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L’importanza del ‘rush finale’ – Le elezioni si vincono in volata

Più di un terzo degli elettori. Per altri, quasi metà.

Gli ultimi sondaggi pubblicati prima del black out, il 16 febbraio, evidenziavano un dato fondamentale per capire questa tornata elettorale: a quindici giorni dal voto, una quota impressionante degli italiani si dichiarava indecisa. Il 45% degli elettori per Demos & Pi; ma anche il 33,6% per Euromedia e il 39,2% per Tecné non aveva ancora deciso se votare e – soprattutto – per chi votare.

Questi numeri non devono impressionare troppo: comprendono anche una quota importante di italiani orientati verso l’astensione (alla fine gli astenuti sono stati quasi il 28%, ndr). Tuttavia, anche al netto di quella cifra, è evidente che nelle ultime due settimane la campagna elettorale diventa decisiva. Sono i voti che si spostano nell’ultima settimana a fare la differenza.

Per questo, il rush finale di una campagna elettorale è, assieme all’emersione della candidatura, il momento più delicato, da affrontare con attenzione certosina.

Berlusconi non se l’è mai lasciato sfuggire, e ha di volta in volta alternato annunci spettacolari (“Avete capito bene: aboliremo l’Ici”, in diretta televisiva nell’ultimo confronto contro Prodi senza possibilità di replica) a grandi manifestazioni di piazza in cui lanciare messaggi forti. Questa volta, invece, è arrivato all’ultima fase di campagna leggermente scarico. Consapevole di ciò, ha tentato nell’ultimo momento utile – la serata del 2 marzo – di lanciare ufficialmente la candidatura a premier di Antonio Tajani. Ma è stata una mossa tardiva, che non ha catturato l’attenzione mediatica, e che anzi ha evidenziato la sua debolezza in questo momento storico.

Molti leader hanno mostrato una accelerazione nella comunicazione delle ultime settimane prima del voto, in primis Salvini, con una campagna prevalentemente di Get Out The Vote (ovvero orientata alla mobilitazione).

Tuttavia, gli unici ad aver messo in pratica una strategia ad hoc per costruire un rush finale sono stati i 5 Stelle. L’ideazione e la gestione dell’annuncio dei ministri nell’ultima settimana di campagna sono stati geniali per diversi motivi:

  1. Si tratta di un’idea originale: in pochi l’hanno portata fino in fondo prima di Di Maio.
  2. L’annuncio a step ha permesso a Di Maio e ai 5 Stelle di dominare l’agenda mediatica e le prime pagine dei giornali per tutta la settimana: ogni giorno Di Maio annunciava due nuovi ministri alternando media diversi (social media e programmi televisivi a rotazione), assicurandosi l’apertura dei quotidiani del giorno successivo.
  3. Questa iniziativa ha posizionato Di Maio come leader libero, indipendente, autonomo, in grado di scegliere la propria squadra di governo liberamente, senza condizionamenti o trattative da manuale Cencelli, in modo da contrapporsi alla tanto vituperata “vecchia politica”.
  4. Il profilo istituzionale e generalmente alto dei ministri indicati ha rafforzato il riposizionamento rassicurante dei 5 Stelle, sdoganandone il nuovo ruolo di partito di Governo.

Gli stessi sondaggi citati sopra assegnavano al MoVimento 5 Stelle, a due settimane dal voto, una percentuale intorno al 28%: non è un caso che il risultato finale sia stato molto diverso. Spesso di ciò vengono incolpati i sondaggi. Chi ha però avuto l’occasione di consultare i sondaggi riservati nelle ultime due settimane invece sa, molto semplicemente, che il vento stava cambiando e che i 5 Stelle stavano crescendo in modo forte e netto. E ne erano consapevoli.


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Giovanni Diamanti

Classe 1989, consulente e stratega politico. Co-fondatore e amministratore di Quorum, ha lavorato ad alcune tra le più importanti campagne italiane, tra cui quelle di Debora Serracchiani, Dario Nardella, Nicola Zingaretti, Vincenzo De Luca, Pierfrancesco Majorino, Beppe Sala. In realtà è un ragazzo timido che ama guardarsi la punta delle scarpe. Uomo dalla testa veloce, ha idee (confuse) in ordine sparso - così come i capelli.

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