Tra una settimana si vota negli Stati Uniti per le elezioni di mid-term (metà mandato). Si tratta della più importante tornata elettorale americana dopo quella con cui si elegge il Presidente. Quest’anno le mid-term avranno un significato particolare. Vediamo perché.
Per cosa si vota? Il sistema istituzionale americano
Per cosa si vota esattamente? Innanzitutto, con le mid-term si eleggono tutti i membri della Camera (House of Representatives), che viene rinnovata completamente ogni due anni. Così come ogni due anni si vota per il Senato, ma in questo caso per rinnovare soltanto un terzo dei suoi componenti: il mandato dei senatori dura infatti sei anni, e ogni due anni ne viene rinnovato un terzo. Nel particolare bicameralismo americano, infatti, Camera e Senato hanno poteri simili (anche se non identici) ma sono due istituzioni completamente diverse: la Camera rappresenta “il popolo” e i suoi 435 membri sono eletti in collegi uninominali di popolazione simile (quindi negli stati più grandi si eleggono più deputati che in quelli piccoli); i 100 membri del Senato invece rappresentano idealmente gli stati: ogni stato elegge 2 senatori, e il ritmo sfalsato con cui il Senato si rinnova fa sì che la sua composizione non sia troppo volatile da un’elezione all’altra.
Le mid-term sono anche l’occasione in cui si elegge la maggior parte dei governatori dei diversi stati: ben 36 (su 50). Ma nell’ottica della politica nazionale tutti gli occhi degli osservatori (negli USA come all’estero) sono puntati sugli equilibri di Camera e Senato. Il motivo è presto detto: per quanto il Presidente degli Stati Uniti abbia molti poteri, i provvedimenti legislativi devono necessariamente passare per l’approvazione di entrambi i rami del Congresso. Se i Repubblicani – che attualmente detengono la maggioranza in entrambi i rami – dovessero perdere la maggioranza anche solo in una delle due camere, il Presidente diventerebbe quella che in gergo viene definita “anatra zoppa” (lame duck). Le difficoltà che ha avuto Donald Trump negli ultimi due anni a far passare i suoi provvedimenti (specialmente a causa di senatori repubblicani ben poco benevoli nei suoi confronti) sono nulla rispetto all’ostruzionismo che dovrebbe affrontare qualora i Democratici conquistassero una camera. Per la cronaca, questo è esattamente ciò che è successo a Obama, che poté contare su un Congresso a maggioranza interamente democratica solo nel suo primo biennio (2008-2010), periodo nel quale riuscì a far approvare la sua riforma sanitaria – contestatissima dai Repubblicani.
Come andrà a finire?
Quante sono le possibilità che Trump diventi una “anatra zoppa” come Obama dopo il 2010? Parecchie, secondo le previsioni di FiveThirtyEight. Il sito di analisi fondato e diretto da Nate Silver prevede – sulla base dei sondaggi effettuati fino a questo momento per ciascuna delle competizioni vede – un 85% di probabilità che i Repubblicani mantengano la maggioranza in Senato; ma attribuisce una probabilità ancora più alta (86%) allo scenario che vede i Democratici vincere la maggioranza alla Camera (dove, come detto in precedenza, è più facile che si verifichino ribaltamenti clamorosi). Il motivo di questo paradosso apparente è che al Senato si rinnovano 35 seggi, e 26 fra loro sono attualmente in mano a Democratici, che si trovano così di fronte una “mappa” molto sfavorevole; la Camera per contro si rinnova invece per intero, e sui 73 collegi più incerti per il Cook Political Report ben 69 sono oggi rappresentati da Repubblicani.
Un modello differente, messo a punto da Optimus, conferma e rafforza ulteriormente le stime di FiveThirtyEight: secondo questo modello i Democratici avrebbero quasi il 95% di probabilità di avere la maggioranza alla Camera, mentre i Repubblicani sono quasi altrettanto certi (91,6%) di mantenere quella al Senato. Entrambe le tendenze, peraltro, si starebbero rafforzando negli ultimi giorni.
I sondaggi
Ma come è possibile produrre delle stime così dettagliate? La risposta – piuttosto scontata in verità – è che negli USA viene normalmente pubblicata una enorme quantità di sondaggi riguardanti ogni singola competizione politica. Naturalmente vi sono delle competizioni più “scontate” di altre, dove ci si aspetta che un candidato stravinca, e quindi non ha senso fare sondaggi. Ma ve ne sono altre – soprattutto quelle “toss-up”, cioè incerte – dove non passa giorno senza che una rilevazione demoscopica vada ad aggiornare il quadro, segnalando un aumento (o una diminuzione) del distacco tra i due candidati, o degli indecisi, e così via.
Fare un sondaggio per ciascuna delle oltre 500 competizioni (tra aspiranti deputati, senatori e governatori) è chiaramente impossibile. Ma è possibile concentrarsi quantomeno sulle sfide più importanti, quelle più incerte – che determineranno il bilancio finale – o che vedono protagonisti degli esponenti di primo piano. È quello che sta facendo il New York Times, che in collaborazione con il Siena College Research Institute sta conducendo una serie di sondaggi su decine e decine di sfide, aggiornando i risultati in tempo reale: al momento in cui scriviamo, le telefonate effettuate dai rilevatori sono oltre 2 milioni e 700 mila.
Le previsioni degli analisti statunitensi, ad ogni modo, non si basano esclusivamente su dei semplici aggregatori di sondaggi. Dietro ogni modello ci sono anche valutazioni qualitative, che prendono in considerazione variabili storiche o socio-demografiche, oltre che – naturalmente – il voto passato. Un esempio molto valido di questo tipo di analisi qualitative, che si affianca alle rilevazioni quantitative (i sondaggi) e le integra per fornire una stima del risultato, è quello costituito dal Cook Political Report, che abbiamo già citato, in cui ogni aggiornamento delle stime su una particolare sfida viene inquadrato e rendicontato.
Gli aspetti quantitativi (i numeri) giocano un ruolo fondamentale nell’analisi politica targata USA. Questo naturalmente facilita anche il lavoro di consulenti e strateghi, che possono contare su enormi database – anche pubblici – per impostare le loro strategie. Per capire di cosa parliamo è sufficiente dare uno sguardo all’incredibile mappa interattiva del New York Times elaborata a partire dai risultati delle elezioni presidenziali 2016 a livello di circoscrizione. Tra le informazioni fornite dalla mappa, per dire, ci sono i minuti (o le ore) necessarie per raggiungere in automobile la circoscrizione di segno opposto più vicina.
Donne, uomini e l’America che cambia
Al netto del bilancio complessivo, quali sono le tendenze che emergeranno da questo voto? Uno di questi è sicuramente il “divide” costituito dal genere e dall’istruzione. Un’analisi pubblicata sul Wall Street Journal ed NBC News mostra come negli anni si vada allargando la differenza nelle preferenze di voto di due classi sociali in particolare: le donne bianche con un elevato livello di istruzione (bachelor’s degree o superiore) e gli uomini, anch’essi bianchi, ma con un livello di istruzione medio-basso (senza bachelor’s degree).
Se nel primo gruppo i Democratici (o meglio: la preferenza che ad avere la maggioranza al Congresso siano i Democratici) attualmente prevalgono di 33 punti sui Repubblicani, nel secondo viceversa è il GOP ad essere in vantaggio di ben 42 punti. Negli anni ’90, per dire, i due gruppi non mostravano forti differenze da questo punto di vista, tendendo entrambi a essere lievemente più pro-Repubblicani rispetto alla media.
Le sfide più interessanti
Avrete sentito parlare della sfida tra Ted Cruz e Beto O’Rourke per il Senato, in Texas, ma le partite interessanti sono davvero tante. Il Guardian ne ha raccolte alcune: ci trovate anche la Florida, dove è apertissima sia per il Senato (con l’uscente democratico Bob Nelson e il governatore in carica Rick Scott) sia per il governatore (lì il candidato democratico è il sindaco progressista di Tallahassee Andrew Gillum).
Ci sono poi i democratici a cui tocca difendere il proprio seggio o conquistarlo in stati ‘rossi’, cioè vinti da Trump: Heidi Heitkamp in North Dakota, Joe Manchin in West Virginia, Joe Donnelly in Indiana, Phil Bredesen in Tennessee, John Tester in Montana, Claire McCaskill in Missouri.
Troviamo poi i purple states, gli stati in bilico, come Arizona e Nevada nel South-West, che potrebbero determinare la maggioranza al Senato. E una manciata di sfide nei collegi della Camera, dalla California all’Iowa.
Come seguire queste elezioni, martedì?
In Italia ci saranno speciali televisivi di Sky TG24 e Rai News 24, oltre alla maratona di Enrico Mentana su La7. Se capite l’inglese, vi consigliamo di seguire i network televisivi (CNN, FOX News, NBC News, CBS News) e i giornali americani (New York Times, Washington Post, Wall Street Journal, Politico.com), oltre naturalmente a siti specializzati (FiveThirtyEight, Upshot, DecisionDesk).
Noi saremo su Twitter con #MaratonaYouTrend, su Facebook con video in diretta e… a Roma, per una serata speciale in compagnia di esperti, giornalisti e studiosi che ci aiuteranno a capire, fra un burger, un nacho e una Coca-Cola, le conseguenze economiche del voto, gli scenari geopolitici, le strategie di comunicazione politica adottate da Democratici e Repubblicani.
Ci vediamo a Roma per parlare di elezioni americane?
Abbiamo pensato di riservare 5 posti per la serata di martedì a Roma a lettori di YouTrend: compilate appena potete il modulo qui sotto, vi ricontatteremo se sarete tra i fortunati!
— Articolo a cura di Salvatore Borghese e Lorenzo Pregliasco
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