Fra le elezioni politiche e quelle amministrative, che domenica 10 giugno hanno visto coinvolti oltre 700 comuni (di cui 109 comuni con più di 15 mila abitanti) intercorre una differenza sostanziale: il sindaco, infatti, è un organo individuale, e questo comporta spesso nelle amministrative una personalizzazione dei candidati anche superiore a quella – già molto alta – delle Politiche.
Grazie alla possibilità di esprimere il voto per il solo candidato sindaco, le liste che partecipano alle elezioni comunali acquistano un ruolo meno importante: per l’elettore, infatti, è sufficiente conoscere il nome del candidato sindaco, al quale vengono attribuiti anche i voti che vanno alla sola lista, in assenza di ulteriori indicazioni. È così possibile misurare la rilevanza che hanno avuto i candidati alla guida di ciascun comune, osservando la differenza fra i voti espressi per le liste e quelli globalmente assegnati ai candidati sindaco. La possibilità di esprimere il voto per il solo candidato di collegio uninominale e non per le liste in suo appoggio c’è stata anche alle Politiche dello scorso 4 marzo, una delle peculiarità della nuova legge elettorale. Possiamo quindi mettere a confronto questi due dati per scoprire se vi è stata una qualche correlazione fra il dato per il voto “solo candidato” alle Politiche e quello riscontrato nel primo turno delle ultime Comunali nei 109 comuni superiori andati alle urne.
Dal grafico appare chiaro che non vi è una correlazione statisticamente significativa, né prendendo in considerazione la totalità dei comuni al voto, né disaggregandoli per area geografica (Nord, Zona Rossa, Centro-Sud). Insomma, evidentemente i due tipo di elezione seguono dinamiche differenti e geograficamente disomogenee. L’unica conclusione – parziale – che si può trarre è che il dato del voto per il solo candidato sindaco al Nord (pari in media al 6,3% dei voti validi, rappresentato dalla linea azzurra verticale) è superiore a quello per l’ex Zona Rossa (4,8%, linea rossa) e a quello per il Centro-Sud (4,7%, linea gialla). E questa, rispetto al passato, è in sé una piccola notizia.
Il ruolo dei sindaci uscenti
Il “fattore sindaco” ha quindi un suo peso, che in questa tornata possiamo quantificare come pari a circa il 5% di coloro che si sono recati alle urne. Vediamo allora che ruolo hanno avuto i sindaci uscenti in questa tornata. Come sappiamo, l’effetto incumbent negli ultimi anni è passato dall’essere un vantaggio al rappresentare un handicap. Ma questo ribaltamento si è manifestato in modo discontinuo a livello locale, consentendo spesso agli amministratori uscenti di ottenere un secondo mandato. Vediamo se è stato così anche questa volta.
Dei 109 comuni superiori al voto, in 23 casi il sindaco aveva già amministrato per due mandati, e questo gli ha impedito di ricandidarsi; in 32 casi non ha potuto (o voluto) ricandidarsi; mentre nei restanti 54 casi – poco meno della metà dei comuni – il sindaco uscente ha partecipato alle elezioni anche nel 2018, dopo un solo mandato. Vediamo come si suddividono per area politica e geografica:
Si notano due cose: i sindaci civici sono stati ricandidati in più del 70% dei casi, quelli di centrosinistra quasi il 60% delle volte, mentre solo tre sindaci uscenti del centrodestra su 28 hanno strappato la ricandidatura – peraltro in due casi su tre, a Vedelago (TV) e Maddaloni (CE), i sindaci nell’elezione precedente erano stati appoggiati da sole liste civiche, contro il centrodestra ufficiale. La classe dirigente di centrodestra, infatti, era stata eletta (in ben 15 casi su 28) nel 2008, stagione in cui era ancora molto forte il berlusconismo, e il limite dei due mandati ha impedito loro di ricandidarsi; vale anche la pena notare che, dei 10 non ricandidati, ben 9 non avevano portato a termine il mandato per vari motivi, dalle dimissioni al commissariamento del comune.
Questo va di pari passo con un tasso di ricandidature prossimo ai due terzi al Nord e nella ex Zona Rossa, mentre al Centro-Sud si ferma a poco meno del 40% dei sindaci, a causa del gran numero di non ricandidati.
In media, i sindaci uscenti di centrosinistra hanno ottenuto circa il 40%, arrivando al primo posto in 15 occasioni su 28 e vedendosi esclusi dal ballottaggio in soli 5 casi. Tutti e tre i sindaci ricandidati per il centrodestra sono stati eletti al primo turno, con una percentuale media molto alta (il 63%). La situazione per i 23 uscenti civici è stata un po’ meno rosea, con un risultato medio del 38%, ma sono pur sempre arrivati al primo posto in più della metà dei comuni che amministravano (13 su 23), vincendo già al primo turno in 7 casi e rimanendo fuori dal ballottaggio 7 volte.
Osservando i risultati complessivi dei 54 sindaci ricandidati, quelli che sono riusciti a ottenere la rielezione già al primo turno superando il 50% dei voti (il 40% in Sicilia) sono 15, poco meno del 30% dei casi. La sconfitta, cioè la vittoria di un avversario al primo turno oppure l’esclusione dal ballottaggio, è stata ancora meno frequente, avvenendo in soli 12 casi. Nelle restanti 27 occasioni (cioè una volta su due), il sindaco uscente si giocherà la rielezione al ballottaggio. Insomma, si può dire che i sindaci ricandidati per ora non siano stati penalizzati dal loro ruolo di uscenti: in più del 75% dei casi hanno già vinto o possono ancora riprendersi la poltrona più alta del comune, mentre meno di un quarto di loro ha già dovuto fare i bagagli. Tuttavia, prima di emettere una valutazione complessiva su ruolo degli incumbent nello scenario politico molto polarizzato odierno sarà opportuno attendere il secondo turno: un alto tasso di riconferme sancirebbe ancora una volta la distanza fra l’altissimo tasso di alternanza che abbiamo visto sul piano nazionale alle ultime Politiche e la continuità amministrativa locale; al contrario, un gran numero di vittorie dei candidati challenger potrebbe essere il segnale che anche a livello locale il vento sta cambiando.
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