In dieci anni di presenza del PD alle elezioni nazionali (dal 2008 ad oggi) il centrosinistra è passato attraverso molte sconfitte (o “non vittorie”) e una sola grande vittoria, quella delle Europee del 2014.
Un po’ poco, in termini di risultati. Troppo poco se si considera che il PD era nato con l’ambizione di unificare le anime del centrosinistra e consolidare il bipolarismo, e che invece ha abituato i suoi elettori a liti e scissioni e non ha saputo prevenire l’affermazione del Movimento 5 Stelle e il conseguente tripolarismo – ormai divenuto strutturale.
Nel 2008 il PD guidato da Walter Veltroni perse le elezioni politiche, conquistando comunque un risultato significativo: il 33,2% alla Camera con oltre 12 milioni di voti, e il 33,7% al Senato, diventando primo partito in 7 regioni.
Eppure, nonostante si trattasse di una sconfitta, appare oggi come un successo irripetibile se confrontato con il dato dello scorso 4 marzo. Il 18,7% ottenuto dal PD alla Camera si traduce in poco più di 6 milioni di voti, cioè in una perdita pari alla metà esatta dell’elettorato rispetto al 2008, ma anche in un crollo di 5 milioni di voti rispetto alle Europee del 2014 . Il “cappotto” registrato in quell’occasione (PD primo partito in tutte le regioni) si è ridotto oggi ad una striminzita vittoria nella sola Toscana. Non solo: per la prima volta nella storia della Repubblica il centrosinistra non è la coalizione (o il partito, se torniamo ai tempi del PCI) più votato in Emilia Romagna, ossia nell’unica regione che aveva sempre guardato a sinistra, persino nella storica vittoria a valanga della DC nel 1958 (su questo torneremo con un approfondimento ad hoc). La geografia della débâcle del PD è stata già analizzata in dettaglio qui.
Concentriamoci ora su ciò che è accaduto invece a sinistra del Partito Democratico nel corso di questi 10 anni. Partiamo dando un’occhiata a questo grafico:
Noi dobbiamo continuare a scinderci sempre di più e creare migliaia di microscopici partiti comunisti, indistinguibili uno dall’altro, che cambiano continuamente nome e forma!
Così diceva Corrado Guzzanti in una sua fortunata imitazione di Fausto Bertinotti. E in effetti non sembra sia andato poi così lontano dal descrivere ciò che si è verificato. Alle Politiche 2008, marginalizzati dalla scelta della “corsa solitaria” del PD veltroniano, Rifondazione Comunista, Partito dei Comunisti Italiani, Verdi e Sinistra Democratica (esponenti dei DS che non avevano accettato di confluire nel PD) diedero vita alla lista unitaria chiamata Sinistra Arcobaleno, sperando così di superare facilmente la soglia di sbarramento, allora fissata al 4% alla Camera.
Il neonato rassemblement si fermò invece a un timido 3,1%, lasciando la sinistra radicale (che solo due anni prima, alle Politiche 2006, aveva superato il 10%) fuori dal Parlamento per la prima volta nella storia repubblicana.
Negli anni successivi, i due soggetti si andarono consolidando: da un lato la Federazione della Sinistra guidata da Ferrero, con un’impronta sempre più intransigente nei confronti del PD e poco incline ad alleanze di governo; dall’altro SEL di Nichi Vendola, che anche grazie al nuovo corso – meno “isolazionista” – del PD ora guidato da Pierluigi Bersani, divenne stabilmente un alleato di quest’ultimo, partecipando (talvolta con successo) alle primarie di coalizione del centrosinistra: a cominciare da quelle per la Regione Puglia nel 2010 (vinte da Vendola stesso) e poi alle Amministrative del 2011, dove riuscì a far eleggere a sindaco dei suoi esponenti a in ben tre grandi città italiane: Giuliano Pisapia a Milano, Massimo Zedda a Cagliari, e Andrea Doria a Genova. Vendola e il suo partito si ritagliarono un ruolo di primo piano nella politica nazionale in occasione dei referendum che si tennero quello stesso anno, in particolare quelli su nucleare e acqua pubblica. In quel periodo SEL era accreditata di un buon 7-8% nei sondaggi.
Nel 2012, Nichi Vendola partecipò alle elezioni primarie per la scelta del candidato premier della coalizione di centrosinistra (Italia Bene Comune), concludendo però terzo alle spalle di Bersani e Renzi (il cui duello aveva monopolizzato la competizione) e ritrovandosi costretto a ridimensionare le sue ambizioni di una leadership nazionale. Al di fuori della coalizione, l’ex magistrato Antonio Ingroia fondò Rivoluzione Civile, un nuovo cartello elettorale che metteva insieme diversi soggetti di sinistra, tra cui FDS e l’IDV di Antonio Di Pietro (nel frattempo escluso dalla coalizione dal PD, ufficialmente a causa della sua forte opposizione al governo Monti).
Rivoluzione Civile fu un altro fallimento, ottenendo solo il 2,2% dei consensi e non riuscendo a superare la soglia di sbarramento. Al contrario, SEL usufruì delle soglie “scontate” previste dalla legge elettorale per le liste coalizzate, e con il 3,2% riuscì ad eleggere ben 42 parlamentari. In un quadro politico rivoluzionato dallo sbriciolamento del bipolarismo, le Politiche 2013 certificarono l’inversione dei rapporti di forza interni alla sinistra, a vantaggio delle formazioni più vicine al PD.
Contrario ai governi di larghe intese guidati da Enrico Letta e poi da Matteo Renzi, Vendola condusse SEL a riavvicinarsi agli altri soggetti di sinistra, con cui alle Europee 2014 formarono una lista unica (L’Altra Europa) in appoggio al candidato della sinistra europea, il premier greco Alexis Tsipras. La nuova lista della sinistra ottenne 1,1 milioni di voti, superando – di un soffio – il 4% e riuscendo finalmente ad eleggere tre eurodeputati, nell’anno del trionfo del PD al 40,8%.
Proprio dai dissidi interni al Partito Democratico tra il segretario Renzi si verificano diverse scissioni importanti: dapprima con l’uscita di Stefano Fassina, ex responsabile economico del PD bersaniano, che approda in Sinistra Italiana (gruppo parlamentare nato dall’unione di SEL e dei vari dissidenti/espulsi ex PD e M5S); poi con l’uscita di Pippo Civati, candidato alla segreteria del PD sconfitto da Renzi nel 2013, che fonda Possibile; infine con la nascita di Articolo 1-Movimento Democratico e Progressista , in cui confluiscono molti esponenti della “vecchia guardia” del PD (come lo stesso Bersani, ma anche Massimo D’Alema e Roberto Speranza) all’indomani del referendum costituzionale del 4 dicembre 2016 che segna la fine del governo Renzi.
Sono questi i tre soggetti che nel dicembre 2017, a tre mesi dalle elezioni, danno vita alla lista Liberi e Uguali, scegliendo come proprio leader Pietro Grasso, presidente uscente del Senato. Nel frattempo, Rifondazione Comunista, insieme ad altre sigle minori di sinistra e ad alcuni centri sociali, forma la lista Potere al Popolo!, alternativa sia al centrosinistra di impronta renziana sia a quella che hanno definito “sinistra moderata” di Liberi ed Uguali.
Qui la storia si fa cronaca: entrambe le formazioni hanno conseguito risultati piuttosto deludenti alle Politiche dello scorso 4 marzo, fermandosi al 3,4% (LeU) e all’1,1% (PaP). Pur eleggendo esponenti propri sia alla Camera che al Senato, LeU non avrà i numeri per formare gruppi parlamentari autonomi né a Montecitorio (dove avrà 14 deputati e ne occorreranno – salvo deroghe – 20) né a Palazzo Madama (dove il numero minimo è di 10 senatori, ma LeU ne ha ottenuti solo 4).
In conclusione: in dieci anni la sinistra ha visto nascere almeno altrettante sigle tra scissioni, nuovi partiti e cartelli elettorali, senza però riuscire mai davvero a invertire il trend calante dei suoi consensi. Si può dire che si sia fatto di tutto per realizzare la profezia del Bertinotti di Guzzanti:
Scindetevi e moltiplicatevi, fino a diventare microrganismi politici nemmeno rilevabili dall’elettorato. La sinistra deve tornare ad essere un mistero. Sei tu che devi cercarla, ma sparisce continuamente: oggi siamo qui, domani chi lo sa!
(ha collaborato Matteo Senatore)
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Un grillo parlante, sboccato e triviale, ha innescato una protesta di piazza che in breve ha portato nelle camere lezzi e discorsi da taverna. Poi c’è pelle scura che vuol fare il presidente senza conoscere bene l’italiano “…noi volessimo fare..” (si veda youtube meloni vs,…). Questi sono i guasti fatti dal grillo parlante, il quale a sua volta scambia il condizionale con il congiuntivo (dai suoi comizi)! Inoltre il reddito di cittadinanza creerebbe soltanto inflazione siccome non si può stampare denaro oltre il capitale che un paese è in grado di produrre con il lavoro. Nemmeno questo sanno! L’informazione deve trattare anche di questi temi altrimenti si finisce che si mandano avanti persone non idonee a rappresentare tutti noi. Così le Favole (come la Storia) insegnano che tutte le proteste popolari hanno sempre dato risultati fallimentari.
Mazza dottor Terenzio