Il “Rosatellum”, la nuova legge elettorale, prevede che per entrambe le Camere il 64% dei seggi sia eletto con metodo proporzionale e il 36% con collegi uninominali maggioritari a turno unico. Questo ormai è ben noto.
La scheda elettorale, che forse ancora ricorderete, è stata impostata in modo da assomigliare a quella delle elezioni per i comuni superiori nelle regioni a statuto ordinario: nome del candidato all’uninominale in un rettangolo basso e largo (come i candidati sindaco) e, subito sotto, il simbolo della lista (o delle liste) in appoggio a quel candidato. Alla destra di contrassegno, a differenza che nelle schede per le comunali, sono indicati i nomi dei candidati per la quota proporzionale. Un’altra differenza è l’impossibilità di voto disgiunto; consentito, invece, il voto al solo candidato.
Secondo alcuni, le novità introdotte e le diverse modalità con cui si poteva esprimere il voto avrebbero causato un aumento di schede nulle: è stato così? E soprattutto, quanto ha contato il “peso” dei singoli candidati nei collegi uninominali?
Partiamo dal dato relativo alle schede nulle: alle elezioni del 4 marzo 2018 per l’elezione della Camera dei Deputati vi sono state circa 670.000 schede nulle (dato NON ancora ufficiale). Alcune, come sempre del resto, sono certamente state annullate di proposito dagli elettori; ma molte altre lo sono state a causa dell’apposizione di segni sulla scheda non conformi al dettato normativo (nomi sottolineati, cerchi, quadrati ecc).
Sono tante o poche? Per rispondere, guardiamo ciò che è avvenuto nel più recente passato. Alle elezioni del 2013 le schede nulle, con un sistema elettorale molto più intuitivo come il Porcellum, furono 871.780. Alle elezioni Politiche 2008 furono addirittura quasi un milione. Dunque in realtà, nonostante il nuovo sistema elettorale e la possibile confusione che poteva scaturire, le ultime elezioni hanno contato ben 200mila schede nulle in meno rispetto al 2013 e 400mila in meno rispetto al 2008. Per trovare un numero più basso di schede nulle occorre risalire alle Politiche del 1972, anno in cui le schede annullate furono poco più di 500mila.
Certo, guardare ai numeri assoluti potrebbe essere fuorviante, data la diminuzione dell’affluenza registrata nelle ultime tornate elettorali. Guardiamo allora le percentuali: nel 2008 e nel 2013 le schede nulle furono il 2,5%; nel 2018 sono state appena il 2%. Anche in questo caso, quindi, i dati confermano il calo.
Ciò è, probabilmente, dovuto a tre fattori:
- L’elettore, come vedremo più avanti, sa che votando il simbolo del partito che più gli aggrada non sbaglia mai. E, in effetti, l’esperienza da presidente di seggio, porta a ritenere chi scrive che la stragrande maggioranza delle schede nulle siano schede volutamente annullate e non frutto di errori;
- L’astensione è leggermente aumentata ed è possibile che una parte di coloro che in precedenza partecipavano al voto annullando la scheda questa volta abbia preferito rimanere a casa;
- L’elettorato è, comunque, abbastanza maturo e ha ben chiare le regole del gioco, quantomeno nei loro tratti essenziali. Ne sono una riprova i dati delle regionali in Lazio e Lombardia, svoltesi contestualmente alle Politiche e in cui, pur in presenza di una scheda non troppo simile, era invece possibile il voto disgiunto: i dati relativi alle schede nulle in queste due regioni sono perfettamente in linea con quelli nazionali.
Possiamo dunque concludere che il nuovo sistema elettorale e la nuova scheda non abbiano affatto aumentato il numero di schede nulle che, al contrario, è diminuito rispetto al passato.
Veniamo ora alla seconda questione, quella del peso dei candidati nei collegi uninominali. Occorre premettere, come nota metodologica, che non è nelle nostre possibilità (e, come immaginiamo, in quelle di alcuno) sapere quanto il nome dei candidati abbia effettivamente pesato sul voto alle liste: cioè quanti elettori abbiano votato la coalizione X o il partito Y in quanto tali o in quanto a supporto di un dato candidato uninominale. L’unico elemento quantificabile, pertanto, sono i voti espressi unicamente a favore di questi candidati.
Ebbene: prendendo in considerazione i tre schieramenti maggiori (il Movimento 5 Stelle e le due coalizioni di centrodestra e centrosinistra), emerge chiaramente come gli elettori che hanno votato solo per il candidato uninominale sono stati, a tutti gli effetti, pochissimi.
Ad esempio, il totale dei voti conseguiti dai candidati di centrodestra solamente nell’uninominale sono stati 220.172, su un totale di più di 12 milioni di voti ottenuti dalla coalizione.
Hanno avuto leggermente più successo, in termini di voti, i candidati della coalizione di centrosinistra che, complessivamente, hanno conseguito da soli 302.001 voti a fronte di circa 7 milioni e mezzo di voti raccolti dalla coalizione.
Più significativo sembra essere stato l’apporto, sempre in valori assoluti, dei candidati del Movimento 5 stelle i cui voti complessivi ammontano a 448.068 a fronte di poco meno di 11 milioni di voti attribuiti al M5S. In quest’ultimo caso, però, c’è da dire che l’elettore era di fronte a una valutazione diversa, dal momento in cui tutti i voti conseguiti dai candidati uninominali sostenuti da una sola lista venivano direttamente attribuiti all’unica lista collegata già in sede di scrutinio.
In termini di percentuale, quindi, solo l’1,8% degli elettori di centrodestra ha optato per il voto al solo candidato, mentre la percentuale sale a circa il 4% e al 4,2% rispettivamente per centrosinistra e M5S.
L’elettore quindi, come si è accennato, è stato senz’altro orientato maggiormente a votare per il simbolo di un partito piuttosto che per il nome di un determinato candidato uninominale. Nome che, peraltro, era verosimilmente sconosciuto alla grande maggioranza dell’elettorato (come segnalato da molti sondaggi nelle settimane precedenti il voto).
Non sembra allora un caso che il collegio con il maggior numero di voti “solo candidato” del centrosinistra sia stato quello di Roma Trionfale, dove il nome del candidato di coalizione sulla scheda era quello del premier Paolo Gentiloni. Per quanto riguarda il centrodestra, il primato dei voti “solo candidato” va a Enrico Costa, ex ministro nei governi a guida PD dell’ultima legislatura, “tornato all’ovile” sia in termini di area politica sia in termini di area geografica (Cuneo-Alba).
In conclusione, sembra che i candidati uninominali non abbiano condizionato più di tanto le scelte dell’elettorato che, invece, sembra essere rimasto fedele al buon vecchio voto al simbolo, duro a morire.
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