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“Non chiamatemi spin doctor: lo spin doctor di Salvini è Salvini stesso”. A Election Days™ 2018 è tornato, come speaker, Luca Morisi, responsabile della comunicazione di Matteo Salvini e della Lega. Morisi era già stato ospite di ED l’anno scorso e, prima ancora, nel 2016. Ma quest’anno il suo intervento era particolarmente atteso: il successo elettorale della Lega e – ancor più – la centralità politica che Salvini ha ulteriormente acquisito una volta al Governo, hanno suscitato molto interesse (anche fuori dall’Italia) e spinto molti a chiedersi quali fossero i segreti della sua comunicazione. Si è parlato anche molto della “Bestia”, un software che il team di Morisi utilizza da diversi anni per ottimizzare le proprie attività e di cui lo stesso Morisi, già l’anno scorso, aveva spiegato il funzionamento ai partecipanti di Election Days™. Nessun “algoritmo” diabolico: “La Bestia è un insieme di software collaborativo, per l’automazione di attività di cross-posting, creazione di grafiche, pubblicizzazione di eventi, monitoraggio di news”. Morisi prova anche a ridimensionare il suo ruolo e quello del suo staff: “La forza di Salvini è quella di essere padrone della sua comunicazione. È un campione della disintermediazione ed è un perfezionista assoluto. Ovviamente noi gli diamo una mano, ma esiste un solo spin doctor di Salvini ed è Salvini stesso”.
Su “la Bestia” hai già detto una serie di cose, ma utilizzate anche degli strumenti di “web listening”: che cosa riuscite a capire da questi strumenti per quanto riguarda ciò che dovete pubblicare?
Ci fai un esempio concreto? In che modo capite quali sono gli argomenti migliori da trattare?
Ve ne faccio uno recente: negli ultimi giorni è tornato tra i temi posti da Salvini quello della legittima difesa. Abbiamo visto che è un tema su cui c’è un’attenzione altissima. Ma non ce l’ha detto “la Bestia”: l’abbiamo capito dal fatto che durante il livetweeting di una trasmissione su questo tema, su Rete4, l’engagement dei tweet sul tema della legittima difesa era altissimo. Da lì capisci che è un tema che conviene utilizzare. E infatti, il giorno dopo, il post Facebook di Salvini era proprio su quello, e ha fatto quasi 100 mila like. Ma non c’è algoritmo, non c’è automatismo: c’è tanta scuola, tanta attenzione e tanta tenacia nell’immergerci in quello che dice la Rete. “La Bestia” non fa un monitoraggio qualitativo di commenti e interazioni. Anzi, è offensivo insinuare che ci siano automatismi dietro ciò che pubblichiamo. Lo è verso la capacità mediatica di comunicatore di Salvini ma anche nei confronti del nostro lavoro.
Ci sono state osservazioni critiche o comunque dubbiose sulla gestione dei dati degli utenti che hanno partecipato al “Vinci Salvini”. Come rispondi?
Chi si è registrato al “Vinci Salvini” lo ha fatto consapevolmente, fornendo solo dati “di base”. Veniva richiesta l’iscrizione ad una app di Facebook (abbiamo usato tutti strumenti pienamente legittimi di cui è proprietaria Facebook, non inventati da noi) che semplicemente registrava il flusso dei like e dei commenti e ne associava l’ID a quello delle persone. Ma serviva solo a costruire una classifica, e per l’invio di alcune e-mail – solo a chi sceglieva di fornire il proprio indirizzo – ad alcuni utenti. I dati non sono stati assolutamente usati per la profilazione dei partecipanti, magari in base alla loro provenienza geografica o cose simili.
Qualcuno però ha accostato questo sistema allo “scandalo” di Cambridge Analytica. Si tratta pur sempre di dati di utenti utilizzati per finalità politiche, no?
Qui non c’è niente che abbia a che vedere con la storia di Cambridge Analytica, dove sono stati rivenduti per finalità elettorali dei dati di profilazione ricavati con un test psicologico che aveva pretese scientifiche. Noi non abbiamo fatto niente di tutto ciò. Ma bisogna sempre tenere presente che nell’epoca digitale, purtroppo, tutto quello che facciamo è tracciato: se qualcosa è gratuito, come i social, vuol dire che il prodotto sei tu, l’utente. Ci sono storture e abusi, ma non bisogna stracciarsi le vesti per la privacy quando di fatto si offre la propria vita personale sui social.
Steve Bannon ha detto a Reuters che la vostra comunicazione (quella di Lega e M5S) è stata molto innovativa e all’avanguardia. Tu però mi stai dicendo che non avete inventato niente, tranne il “Vinci Salvini”. Chi ha ragione?
L’innovazione c’è stata, come ho spiegato nel mio intervento a Election Days: tante tecniche di pubblicazione, di composizione grafica di cartelli e banner, di gestione di mailing list e liste su Telegram, di uso di video infarciti di informazioni, di confezionamento di contenuti… Ci siamo inventati tante innovazioni, secondo me. Lo dico immodestamente, ma su molte cose siamo stati i primi in Italia. Il “Vinci Salvini” è stata dal punto di vista tecnologico l’innovazione più importante, ma ne abbiamo altre in mente, che non vi dirò nemmeno sotto tortura (ride).
La diretta video su Facebook è diventato quasi il mezzo principale di comunicazione, per Salvini ma anche per Di Maio. Posso capire perché un politico o un consulente di comunicazione politica lo preferisca, visto che non ci sono giornalisti che interloquiscono con il leader. Ma ti chiedo di uscire per un attimo dal tuo ruolo, e di dirmi: non credi che questo sia potenzialmente un problema per il dibattito pubblico?
Quindi è uno strumento che avete consigliato a Salvini?
Salvini su questo non ha avuto bisogno di essere istruito, gli è venuto del tutto spontaneo perché ha una grande empatia comunicativa, come sa chi lo conosce dal vivo anche solo per pochi secondi. Per lui è uno strumento ideale che infatti ha abbracciato subito, è un modo per saltare la mediazione di giornali e uffici stampa. I giornali poi quei video li riprendono, non moriranno certo per questo – anche se devono cambiare per adattarsi: la rivoluzione digitale richiede l’evoluzione dei player dell’informazione.
Qualche domanda che ci viene in tempo reale da Twitter. Avete mai avuto rapporti, come struttura di comunicazione di Salvini, della Lega, con la Russia?
Mai, mai, mai. Vi racconto una cosa divertente: Bobo Craxi per un certo periodo rispondeva a chiunque lo contestasse su Twitter “sei Morisi!”, “Morisi ti ho riconosciuto” “Morisi sei andato in Russia e ti hanno spiegato le tecniche”… Ecco, assolutamente no. Tutto quello che abbiamo costruito non è trumpiano né putiniano, anzi tante cose le abbiamo introdotte noi prima di Trump. Questo uso molto intenso, sopra le righe, disintermediato, Salvini ha iniziato a farlo nel 2012, Trump è venuto molto dopo. Io sono andato in Russia un paio di volte, non conosco nessuno del partito di Putin e non ho nessuno lì che mi sostenga.
Durante il tuo intervento a ED hai detto che “il popolo è su Facebook”. Ma allora perché tutta questa attenzione su Twitter?
Su Facebook tu hai oltre 30 milioni di iscritti in Italia. A confronto, Twitter è semivuoto. Non viene divulgato nemmeno il numero degli utenti attivi, saranno 6-7 milioni, forse 8 milioni. Se lo usate spesso vi accorgerete che quelli che si occupano di politica sono sempre gli stessi, oltretutto con i nickname, e spesso chi ci mette la faccia viene insultato. A volte ci viene detto che il nostro pubblico è composto di feccia: fascisti, razzisti… Ma non è che dall’altra parte arrivino rose e fiori. Se vado a cercare i tweet che riguardano me ci sono insulti infiniti. Il nostro successo su Twitter è dovuto al fatto che un piccolo universo come quello è facilmente scalabile: se hai un gruppo di persone affezionate che retwittano un certo hashtag, se sei intenso nella comunicazione, i trend italiani li scali immediatamente…
C’è però chi dice che usate dei bot…
Assolutamente no. Parlando di BOT, speriamo che quelli del debito italiano vadano bene, siamo fiduciosi (sorride).
A proposito, è vero che facevi l’analista finanziario?
No, mi occupavo di software per una società di gestione del risparmio, una delle cose di cui mi sono occupato parallelamente ad altri lavori.
Ok, ma torniamo ai bot sui social.
Ma è un sistema che usate ancora?
No, non lo usiamo più credo da gennaio-febbraio. Non esiste più.
Quindi le campagne degli ultimi mesi sono “organiche”?
Assolutamente sì. Sto pensando di querelare qualcuno per certe cose che leggo in giro. Io non ho mai – e ripeto mai – creato o gestito profili Twitter o Facebook falsi per accrescere artatamente l’engagement, i retweet e la popolarità degli hashtag. Non abbiamo mai usato queste tecniche. Quell’unica tecnica che abbiamo usato, di cui ho appena parlato, si basava sull’accettazione volontaria dei singoli utenti (credo circa 200 persone in totale). Ma, ripeto, l’abbiamo usata sporadicamente e ora non la usiamo nemmeno più. E comunque non era una roba segreta, risultava facilmente visibile grazie ai log di Twitter. Ma oggi ormai c’è un bacino talmente forte, anche su Twitter, che non ne abbiamo più nemmeno bisogno. Oggi c’è gente che si iscrive a Twitter solo per sostenere Salvini, anche perché noi facciamo delle campagne di iscrizione. Ci sono delle persone in carne ed ossa che si iscrivono perché amano Salvini e vogliono sostenerlo.
Come ti poni rispetto al problema dell’odio verso i diversi, le minoranze, gli immigrati? Cito un tweet di Sofia Ventura che ti chiede di spiegarci “come si fomenta l’odio verso i diversi per farne strumento di potere”. È un argomento che tocca tante persone: non c’è il rischio di incendiare gli animi?
Noi fotografiamo, descriviamo la realtà. Se tu fai un giro nel quartiere qui fuori ti rendi conto che ci sono degli elementi oggettivi di scarsa tranquillità. Nell’era dei social si è offerta una dimensione “autoriale” a migliaia di persone che prima magari parlavano di queste cose in famiglia, con gli amici, al bar. Adesso la chiacchiera informale – a volte non informata, eccessiva, sopra le righe – ha assunto una dimensione pubblica. Riguarda questo aspetto (dell’immigrazione, ndr) che la Ventura guarda “da sinistra”, ma riguarda anche le cose che vengono dette su Salvini, su cui è in corso una vera e propria campagna di hating: “assassino”, “appeso”, Asia Argento che twitta “Salvini m…a”. L’universo dell’informazione è questo, e tu agisci in questo universo. Sei tu politico che devi fare da argine a comportamenti inaccettabili. Però è un dato di fatto che le persone oggi si sentano in diritto di dire cose inaccettabili. Prima dei social accedeva al commento pubblico delle informazioni solo una parte ridotta della popolazione, oggi tu in un minuto puoi aprire un account sui social e dire le più grandi corbellerie.
Ok, sul fatto che ci sia odio in ogni ambito, anche al di fuori dei social, siamo d’accordo. Ma non credi che Salvini con la sua comunicazione soffi sul fuoco?
Non credi che il passaggio dal paradigma “analogico” a quello “digitale” della comunicazione pubblica debba essere maneggiato con cautela?
In un’opera di Platone, credo fosse il Fedro, si stigmatizza il passaggio dall’era dell’oralità all’era della scrittura documentale, perché – si dice nel dialogo – nel momento in cui togli le parole dalla bocca e le metti in un documento “morto”, dove non c’è più l’autore (con la sua prossemica, il suono della sua voce, eccetera) le trasformi in qualcosa di “pericoloso” perché staccato dalla volontà del parlante. Quindi, ogni volta che cambia il paradigma tecnologico e c’è un impatto sull’informazione cambia il paradigma anche in tanti altri aspetti: il rapporto tra l’io e gli altri, la gnoseologia, l’ontologia, l’etica… Questa è la dimensione in cui oggi si deve operare, e ognuno opera usando il pubblico che esiste.
Ti devo fare un’obiezione. Adesso non sei solo il consulente politico e lo stratega social della Lega, sei consigliere del ministro dell’interno e vicepremier. Non pensi che tu e il tuo team abbiate una responsabilità in più rispetto a prima? Vedere il ministro dell’Interno che fa un comizio con la maglia della Polizia è corretto da parte di chi dirige il Viminale? Chi diffonde o commenta notizie di cronaca in un certo modo è una cosa che può fare un leader politico, ma il ministro dell’Interno?
Come dicevo, è Salvini l’autore della sua comunicazione. Quindi il modo in cui lui ha deciso di interpretare la comunicazione nel suo nuovo ruolo di ministro dell’Interno e vicepremier è del tutto farina del suo sacco. Non lo dico per dissociarmi, sia chiaro. Lui fa esattamente quello che faceva prima, è il suo modo di comunicare: ad alcuni piace, ad altri no. Non credo che esistano delle regole che riguardano l’interpretazione di un ruolo, e comunque le regole non sono scritte nella pietra, si possono cambiare. Lui è diventato ministro dell’Interno per la sua forza politica, il suo consenso. Tanti, nel corso degli anni, anche nella Lega, vedevano Salvini come una sorta di parvenu: quando è diventato segretario alcuni dicevano “ma sì, mettiamoci lui che è bravo a comunicare, poi le cose serie le faremo noi”. E poi lui ha dimostrato la sua capacità nel lungo periodo, non solo come comunicatore dell’immediatezza.
Però concorderai che una volta al Governo non si può vivere di sola comunicazione?
Puoi spiegare meglio come funziona il gruppo “Salvini leader” su Facebook?
Il gruppo è stato scelto perché consente una gestione diversa da quella della pagina. Nel gruppo i post cambiano posizione a seconda del loro livello di engagement, non in base ad un criterio cronologico. Si tratta di un gruppo che ha una moderazione, con un filtro elevatissimo, ma che consente di creare uno spirito di community molto forte, diverso da quello della pagina. Quando viene annunciato un evento o un’iniziativa, con questo gruppo si possono mobilitare 65 mila persone con dei livelli di engagement elevatissimi. Se io o un mio collaboratore diciamo nel gruppo di andare a scrivere sulla pagina di Tizio o di cambiare la foto del profilo, queste persone lo fanno. Ed è una cosa che si auto-alimenta, non ha bisogno di bot o di automatismi. Queste sono persone vere, non sono comparse all’improvviso: sono un club di fan che viene alimentato da anni.
Dici che Salvini fotografa la realtà, ma i contenuti di Salvini riguardano un numero di notizie negative legate agli stranieri troppo superiore rispetto a quelle legate agli Italiani. Hai mai ragionato su questa cosa in un’ottica di responsabilità, di alimentare stereotipi?
Però alimentando uno stereotipo non si fa sì che lo stereotipo si auto-perpetui, a danno di chi ne è vittima?
Ma questo vale per tutti. Purtroppo, la dinamica del confermation bias colpisce tutti i campi. Io non ho una posizione politica particolarmente radicale – anzi, in privato ho una posizione molto più “liberal” di quella della Lega, come sa chi mi conosce. La comunicazione dell’immediatezza dei social di oggi, purtroppo, favorisce il rafforzamento dei cliché: tutto è ultra-semplificato, e quindi si creano le fazioni. Non solo sull’immigrazione: vaccini, aborto, eutanasia, sono tutti temi divisivi su cui la dinamica dei social favorisce il rafforzamento delle fazioni e dei cliché.
(Foto: Alberto Cabodi)
L’intervista a Luca Morisi è la prima di una serie di interviste, realizzate da Lorenzo Pregliasco e Giovanni Diamanti, che vedranno protagonisti alcuni dei principali esperti di comunicazione politica ed elettorale. Protagonista della prossima intervista sarà Filippo Sensi.
[…] determinante del suo Social Media Strategist (come lui stesso si definisce su Linkedin) Luca Morisi e dal suo staff dedicato, è riuscito a incrementare considerevolmente i consensi in favore della […]