Urne aperte in Catalogna, la regione spagnola con capitale Barcellona, chiamata a rinnovare il proprio governo regionale. Non si tratta di un’elezione come le altre: il governo guidato da Carles Puigdemont è stato ufficialmente sciolto dal governo centrale spagnolo di Mariano Rajoy, che ha invocato il famoso articolo 155 e indetto nuove elezioni a seguito della dichiarazione di indipendenza dello scorso 27 ottobre da parte del parlamento catalano.
La dichiarazione d’indipendenza era arrivata in seguito a un contestatissimo referendum, bollato come “illegale” dal governo spagnolo (era stato indetto dal governo catalano con una votazione a maggioranza assoluta, mentre ne era richiesta una qualificata) e svoltosi nel caos, con tensioni tra la polizia locale catalana e quella nazionale spagnola. Di fatto, quel referendum è stato privo di effetti giuridici, ma gli effetti politici sono stati rilevanti: Puigdemont è tuttora in Belgio, dove si è recato per sfuggire alla giustizia spagnola che lo ha accusato di sedizione. Queste elezioni si presentano quindi come l’occasione per una “rivincita” degli autonomisti, che puntano a riottenere la maggioranza dei voti popolari per legittimare la loro richiesta di indipendenza dallo stato spagnolo.
Gli schieramenti
Junts x Catalunya è la coalizione guidata da Puigdemont, costituita dagli indipendentisti più “agguerriti”. Nel parlamento uscente era il gruppo più numeroso, ora i sondaggi gli assegnano tra il 17 e il 20% dei consensi.
ERC è invece la coalizione degli indipendentisti di sinistra, che alle precedenti elezioni si presentarono insieme a Puigdemont e avevano sostenuto la sua presidenza. Vengono stimati tra il 20 e il 23%.
Ciudadanos potrebbe essere la sorpresa di queste elezioni: partito di ispirazione liberale contrario all’indipendenza, è guidato dalla giovane Ines Arrimadas e secondo i sondaggi potrebbe essere la prima forza (21-24%).
Ci sono poi i socialisti del PSOE e i popolari del PP, i due maggiori partiti nazionali che però in Catalogna hanno un peso elettorale minore. Complessivamente potrebbero ottenere intorno al 20% dei voti (15 i primi, 5 i secondi).
Anche l’altro grande movimento nazionale, Podemos, ha una sua “versione locale”, Catalunya en Comu, favorevole a una maggiore autonomia ma non all’indipendenza unilaterale. Potrebbe ottenere tra il 6 e il 9% dei voti.
L’ultima incognita riguarda CUP, indipendentisti di sinistra ed euro-scettici (5-8%) che hanno appoggiato la coalizione di Puigdemont e il referendum. Potrebbero essere anche questa volta decisivi per raggiungere una maggioranza indipendentista.
Il sistema elettorale
Nonostante la frammentazione che abbiamo appena visto, il sistema elettorale è tra quelli che maggiormente premiano i partiti maggiori a scapito di quelli piccoli. Si tratta infatti di un proporzionale con sbarramento al 3% ma con formula di ripartizione d’Hondt che si applica a livello di circoscrizione (e non dell’intera regione). La soglia del 3% quindi è valida di fatto solo nella circoscrizione di Barcellona (che mette in palio ben 85 dei 135 seggi totali), mentre nelle altre tre circoscrizioni il minor numero di seggi da assegnare (15, 17 e 18) rende la soglia di sbarramento “effettiva” ben più alta, anche oltre il 5%.
I risultati
Le urne chiuderanno alle 20. Il dato “politico” da tenere d’occhio è: riusciranno gli indipendentisti (JxC, ERC e CUP) a superare i 68 seggi necessari? Oppure ci riusciranno i partiti “nazionali” (C’s, PSOE, PP e Podemos)? E quale sarà la prima lista/coalizione?
Seguiremo i risultati sul nostro canale Twitter con una delle nostre maratone!
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