri (16 su 28) e che gli stati favorevoli rappresentino insieme almeno il 65% della popolazione totale dell’UE. Inoltre, al fine di bilanciare il peso fra “grandi e piccoli”, è stata introdotta la minoranza di blocco: le decisioni cioè possono essere bocciate se c’è l’opposizione di almeno 4 stati membri che rappresentino almeno il 35% della popolazione.
Questo sistema di voto favorisce i piccoli o i grandi paesi? Siamo sul filo. Si può dire che, più che avvantaggiare i piccoli, questo sistema toglie un po’ di peso ai grandi paesi. Facciamo degli esempi: da un lato, una coalizione composta da Germania, Francia e Italia, pur rappresentando più del 40% della popolazione, non costituisce una minoranza di blocco. Dall’altro lato, non formano una minoranza di blocco neanche tutti i 10 paesi entrati nell’UE nel 2004 (14% della popolazione totale). Uscendo dalla logica piccoli vs grandi: nemmeno un’ipotetica “alleanza mediterranea” composta da Italia, Spagna, Grecia, Portogallo e Cipro (25% della popolazione totale) raggiungerebbe il quorum necessario a bloccare. Se avete tempo da perdere e volete provare altri esperimenti, sul sito ufficiale del Consiglio potete giocare con il simulatore di voto.
Per le grandi scelte, sono i “grandi” a decidere
Ora proviamo a relativizzare. I piccoli paesi contano nel processo legislativo, sui singoli dossier e su specifici emendamenti – a maggior ragione quando ricoprono la presidenza – e, soprattutto, sulle materie in cui si decide all’unanimità. In questi ultimi casi, assumono un peso sproporzionato. Ma per le grandi manovre e le direzioni da intraprendere, in altre parole per le scelte esistenziali dell’Unione, sono i “grandi” che contano.
A proposito di scelte esistenziali: la Commissione ha pubblicato, a marzo di quest’anno, un libro bianco per il futuro dell’Europa. In esso, vengono proposti cinque diversi scenari per riformare l’Unione Europea, in un continuum che va da una proposta minimalista ad un più federalista. Oltre alla difesa, per il quale l’Unione sembra già muovere i primi passi dopo il Consiglio Europeo di giugno, l’altro tema caldo è il futuro dell’Eurozona. All’interno del libro sono proposte anche riforme dei Trattati per le quali sia Merkel che Macron si sono detti possibilisti, pur rimanendo vaghi sui contenuti.
Il libro bianco è attualmente in discussione all’Europarlamento, ma per conoscere la strada da intraprendere bisognerà attendere il parere degli stati membri. Questi ultimi si esprimeranno nel Consiglio Europeo del 14 e 15 dicembre. Questa volta la previsione è scontata: la coppia Macron-Merkel sarà determinante.
Cosa pensa la “piazza” del futuro dell’Europa?
Finora, abbiamo respirato l’aria che tira all’interno dei palazzi. Adesso, proviamo a far due passi fuori per sentire il rumore della piazza sul futuro dell’Europa, in particolare della zona euro. Alla domanda “in quale misura sono necessarie riforme dell’Eurozona?” queste sono le risposte:
Più del 40% dei cittadini europei crede che delle riforme siano necessarie e urgenti. In Italia questa percentuale raggiunge quasi il 60%. Cifre che parlano di una consistente insoddisfazione verso il funzionamento dell’Eurozona, che però – allo stesso tempo – guarda a delle soluzioni nel segno delle riforme, più che nel ritorno ai sistemi nazionali. Lo conferma anche il fatto che la percentuale di chi ritiene queste riforme urgenti schizza al 61% tra chi ha un’alta conoscenza degli affari europei. I prossimi mesi (e anni) ci diranno se la politica seguirà la strada delle riforme o se, come 100 anni fa, cederà alle forze nazionaliste (ieri irredentiste, oggi euroscettiche).
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