Bien, ma non très bien. Si potrebbe sintetizzare così il primo anno appena trascorso da Emmanuel Macron all’Eliseo, alla guida di una Francia in crescita (PIL a +1,9% nel 2017) ma attraversata da continue fibrillazioni interne e dalla ricerca spasmodica di un ruolo di primo piano sullo scenario internazionale.
Il combinato disposto tra la netta affermazione alle elezioni presidenziali e l’exploit del giovane partito di centro La Republique En Marche alle elezioni legislative con la conquista della maggioranza assoluta all’Assemblea Nazionale (312 deputati su 577), ha dato una notevole spinta iniziale al programma di riforme, tra cui spicca quella istituzionale con il taglio del numero dei parlamentari.
Luci e ombre
Secondo un sondaggio dell’istituto BVA la popolarità di Macron ad aprile si attesta intorno al 43% di giudizi positivi contro il 54% di opinioni negative. Un calo netto se lo confronta con il mese dell’insediamento – maggio 2017 – quando il Presidente godeva di un consenso pari al 62%, quasi venti punti in più. Un tasso di approvazione attuale molto simile a quello di Donald Trump (44%) l’altro presidente protagonista del 2017 che, come il suo omologo francese, si è dimostrato da subito una figura molto polarizzante.
In realtà il dato non è così sorprendente: il calo dei consensi si era già manifestato dopo due mesi dalla vittoria elettorale, e soprattutto si tratta di un trend comune a molti capi di governo, che in Francia si registra sin dal 1958: è la fine della “luna di miele”, il periodo iniziale del mandato dove il Presidente eletto gode di un aumento dei consensi, beneficiando del cosiddetto effetto bandwagon (a favore del vincitore) da parte di ampi settori dell’opinione pubblica.
Dopo qualche mese di governo, al varo delle prime riforme – alcune delle quali possono risultare impopolari – il tasso di approvazione subisce un calo sensibile per poi stabilizzarsi in un secondo momento. La vera difficoltà sta nel risollevare i consensi perduti in questa fase riportandoli su livelli accettabili. E Macron sembra esserci, almeno in parte, riuscito.
Non solo, un sondaggio IFOP rivela un alto tasso di gradimento – intorno al 67% – sul fronte delle relazioni con l’Unione Europea: i discorsi di Macron alla Sorbona (26 settembre) e al Parlamento di Strasburgo (17 aprile) dove ha evocato il rischio di una “guerra civile europea” e la necessità di un’accelerazione sulla strada delle riforme, hanno dato slancio al ruolo di Macron come portatore di una visione attesa per il rilancio dei progetti comunitari, approfittando di una prolungata vacatio dei leader in Germania e in Italia, alle prese con le rispettive situazioni di stallo post-elettorale.
Eppure l’immagine complessiva per il capo dell’Eliseo non è del tutto positiva: già in occasione della rentrée – la ripresa dei lavori parlamentari dopo la pausa estiva – e il varo della riforma del mercato del lavoro, si fa strada la percezione di un Macron “presidente dei ricchi”, lontano dai problemi dei ceti in difficoltà e più vicino alle istanze dei grandi gruppi industriali. Da febbraio poi l’intero settore dei trasporti è scosso da continui scioperi e proteste, tanto da parte degli cheminots (i ferrovieri) di SNCF quanto dal personale di Air France che di recente ha bocciato un accordo sindacale costringendo il numero uno, Jean-Marc Janaillac, a dimettersi.
Il confronto con i predecessori
Il bilancio “agrodolce” sul primo anno di Macron si conferma in un recente sondaggio Kantar TNS, secondo cui il trend di popolarità dell’attuale Presidente è maggiore rispetto ai suoi due immediati predecessori valutati nello stesso periodo: Nicolas Sarkozy (che nel 2008 aveva un tasso di approvazione del 37%) e François Hollande (che nella primavera del 2013 era già sceso al 27%). Del resto la vittoria di Macron è stata dirompente, sopratutto perché ha prodotto un ribaltamento del sistema basato da sempre sull’alternanza tra il Partito Socialista e quello gollista, riuscendo ad intercettare voti (ed esponenti) da entrambi gli schieramenti.
Oggi l’opposizione al “grande centro macroniano” è rappresentato dalla sinistra radicale, la France Insoumise di Jean-Luc Mélenchon, protagonista sabato 5 maggio di una grande manifestazione di protesta alla Bastiglia, storica piazza parigina simbolo della gauche francese, e dalla destra nazionalista di Marine Le Pen, alle prese con una fase di riposizionamento del suo Front National.
Intenzioni di voto
Ma come muterebbe il quadro politico se gli elettori francesi fossero chiamati a votare oggi per il primo turno delle presidenziali? Una rilevazione IFOP dipinge uno scenario incredibilmente più favorevole al Presidente in carica oggi che non un anno fa.
Esattamente un terzo degli elettori (33%) voterebbe per Macron, ben 9 punti percentuali in più rispetto al primo turno delle presidenziali svoltesi il 23 aprile 2017. Crescerebbero di poco i suffragi per Le Pen (23% rispetto al 21,5%) mentre Mélenchon scenderebbe di 3 punti, dal 19,6% al 16,5%. Si confermerebbero fuori dai giochi i candidati della destra gollista e del partito socialista, indeboliti dalla presenza “presidenziale” di Macron.
In conclusione, a un anno dal discorso della vittoria davanti alla suggestiva cornice del Museo del Louvre sulle note dell’Inno alla Gioia di Beethoven, la “luna di miele” di Emmanuel Macron può dirsi conclusa: deve affrontare la sfida delle riforme in un clima di proteste crescenti ma può contare ancora oggi su un capitale di consensi non indifferente, approfittando anche della debolezza dei suoi avversari, interni ed esterni.
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