Solo il 44% degli italiani voterebbe per rimanere nell’Unione Europea. Ma è ancora più ridotta la percentuale di coloro che voterebbero per uscirne: il 28%. Questo il dato di cui si è parlato di più sui giornali, ma è solo uno dei molti dati contenuti in una corposa indagine di Eurobarometro commissionata dal Parlamento Europeo per capire cosa pensino i cittadini dell’UE in vista delle elezioni europee del maggio 2019.
Il report, che non a caso reca come sottotitolo “From (silent) support to actual vote”, ritrae un’Unione Europea più in salute di quanto si possa pensare. Nonostante la Brexit e il moltiplicarsi dei risultati elettorali di rilievo da parte dei partiti euroscettici, sono molti gli indicatori a suggerire che l’Unione non godesse da anni di una reputazione così positiva. Fra le inevitabili eccezioni spicca l’Italia, la quale si distingue, nuovamente, come uno dei paesi più euroscettici. Il tema più sentito in vista della prossima tornata elettorale è quello dell’immigrazione.
L’indagine è stata condotta da Kantar Public nel corso dello scorso mese, e si basa su 27.474 interviste realizzate nei 28 paesi dell’Unione (circa 1000 intervistati per paese, Regno Unito compreso), fra cittadini al di sopra dei 15 anni.
Come premesso, il consenso intorno a Bruxelles sembrerebbe essere quasi ai massimi storici. Il 62% degli intervistati ritiene infatti un bene l’appartenenza all’UE per il proprio paese, il dato più alto da inizio anni ‘90. Rispetto al dicembre 2014, il primo rilevamento dopo le ultime elezioni europee, il sostegno all’UE è aumentato in 24 paesi, compresa l’Italia, anche se da noi il dato è cresciuto molto più lentamente che negli altri paesi. Solo in Romania l’opinione sull’appartenenza all’Europa è diminuita radicalmente negli ultimi quattro anni.
Facendo il bilancio sui benefici ricevuti dall’appartenenza all’Unione il 68% dei cittadini europei si considera in credito: si tratta della percentuale più alta dal 1983, cioè da quando venne posta, per la prima volta, questa domanda.
La distribuzione delle risposte è particolarmente positiva per l’Unione nei paesi del nord, mentre l’Italia si piazza tra i paesi più euroscettici: si tratta infatti dell’unico stato membro in cui coloro che ritengono di aver ottenuto vantaggi dalla partecipazione all’Unione sono in minoranza: 43% contro 45%. Davanti a noi, al penultimo posto, la Grecia, con il 54% di risposte positive. Indagando i motivi che hanno spinto gli intervistati a riconosce un beneficio per il proprio paese, i più comuni sono stati la crescita economica (38%), le nuove opportunità di lavoro (31%), il miglioramento della cooperazione con gli altri stati membri (31%).
Cresce l’appoggio anche verso l’unione monetaria: il 77% dei cittadini dell’area euro è a favore di “un’Unione Europea economica e monetaria con una singola valuta, l’Euro”. Fra i paesi dell’Eurozona, solamente la Lituania (59%) esprime un gradimento inferiore a quello dell’Italia (65%). L’unione economico-monetaria è però ben poco popolare fra i paesi che non adottano l’Euro: basti pensare a stati tendenzialmente europeisti quali Svezia e Danimarca, dove la moneta unica è sostenuta da meno del 35% degli intervistati.
Secondo il sondaggio non esiste un rischio di nuove “exit”: se si tenesse oggi un referendum in tutti i 28 stati, compreso il Regno Unito, i favorevoli a restare in Europa sarebbero ampiamente superiori ai contrari. La forbice varia dai dati di Irlanda e Lussemburgo (dove i “remainer” superano gli “exiter” 85% a 7%) fino al dato italiano, quell’ormai noto 44% a 28% a favore di chi vuole restare nell’Unione (escludendo gli indecisi, sarebbe quasi un 65% a 35%).
Particolarmente significativa e in controtendenza, invece, la fiducia nel futuro: il 50% degli europei ritiene che le cose in UE stiano andando nella direzione sbagliata, contro un 28% di ottimisti.
Per quanto riguarda la salute della democrazia, il 48% degli intervistati è convinto che la sua voce conti in Europa. Il 49% è soddisfatto del grado di democrazia dell’Unione Europea, contro il 40% di insoddisfatti.
Particolarmente significativo come, gli intervistati, ritengano la democrazia funzioni meglio all’interno degli stati membri piuttosto che a Bruxelles: il 48% vorrebbe infatti vedere un Parlamento europeo, unica istituzione eletta direttamente, con un ruolo più importante. Tale dato è, per altro, tendenzialmente più alto nei paesi nei quali i cittadini pensano di non avere voce in capitolo in Europa.
Molte le domande che riguardano le prossime elezioni europee, programmate per l’ultimo weekend di maggio 2019. Oggi un cittadino europeo su tre ritiene probabile la propria astensione, seppur con nette differenze territoriali. Nei paesi settentrionali il dato dei potenziali astenuti è più basso (in Danimarca, Svezia e Olanda è sotto il 20%), mentre è più alto in paesi orientali come Repubblica Ceca, Ungheria e Slovacchia (sopra il 50%, come anche in Portogallo). L’Italia si caratterizza per l’alto numero di indecisi: solo il 15% è sicuro di andare a votare, ma un ulteriore 50% si distribuisce sulle risposte “è probabile” e “è abbastanza probabile”. Da rilevare come i paesi più soddisfatti della propria appartenenza all’Europa siano anche quelli in cui si prevede una maggiore affluenza.
Nonostante i dati altalenanti sulla possibile partecipazione elettorale, le rilevazioni dell’Eurobarometro registrano una forte consapevolezza dell’importanza del voto di maggio. Un voto particolarmente atteso, perché potrebbe confermare i radicali cambiamenti nello spettro politico già registrati a livello nazionale: già oggi, a distanza di ben 7 mesi dalla data delle elezioni, il 51% degli intervistati dichiara di guardarvi con interesse. Nel 2014 un risultato simile era stato raggiunto solo ad aprile, un mese prima del voto.
Gli europei sperano che la campagna elettorale possa essere occasione per parlare di immigrazione, opzione indicata come priorità dal 50% degli intervistati, in forte crescita rispetto alla medesima indagine di aprile: in soli cinque mesi è passata dal terzo al primo posto. Seguono, al 47%, “economia e crescita” e “lotta alla disoccupazione giovanile”, mentre interessa sempre meno la lotta al terrorismo. In forte crescita anche la difesa dell’ambiente (40%, +5 rispetto ad aprile). L’Italia è il secondo paese più interessato al tema dell’immigrazione (71%), dietro solo a Malta, con un dato in forte crescita rispetto ad aprile (+5%). Molto basso invece l’interesse verso i temi ambientali (25%).
Quando il quesito si trasferisce però su quelle che dovrebbero invece essere le priorità del Parlamento europeo,il tema migratorio passa in secondo piano. I primi compiti degli europarlamentari dovrebbe infatti riguardare, nell’ordine, il contrasto alla povertà e all’esclusione sociale (41%), la lotta alla disoccupazione giovanile (33%) e al terrorismo (30%) – nonostante questo sia crollato di 11 punti negli ultimi cinque mesi. Solo il 27% ritiene la ricerca di una politica comune di contrasto al fenomeno migratorio una delle priorità.
Per quanto dai risultati delle rilevazioni emerga un quadro generalmente eterogeneo tra i diversi stati membri, si nota una particolare distanza tra i dati italiani e quelli degli altri paesi dell’Europa occidentale, e in alcuni casi dell’Europa nel suo complesso. Se l’euroscetticismo nostrano non sorprende, alla luce anche del risultato elettorale del 4 marzo e degli ultimi sondaggi, è interessante notare come l’astio degli italiani nei confronti dell’UE sia più forte di quello esistente in altri paesi governati da forze euroscettiche come l’Austria e soprattutto l’Ungheria. Eppure, nonostante quanto appena scritto, occorre infine ribadire un altro dato oggettivo: per quanto con percentuali tra le più basse d’Europa, la maggioranza – relativa o assoluta – degli italiani è favorevole sia alla permanenza nell’Eurozona sia a quella nell’Unione Europea.
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