Dopo più di due mesi dal voto del 4 marzo sembra che i partiti vincitori stiano convergendo verso un’alleanza di governo. Movimento 5 Stelle e Lega, infatti, stano in queste ore discutendo sulla composizione del nuovo esecutivo, che sarà a tutti gli effetti “politico” (e non “neutro”).
Salvo ripensamenti dell’ultimo momento, quindi, ci apprestiamo a vedere la nascita di un governo giallo-verde: sarebbe la prima volta che si forma un esecutivo i cui partiti non provengono dalla tradizione delle grandi famiglie politiche europee.
Come si è visto, è stato un processo lungo e complicato, che ha fortemente rischiato di fallire più volte. Sembravano non bastare i molteplici giri di consultazioni, così come le trattative extra-istituzionali tra i vari leader.
Oggi si è parlato addirittura di “staffetta” tra Di Maio e Salvini alla Presidenza del Consiglio. Più probabilmente il premier sarà una figura terza, ma per alcuni sarà comunque “il governo dei populisti“, formato da partiti votati da elettori con molti tratti in comune. Ma è davvero così?
Concentriamoci sulla seconda parte dell’affermazione: la convergenza degli elettorati. Tra elettori di M5S e Lega ci sono più somiglianze o differenze?
In questo primo articolo partiamo da un confronto basato sui risultati del 4 marzo e dagli elementi sociodemografici del voto, prendendo spunto dalle analisi pubblicate sull’instant book “Una nuova Italia” a cura del team Quorum/TouTrend, rinviando ad una seconda puntata l’analisi delle posizioni dei due elettorati in base ai temi.
Iniziamo dalla variabile geografica. Da questo punto di vista, probabilmente, non potrebbero esistere elettorati più diversi. La Lega, per quanto sia riuscita nell’intenzione di mostrarsi quale forza nazionale, rimane un partito del Centro-Nord. Riesce, è vero, a sfondare fino in Umbria e Lazio, ma le sue zone di forza rimangono nelle regioni più settentrionali. Al Sud, per quanto abbia ottenuto risultati mai raggiunti in precedenza, comunque fa ancora fatica.
Se questo è il quadro della Lega, per quanto riguarda il Movimento 5 Stelle dovremmo ribaltare l’analisi. I risultati nel Centro-Sud del partito di Di Maio hanno avuto del clamoroso: qui ha vinto 84 dei 101 collegi, in molte zone con percentuali oltre il 50%. Diverso invece l’impatto al Nord, dove i 5 Stelle non sono riusciti ad essere competitivi come al Sud (perdendo persino voti in alcune zone rispetto al 2013) e hanno conquistato solo 4 collegi uninominali su 91.
Dal confronto delle due mappe della distribuzione del voto nei collegi uninominali della Camera questa differenza risulta ancor più comprensibile e immediata. È come se ci fosse una vera e propria linea di frattura a separare l’Italia: a Nord di Roma è il centrodestra a trazione leghista ad imporsi; al Sud esiste praticamente solo il Movimento 5 Stelle.
La stessa informazione, visualizzata in modo diverso, emerge chiaramente dal seguente grafico, che mostra la relazione tra la voto al M5S e voto alla Lega nei 232 collegi uninominali della Camera. Come si vede, si nota una correlazione inversa (negativa) piuttosto netta: dove l’uno è più forte, l’altra è più debole (con le dovute variazioni dovute alle peculiarità geografiche, come i collegi del Trentino-Alto Adige raggruppati nell’angolo in basso a sinistra).
Tenendo conto che si tratta di due partiti che hanno ottenuto una percentuale nazionale piuttosto differente (32,7% per il Movimento 5 Stelle contro il 17,3% della Lega), la grafica successiva comunque ci permette di sottolineare ancora una volta quanto sia stato differenziato il voto a Di Maio e Salvini in base alla zona geografica di appartenenza. Infatti, nonostante un rapporto quasi di 2:1 sul piano nazionale, al Nord la Lega fa meglio del Movimento 5 Stelle (26% contro 24%).
La differenza Nord-Sud, però, non l’unico aspetto attraverso il quale studiare la distribuzione del voto. Interessante, per esempio, è anche osservare i risultati dei due partiti in base all’ampiezza dei comuni.
Anche in questo caso, si può notare come la dinamica del voto non sia affatto uguale tra le due liste. Se nei comuni inferiori ai 5.000 abitanti Di Maio e Salvini quasi pareggiano, con l’aumentare della popolazione del comune i due partiti tendono ad andare verso posizioni opposte. Infatti, il Movimento 5 Stelle cresce, fino a toccare il suo picco (37%) nei comuni tra 50.000 e 100.000 abitanti. Questa fascia è quella dove invece la Lega fa registrare il suo record negativo (13,4%). Oltre i 100.000 abitanti, poi, c’è un ridimensionamento della Movimento 5 Stelle, mentre la Lega aumenta fino ai 300.000 per poi nuovamente diminuire (in queste due ultime classi di comuni si assiste ad una ripresa del centrosinistra che rende il quadro quasi perfettamente tripolare).
Se quindi a livello territoriale i due elettorati sembrano essere profondamente divergenti, vediamo se si riesce invece a rintracciare qualche punto di contatto nelle caratteristiche sociodemografiche, secondo i dati di sondaggio pubblicati su “Una nuova Italia”. Partiamo dal genere. Da questo punto di vista non si scorgono particolari discrepanze. Il 17% degli uomini sceglie la Lega e il 31% il Movimento 5 Stelle. Di poco superiore per entrambi la percentuale delle donne: il 18% sceglie Salvini e il 34% Di Maio.
Anche sull’età è difficile poter apprezzare differenze: l’elettorato del Movimento 5 Stelle è sicuramente più forte tra i giovani (intercettando il 41% dei 18-24enni) e via via decresce con l’eccezione della fascia 45-54 anni (tra i quali conquista il 3% dei voti); più ondivago l’elettorato della Lega, relativamente più forte tra i giovani di 18-24 anni (19%), ma ancor più fra i 55-64enni (22%).
Dal punto di vista del livello di istruzione, la Lega ottiene meno consensi man mano che aumenta il titolo di studio. Così, riesce a intercettare il voto del 19,6% di chi ha solo la licenza elementare e il 13,2% di chi possiede una laurea. L’elettorato del Movimento 5 Stelle, anch’esso meno forte tra i laureati, ottiene invece maggiori suffragi tra chi dispone del diploma di scuola superiore (36%).
Per quanto riguarda la condizione occupazionale, la Lega ottiene un risultato piuttosto omogeneo tra le varie classi oscillando dal 16% tra lavoratori autonomi e pensionati al 20% tra i dipendenti pubblici. Al contrario, il Movimento 5 Stelle ha un profilo molto più differenziato: ottiene solo il 19% tra i pensionati e ben il 46% tra le casalinghe e il 47% tra i disoccupati. Questa potrebbe essere a ben vedere una distanza legata alle differenti caratteristiche sociali delle rispettive zone di forza: la maggior presenza relativa di casalinghe e disoccupati nel Sud (dove il tasso di occupazione in generale ma soprattutto di quella femminile è decisamente inferiore alla media nazionale) potrebbe spiegarla in buona parte.
Da questa prima analisi, dunque sembrerebbero emergere diversi elementi divergenti tra i due elettorati, soprattutto a livello territoriale. Il Movimento 5 Stelle è infatti forte al Sud e nei comuni fino a 100.000 abitanti. Al contrario la Lega è forte al Nord e man mano che il comune registra più abitanti i suoi consensi diminuiscono, specialmente nella fascia dove va meglio il partito di Di Maio (50.001-100.000). A livello sociodemografico, invece, le differenze sembrano minori: soprattutto in termini di fasce d’età e livello di istruzione. Divergenze più marcate emergono soprattutto in base alla condizione occupazionale.
Ineccepibile l’approccio quantitativo, basato sui fatti. Lascia all’analista capire i perchè. Per me è la Rivoluzione degli Insofferenti. Ci sono tante persone che effettivamente hanno sofferto per la crisi etc. ma ce ne sono credo di più che non ne possono più di imposizioni, di qualsiasi natura. A guardar bene una vera rivoluzione appunto. E come tale difficile da razionalizzare. E difficile che non faccia danni. D’altra parte una soluzione ai problemi base (crescita del debito, demografia etc) questa nostra società non riesce a trovarli. E da qualche parte sbotta..