Domani (domenica 8 aprile) si svolgono in Ungheria le elezioni parlamentari per il rinnovo dei 199 componenti dell’Assemblea Nazionale, il Parlamento ungherese. I sondaggi danno per scontata la vittoria di Fidesz, partito dell’attuale primo ministro Viktor Orbán, che però nelle elezioni locali del 25 febbraio ha subìto una sconfitta choc che potrebbe incidere sul voto nazionale. Infatti, nella cittadina di Hódmezővásárhely – roccaforte del partito di governo – un candidato indipendente ha sconfitto con il 57,5% un dirigente dell’ufficio del primo ministro, fermatosi al 41,5% (nel 2014 Fidesz aveva ottenuto il 61%).
Saranno le none elezioni libere della storia del Paese (in passato governato da un regime comunista filo-sovietico) e le ottave con una competizione multi-partitica dalla revisione costituzionale e dal compromesso di un nuovo sistema elettorale nel 1990.
Le precedenti elezioni, quelle del 2014, videro la riconferma di Viktor Orbán con Fidesz quasi al 45% dei voti. Orbán era già stato eletto nel 2010 con il 52,7% e prima ancora nel 1998. Quelle del 2014 sono anche state le prime elezioni svoltesi con la nuova Costituzione e con la nuova legge elettorale, che per la prima volta prevedeva un turno unico. Dopo le elezioni del 2010, il governo di centrodestra – guidato da Fidesz in alleanza con il Partito Popolare Cristiano Democratico – godeva di una maggioranza superiore ai due terzi, che gli consentì nel 2011 di modificare la Costituzione dimezzando il numero di parlamentari (da 386 a 199) e di approvare una nuova legge elettorale, escludendo l’opposizione e con il voto contrario di Jobbik (partito nazional-conservatore, euroscettico ed anti-immigrazione, oggi prima forza d’opposizione). Ciò produsse allarmi legati allo spostamento del sistema elettorale verso un principio eccessivamente maggioritario, rafforzati da metodi come il first-past-the-post, ma alla fine anche tra gli analisti si è stabilito che non sia una lesione alla democrazia.
Il sistema elettorale
Vediamo cosa stabilisce questa legge elettorale: 106 seggi su 199 vengono assegnati in collegi uninominali maggioritari con il metodo del first-past-the-post; i restanti 93 seggi sono assegnati con il sistema proporzionale in un collegio unico nazionale e allocati con il metodo d’Hondt tra le liste di partiti e le minoranze nazionali. Queste ultime sono comunità etniche e linguistiche residenti nel territorio ungherese sin dalla fondazione dello Stato, oltre mille anni fa, e ad oggi costituiscono il 10% della popolazione. I più numerosi sono i rom, seguiti dai tedeschi: queste due sono le uniche minoranze che hanno qualche chance realistica di eleggere dei rappresentanti all’Assemblea Nazionale. Inoltre, la nuova legge elettorale estende il suffragio, per la prima volta, ai cittadini ungheresi che vivono al di fuori dell’Ungheria, in territori una volta appartenenti allo Stato o in giro per il mondo (si stima che possano essere oltre un milione). Questi elettori possono votare solo per le liste di partiti, quindi solo per i 93 seggi assegnati con il metodo proporzionale. Nei collegi uninominali maggioritari si vota in un turno unico e non più doppio: prima della riforma vi era una soglia pari al 50%, relativa sia all’affluenza sia ai voti necessari per conquistare il seggio al primo turno: ora questa soglia non esiste più.
Rimangono però le soglie di sbarramento del 5% per le liste di partito singole, del 10% per le liste che uniscono due partiti e del 15% per le liste composte da tre o più partiti. Si può votare sia per una lista che per un candidato al collegio uninominale, che rappresenta il territorio all’Assemblea Nazionale. Gli elettori registrati come minoranza linguistica possono votare per una lista delle minoranze invece che una lista di partiti. Anche queste liste avranno una soglia di sbarramento al 5%, calcolata però sul totale dei voti alle liste delle minoranze, non tra tutti i voti alle liste dei partiti (che, come detto, vengono eletti separatamente da un corpo elettorale diverso). Qualora una di queste liste non dovesse superare lo sbarramento, potrà lo stesso mandare un portavoce della minoranza all’Assemblea Nazionale, con diritto di parola ma non di voto. In questo c’è da sottolineare la peculiarità del sistema ungherese nei confronti delle minoranze, alle quali viene garantito il diritto di parlare all’Assemblea e viene offerta una possibilità più vantaggiosa per eleggere dei parlamentari.
Per essere candidato, si deve essere un cittadino ungherese di maggiore età, e si devono presentare almeno 1000 coupon di proposta per la candidatura nei collegi uninominali. Un partito che voglia candidarsi in una lista (proporzionale), invece, deve schierare candidati in almeno 27 collegi elettorali (su 106) e in almeno 9 delle 19 contee della capitale Budapest.
Partiti e candidati
• Del primo ministro uscente Orbán, e del suo partito Fidesz, abbiamo già detto: passato dal supporto al liberalismo economico e all’integrazione europea negli anni ’80 (quando era un movimento studentesco) al referendum contro le quote di immigrati nel 2016, Fidesz ha ormai completato la sua trasformazione in un partito nazional conservatore proprio con Orbán, provocando accuse di razzismo e xenofobia nonostante continui a risultare iscritto al gruppo dei popolari al Parlamento Europeo (EPP, lo stesso di Forza Italia). Orbán sarà sostenuto anche dal Partito Popolare Cristiano Democratico (KDNP), ma la lotta per il terzo mandato sembra sempre più accidentata, dopo accuse di corruzione, fughe di notizie, accuse di spionaggio, fake news ed una battaglia contro Soros, il finanziere ungherese (appunto), accusato da Orbán di pagare i candidati dell’opposizione e di aver assoldato migliaia di “mercenari” per la formazione di un suo governo. Fidesz, nel ridisegnare il sistema elettorale, ha recentemente concesso il diritto di voto (per corrispondenza) ai magiari residenti fuori dall’Ungheria: sarebbero già oltre 378.000 quelli registrati per le elezioni di domenica, e la maggioranza di essi dovrebbe votare proprio per Orbán. Se si pensa che la popolazione ungherese non raggiunge i 10 milioni, i magiari potrebbero incidere come plus di più di qualsiasi messaggio politico preso singolarmente, compreso il più forte: l’immigrazione islamica. La vittoria, ritenuta scontata, viene messa in discussione da alcuni esperti ed accademici, ma i sondaggi danno il Fidesz attorno al 50%. In ogni caso, Orbán è già il capo di Stato più duraturo dopo la Merkel in UE.
• La forza politica che secondo i sondaggi arriverà al secondo posto è il partito conservatore Jobbik (tra il 19% ed il 22%) di Gábor Vona, che conferma una modifica dei toni ed una maggiore morbidezza nelle posizioni, tanto da definirsi molto simile al vecchio Fidesz (che a sua volta viene fatto passare come il vecchio Jobbik). Ma forse questo potrebbe giovare ad Orbán, dal momento che le frange più estreme potrebbero optare per un Fidesz più radicale rispetto ad uno Jobbik più popolare.
• Gergely Karácsony, candidato del Partito Socialista Ungherese ((MSZP-PM, il maggior partito di opposizione dal 2008 prima di essere superato da Jobbik) e di Párbeszéd (Dialogo), rifiuta il nazionalismo ungherese di Fidesz. I sondaggi lo danno tra l’11% ed il 19%
• Bernadett Szél, di LMP (Lehet Más a Politika, che tradotto significa “La politica può essere diversa”), partito centrista della famiglia dei Verdi, si fermerebbe al 7%.
• Ferenc Gyurcsány è invece il leader della DK, la Coalizione Democratica (Demokratikus Koalíció), ed è un sostenitore della terza via oltre che un fervido europeista. Questa lista di centro con tendenze al centro-sinistra, riscontrabili nel social liberalismo, potrebbe raggiungere l’8%.
• Viktor Szigetvári si candida con la lista Együtt (Insieme), anch’essa pro-europeista e centrista, data appena all’1%.
• Un movimento pro-europeista ma di centro-destra, liberale e anche anti-russo è Momentum, che propone come candidato András Fekete-Győr e che i sondaggi danno al 2%.
• Per concludere, il “joke party” (partito burla) denominato Partito Ungherese Cane Doppia-coda (MKKP), chiaramente satirico, potrebbe arrivare all’1%. La sua maggiore attività? La street art!
Cosa dicono i sondaggi?
Hungary: Orban's Fidesz/KDNP (EPP) strongest party in most constituencies, MSZP/D/MLP (S&D/G/EFA/ALDE) strongest party in 4 marked in red, far-right Jobbik-NI (green) and DK-S&D (blue) strongest in 1 constituency each. (Republikon poll) #Választás2018 #Hungary pic.twitter.com/naBZ4yir62
— Europe Elects (@EuropeElects) March 22, 2018
Secondo un sondaggio Medián, la lista che supporta Orbán potrebbe raggiungere 142 seggi sui 199 disponibili, incrementando quindi i componenti nell’Assemblea Nazionale. Jobbik in lieve calo rispetto al 2014 ne otterrebbe 22, la lista di centro-sinistra MSZP-PM 19, LMP 8 e DK 7.
Seguendo i numeri, la parabola di Orbán sembra tutt’altro che in discesa. Anche se la strada è più in salita del previsto. Con Fidesz che ha superato Jobbik a destra, accentuando l’attenzione ed inasprendo i toni sull’immigrazione islamica mentre il partito di Vona si è spostato su posizioni più moderate, si intensifica l’efficacia della sua base nelle zone rurali mentre perde terreno in quelle più industriali e nella capitale. Così come gli accordi tra le forze progressiste in alcuni collegi maggioritari, per presentare un candidato unico, possono concentrare il voto delle opposizioni evitando dispersioni. Però Orbán può ancora contare sul sistema clientelare della nuova oligarchia, sulla nuova legge elettorale e sui nuovi voti che proverranno dai magiari. Insomma, le ipotesi di una sua sconfitta sembrano soltanto un wishful thinking accademico.
bell’articolo, ma una precisazione “ha recentemente concesso la cittadinanza ungherese ai magiari” ha poco senso.
Magiaro (magyar) è il termine ungherese per dire “ungherese”.
È analogo ad aver scritto “ha dato la cittadinanza del regno unito ai britannici”.
Più correttamente, Fidesz ha concesso la cittadinanza alle persone “etnicamente ungheresi”, rivolgendosi in particolare a persone di lingua ungherese che vivono nelle zone della vecchia “grande ungheria” (transilvania, slovacchia, serbia etc). La citta
È un po’ più restrittivo del voto estero agli italiani, e simile alla cosa che vorrebbe fare l’Austria col Sud-Tirolo.