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Quanto sono renziani i nuovi gruppi parlamentari del PD?

La prima direzione del PD, con l’approvazione della mozione del vice-segretario Martina, ha scongiurato la possibilità di un congresso immediato. Le voci di spaccature e tensioni all’interno del Partito Democratico continuano, però, a susseguirsi. Per capire quanti parlamentari continueranno a seguire la linea di Renzi e quanti invece potrebbero prendere decisioni diverse vediamo come si comporranno i nuovi gruppi parlamentari dei democratici.

Usando come criterio di classificazione gli schieramenti emersi al congresso dello scorso anno si può notare come siano state quasi azzerate le minoranze interne. A Montecitorio (dove il PD conta 112 eletti) ben 63 sostenitori del segretario uscente sono stati confermati, e a questi si aggiungono 23 neo-eletti che possono essere catalogati come a lui vicini. Più di tre quarti del gruppo parlamentare sono quindi composti da deputati collocabili in quest’area.

Questa situazione non si discosta molto da quella del Senato, dove il PD ha 54 eletti, si contano 32 riconferme e 11 new entry collocabili nell’area Renzi, che arriva a contare 4 senatori su 5.

Come già si immaginava dopo la presentazione delle liste, le correnti più penalizzate sono quindi i Dems di Andrea Orlando e Fronte Democratico di Michele Emiliano. Il ministro della Giustizia uscente può contare su 9 fedelissimi alla Camera e solo 3 al Senato, mentre la delegazione del governatore pugliese, guidata da Francesco Boccia, si ferma addirittura a 3 deputati e alla sola neo-senatrice Assuntela Messina a Palazzo Madama.

Nonostante ciò Matteo Renzi non può dormire sonni tranquilli. La mozione Renzi-Martina, oltre che dai cosiddetti “renziani di ferro”, è stata sostenuta, al congresso dello scorso anno, anche da altre correnti del partito. È il caso di AreaDem, guidata dal ministro Dario Franceschini, che può contare su un peso specifico non indifferente grazie ad alcuni deputati e, soprattutto, almeno una decina di senatori. Una manciata di parlamentari fa, invece, riferimento al Ministro dell’agricoltura e vicesegretario “reggente” Maurizio Martina e alla sua corrente Sinistra è cambiamento.

Le correnti interne al Partito Democratico sono molto fluide e quindi difficili da censire: è perciò probabile che queste valutazioni, basate solo su appartenenze certe, si rivelino in realtà stime al ribasso.

Inoltre alcuni importanti esponenti del governo uscente, come il premier Paolo Gentiloni, l’inquilino del Viminale Marco Minniti e il ministro Graziano Del Rio, pur non essendo ascrivibili ufficialmente ad alcuna corrente, stanno raccogliendo sempre più consenso attorno alle loro figure a scapito – naturalmente – di Renzi.

In questa situazione, caratterizzata da grande incertezza, risulta arduo capire quanti e quali sono i parlamentari di cui Matteo Renzi può fidarsi ciecamente. La cerchia di fedelissimi certi si restringe quindi ad una ventina di deputati ed una decina di senatori, tra i quali compaiono i nomi di Maria Elena Boschi, Luca Lotti, Matteo Orfini, Francesco Bonifazi e il professore bocconiano Tommaso Nannicini.

D’altra parte è inverosimile che tutti gli altri parlamentari, tra cui diversi neo-eletti fortemente voluti dall’ex-sindaco di Firenze nelle liste elettorali, voltino le spalle al segretario dimissionario. È quindi, verosimilmente, da escludere uno strappo tale da permettere l’accordo di governo, da alcuni ipotizzato nei giorni successi al voto, tra i democratici e il Movimento 5 Stelle vista la forte opposizione di Renzi. 

La situazione in largo del Nazareno risulta, nondimeno, di difficile interpretazione ed in continuo divenire. Gli scenari possibili sono di gran lunga in numero maggiore a quelli da escludere, ma già con gli imminenti voti per l’elezione dei presidenti delle camere (cioè da venerdì) il quadro potrebbe risultare molto più chiaro.


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Federico Radice

1 commento

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  • Le buone maniere sono sempre di moda. Così l’affermazione fatta davanti alle telecamere da un esponete del partito non ha di certo giovato al partito, “hai la faccia come…” Manca una cultura di fondo siccome si fanno andare avanti persone con un grado d’istruzione inferiore. Per il politico essere laureato dovrebbe essere una condicio sine qua non.
    Mazza dottor Terenzio