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Premier uscenti ed elezioni: un rapporto complicato

In Italia il rapporto tra presidenti del Consiglio uscenti ed elezioni non è mai stato particolarmente felice, almeno per quello che riguarda la cosiddetta Seconda Repubblica, quando la scomparsa dei vecchi partiti ha determinato l’inizio di una costante alternanza di governo fra i partiti e le coalizioni.

Da allora, mai il premier in carica al momento delle elezioni è stato in grado di riottenere l’incarico dal Presidente della Repubblica dopo il voto.

le prime elezioni con il Mattarellum (il nuovo sistema elettorale maggioritario che sostituiva il vecchio proporzionale puro) furono vinte da Silvio Berlusconi che trascinò il Polo delle Libertà e del Buon Governo ad un inaspettato successo contro il PDS e i Progressisti di Achille Occhetto. La sua permanenza a Palazzo Chigi fu però breve: la Lega Nord di Umberto Bossi fece cadere il governo dopo pochi mesi e Berlusconi si dovette dimettere lasciando spazio al governo tecnico di Lamberto Dini sostenuto da PDS, Lega e centristi e che di fatto traghettò il paese fino alle elezioni politiche del 21 aprile 1996. Dini scelse di partecipare a quel voto con una sua lista, Rinnovamento Italiano, che si alleò con il PDS all’interno dell’Ulivo, la nuova grande coalizione di centrosinistra voluta da Romano Prodi.

L’Ulivo vinse le elezioni e la Lista Dini ottenne il 4,34% alla Camera con poco più di un milione e mezzo di voti, eleggendo 26 deputati e 11 senatori. Nel nuovo governo Prodi, Dini divenne ministro degli Esteri. La legislatura però ebbe vita molto travagliata e in 5 anni cambiarono ben tre Presidenti del Consiglio. Prima il segretario del PDS Massimo D’Alema subentrò a Prodi dopo la sfiducia provocata da Fausto Bertinotti di Rifondazione Comunista, poi lo stesso D’Alema si dimise in seguito alla sconfitta alle Regionali del 2000 e cedette il posto per l’ultimo anno di legislatura al ministro del Tesoro Giuliano Amato. Anche in questo caso dunque la coalizione che aveva vinto le elezioni precedenti si presentò al voto una situazione di crisi, mentre il centrodestra era in piena ripresa, con Berlusconi che era tornato a guidare un’ampia coalizione (comprendente Forza Italia, Alleanza Nazionale, CCD-CDU, Lega Nord e Nuovo PSI) e che prese il nome di Casa delle Libertà.

Nessuna delle tre figure che aveva ricoperto la carica di premier nella quinquennio 1996-2001 si candidò a guidare l’area di centrosinistra (Prodi già dal marzo 1999 era stato nominato Presidente della Commissione europea) che scelse così di affidarsi al sindaco di Roma Francesco Rutelli. Alla fine l’Ulivo perse nettamente le elezioni: Amato fu eletto al Senato nel collegio di Grosseto mentre D’Alema venne eletto alla Camera dei Deputati ottenendo nel collegio di Gallipoli il 51,5% dei consensi. Il Governo Berlusconi II, grazie al travolgente successo del 2001 poté contare su una solida maggioranza in entrambi i rami del parlamento e divenne il più longevo della storia repubblicana, battendo il primato detenuto fino a quel momento dal primo governo Craxi e restando in carica per ben 1412 giorni. Dopo la sconfitta alle Regionali 2005 Berlusconi si dimise e ottenne un reincarico con cui condusse il paese alla fine della XIV legislatura.

Le elezioni politiche del 2006 furono le prime della Seconda Repubblica in cui il premier in carica si ricandidò direttamente a Palazzo Chigi: inoltre, la nuova legge elettorale (Porcellum) prevedeva espressamente l’indicazione del “capo della coalizione” al momento del deposito delle candidature. L’avversario di Berlusconi fu ancora una volta Romano Prodi che, dopo aver vinto le prime ‘primarie’ nazionali avvenute in Italia, si trovò a capo dell’Unione, una vastissima coalizione composta addirittura da 19 liste. Tutti i sondaggi davano il centrosinistra avanti di 4-5 punti percentuali, ma clamorosamente la Casa delle Libertà e Berlusconi sfiorarono la vittoria, perdendo alla Camera per appena 24.755 voti (su oltre 38 milioni di votanti).

Anche questa volta tuttavia la risicata maggioranza del governo Prodi non permise al ‘Professore’ di governare a lungo e già nel 2008 l’Italia andò ad elezioni anticipate in seguito alla caduta del suo secondo governo dopo il ritiro della fiducia al Senato da parte dell’Udeur dell’allora ministro della Giustizia Clemente Mastella. Anche in questo caso Prodi, premier uscente, non si ricandidò nel neonato Partito Democratico, che schierò il segretario Walter Veltroni come sfidante di Berlusconi. La nascita del Partito Democratico a sinistra spinse anche gli avversari ad unirsi in un unico movimento: Forza Italia e Alleanza Nazionale diedero vita al Popolo della Libertà che, alleato con la Lega Nord e l’MpA, vinse nettamente le elezioni. Il centrodestra superò alla Camera i 17 milioni di voti e il PdL ne convogliò su di sé oltre 13 milioni e mezzo, record tutt’ora insuperato nella Seconda Repubblica per un singolo partito. Il governo Berlusconi IV poté godere su un’ampia maggioranza in parlamento e divenne il 2° più lungo della storia della Repubblica: ma non riuscì comunque a giungere alla fine della legislatura.

Nel novembre 2011 infatti, in seguito alla grave crisi economica che aveva colpito l’Italia, Silvio Berlusconi si dimise lasciando spazio ad un governo tecnico guidato dall’economista Mario Monti. A sorpresa, dopo aver inizialmente dichiarato di non volersi candidare, il 28 dicembre 2012 il premier insediatosi come ‘tecnico’ decise di competere nelle imminenti elezioni politiche del 2013 alla guida della coalizione centrista Con Monti per l’Italia che comprendeva l’Unione di Centro, Futuro e Libertà (guidata da Gianfranco Fini) e la lista Scelta Civica, da lui stesso fondata e presieduta. Le elezioni del 24 e 25 febbraio 2013 presentarono così uno scenario inedito per la Seconda Repubblica: entrambe le figure che avevano servito a Palazzo Chigi nella legislatura precedente infatti si presentarono al voto come candidati alla presidenza del Consiglio, peraltro da avversari, con Berlusconi nuovamente alla guida della coalizione dei centrodestra. Monti però ottenne un risultato modesto fermandosi all’8,3% con il suo partito e non andando oltre il 10,5% come coalizione.

A queste elezioni del 2018 si è arrivati infine dopo un’altra legislatura travagliata, con 3 diversi premier che si sono alternati al governo e una nuova legge elettorale, il Rosatellum 2.0, a sparigliare ulteriormente le carte. In questo caso gli ultimi due presidenti in carica, Renzi e Gentiloni, si sono entrambi candidati nel PD, venendo eletti nei collegi uninominali di Firenze Senato (il primo) e di Roma-Trionfale alla Camera (il secondo). Ma nel contesto di una sconfitta netta e senza appello per il PD e di un trionfo per i due partiti che più duramente di tutti erano stati all’opposizione: il Movimento 5 Stelle e la Lega. Dopo l’elezione dei presidenti delle Camere, Gentiloni si è infine dimesso, e le speranze che possa ottenere un reincarico sono pressoché nulle.

La “maledizione” del presidente del Consiglio uscente ha colpito ancora.

 


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Matteo Senatore

Sono un ragazzo torinese laureato in Comunicazione Pubblica e Politica. Gran chiacchierone, da sempre amante dello sport, delle campagne elettorali e del cinema. Mi illudo ancora che la legge elettorale debba rappresentare le regole del gioco più profonde di un paese.

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