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Tornare alle urne per tornare allo stallo?

Fra le tante opzioni che il Presidente Mattarella ha sul tavolo, una sembra non destare la preferenza del Capo dello Stato: il ritorno alle urne. È giustificato il suo timore di un inutile prolungamento dello stallo? Vediamo.

Le elezioni del 4 marzo ci hanno restituito il centrodestra come coalizione vincente con il 37% dei voti. Al secondo posto, invece, si è classificato il Movimento 5 Stelle, che ha raccolto il 32,7% dei consensi. Più lontano il centrosinistra, fermatosi al 22,9%.

Questi risultati, alla Camera, si sono tradotti in 262 seggi per il centrodestra (111 uninominali e 151 proporzionali), 226 per il Movimento 5 Stelle (93 e 133) e 116 per il centrosinistra (28 e 88). A questi vanno aggiunti i 14 seggi conquistati da Liberi e Uguali solo nel proporzionale. Dei 12 seggi assegnati nella circoscrizione Estero, invece, 5 sono andati al PD, 3 al centrodestra e uno solo al M5S.

A un mese e mezzo dal voto del 4 marzo, come sono cambiati i rapporti di forza tra i partiti in base ai più recenti sondaggi? Ce lo dice la nostra Supermedia, aggiornata al 19 aprile.

I “due vincitori” del 4 marzo (M5S e Lega) sono oggi gli unici a crescere nei sondaggi, con la Lega al 20,8% dei voti (+3,4%) e una crescita più contenuta, ma comunque consistente, del M5S, che arriva addirittura al 34,1% (+1,4%). La crescita del partito di Matteo Salvini garantisce al centrodestra, nel suo insieme, di superare il 38%.

Il Partito Democratico non crolla (è al 17,6% , perde 1,1 punti rispetto alle elezioni) ma subisce il sorpasso della Lega nel voto alle liste. Va peggio a Liberi e Uguali, oggi ferma al 2,8% e quindi sotto la soglia di sbarramento del 3% che ha permesso loro di contare su una piccola rappresentanza parlamentare.

In questo nuovo scenario, però, questi cambiamenti non sono sufficienti perché si possa determinare una maggioranza politica in Parlamento. Anche se si rivotasse oggi, quindi, si dovrebbero riaprire delle trattative per la formazione di un governo. Ecco perché tornare al voto non sembra l’idea migliore: seppur con dei cambiamenti, le differenze nel consenso ai partiti risulterebbero comunque insufficienti a superare questa fase di stallo.

Come facciamo a saperlo? Abbiamo simulato il risultato alla Camera dei deputati “proiettando” il dato dei sondaggi attuali (prodotto dalla nostra Supermedia) in ciascun collegio uninominale. E i risultati ci dicono che il centrodestra guadagnerebbe 15 seggi passando da 262 a 277 deputati; anche il Movimento 5 Stelle crescerebbe: dagli attuali 226 arriverebbe a 237 (+11). Il centrosinistra, invece, vedrebbe un ulteriore calo tra i propri esponenti, passando dagli odierni 116 a 104 (-12).

Su queste variazioni incide anche il fatto che LeU ad oggi sia sotto il 3%: i sui 14 seggi, infatti, sono stati così riassegnati agli altri partiti. Perciò, se nel proporzionale il Pd perde 5 seggi, il centrodestra può ottenerne 9 in più e il Movimento 5 Stelle addirittura 10.

Nei collegi uninominali, invece, le differenze sono più contenute: qui infatti LeU non aveva ottenuto alcun eletto e le differenze si basano sul fatto che una sola coalizione perde voti, ovvero il centrosinistra. Quest’ultima, infatti, perderebbe il primato in 7 collegi uninominali. Al contrario, il Movimento 5 Stelle ne vincerebbe uno in più rispetto al 4 marzo, mentre il centrodestra addirittura 6.

Interessante l’analisi a livello territoriale. Il quadro che esce dalle Politiche del 2018 ci dice che il centrodestra ha conquistato 79 seggi su 91 al Nord, 19 su 40 nelle (ormai ex) “zone rosse” e appena 13 su 101 al Centro-Sud. In modo quasi esattamente speculare, il Movimento 5 Stelle ne ha vinti 4 al Nord, 5 nella Zona Rossa e ben 84 al Centro-Sud. Il centrosinistra ha invece vinto solo 8 collegi al Nord, 16 nella Zona Rossa e 4 al Sud. Sono 7 su 232 (cioè solo il 3%) i collegi in cui oggi il vincitore cambierebbe. Nessuno di questi è al Centro-Sud: qui infatti il Movimento 5 Stelle ha vinto quasi ovunque con un distacco troppo ampio per essere colmato da una crescita così contenuta del centrodestra.

Sono invece 2 i collegi del Nord che il centrosinistra perderebbe in favore del centrodestra. Quest’ultimo, poi, si avvantaggerebbe anche dalla perdita dei 5 collegi del centrosinistra nelle ex zone rosse: ne otterrebbe 4, mentre un altro andrebbe al Movimento 5 Stelle.

Ad oggi, dunque, continuerebbe a non esserci una maggioranza possibile. Nessuna forza (singola o coalizzata) riuscirebbe da sola ad arrivare ad almeno i 316 seggi necessari per avere una maggioranza e governare. Oltremodo impensabile puntare ad avere una maggioranza ancor più solida, anche volendo considerare, in questo calcolo, i seggi esteri.

Per questi motivi, qualora le consultazioni falliscano, non è detto che il governo in carica per gli affari correnti non possa pensare a un ritocco del sistema elettorale. Ma anche qui poco si può fare in uno scenario di tripolarismo (per quanto “imperfetto”) come quello attuale. Probabilmente solo l’attribuzione di un premio di maggioranza blindato al primo classificato potrebbe ovviare al problema, ma la Corte costituzionale ha più volte scoraggiato il legislatore dall’intraprendere questa strada senza accompagnarlo a forti restrizioni (si vedano a riguardo la sentenza sul Porcellum e quella sull’Italicum).

Ad oggi però, con questa legge elettorale, i numeri alla Camera sarebbero quelli visti: molto lontani da una prospettiva che invogli il presidente Mattarella a sciogliere le camere per tornare nuovamente alle urne.

Andrea Maccagno

Laureato con lode in Governo e politiche alla LUISS, dove ha collaborato con il CISE, si interessa principalmente di sistemi elettorali e sistemi partitici.
Grande sostenitore dei diritti civili, è stato presidente di un'associazione LGBT

1 commento

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  • Insomma, l’accordo è l’unica strada, almeno per il momento: anche se forse un’ulteriore tornata elettorale senza esito potrebbe essere proprio la sola cosa in grado di farlo capire a tutti…