Il referendum sulla liberalizzazione dei servizi di mobilità pubblica a Roma non ha raggiunto il quorum. La votazione di ieri, di tipo solo consultivo, dunque non vincolante per la Giunta capitolina, prevedeva infatti un quorum del 33%. Il dato finale della partecipazione si è fermato, alle 20 di ieri sera, a meno della metà: 16,4%.
Molte sono state le polemiche: i promotori dei quesiti hanno accusato il Sindaco Virginia Raggi di aver posticipato eccessivamente la data e di non aver dato alcuna pubblicità al referendum, e le stesse operazioni di voto sono state oggetto di recriminazioni. Infine, ancor prima della chiusura delle urne, i Radicali hanno annunciato ricorso al TAR contro la decisione del Comune di mantenere il quorum nonostante si trattasse di un referendum meramente consultivo. Al di là di queste polemiche, ciò che resta è una partecipazione bassissima, che ha decretato il sostanziale fallimento del referendum nonostante la prevedibile prevalenza dei Sì (il 75% circa per entrambi i quesiti) tra chi si è recato alle urne.
In molti hanno puntato l’indice contro il “boicottaggio” dell’amministrazione comunale e verso il disinteresse degli stessi elettori romani verso la questione del trasporto pubblico. Ma la nostra analisi suggerisce che questo esito possa essere anche frutto degli orientamenti politici degli elettori.
Il referendum era stato presentato (anche) come un mezzo per esprimere un giudizio negativo sull’amministrazione Raggi: non sorprende allora che il Movimento 5 Stelle si sia schierato nettamente contro; così come non sorprende che – sia pure dopo un dibattito interno non unanime – il Partito Democratico si sia schierato per la partecipazione e per il Sì ai 2 quesiti, affiancando i Radicali che erano stati i primi promotori della consultazione.
Sia la mappa dell’affluenza sia quella dei Sì al primo quesito (del tutto analoga a quella relativa al secondo quesito), mostrano come i favorevoli al sì siano stati in numero nettamente superiore nei due Municipi del centro (I e II).
Questa “frattura” non è inedita nella geografia politica della Capitale: è infatti la stessa che è emersa in occasione delle ultime Comunali, quando (nel 2016) la Raggi divenne sindaco sconfiggendo nettamente al ballottaggio il democratico Roberto Giachetti: i 2 Municipi del centro infatti sono gli unici nei quali Giachetti precedette la Raggi al primo turno (peraltro di circa 10 punti), e dove al ballottaggio fu sconfitto solo di misura (2-3 punti a fronte di un impietoso 67-33 complessivo).
La correlazione tra voto amministrativo e orientamento favorevole al referendum sull’ATAC è nettissima: avendo come riferimento il primo turno, si nota come il Sì (calcolato sul totale degli aventi diritto, in modo tale da scontare le differenze di affluenza) sia correlato in modo quasi esattamente inverso con il voto al M5S e in modo diretto con quello ai partiti di centrosinistra (PD, Radicali e altri) pro-Giachetti:
Davvero incredibile è poi il confronto tra i voti assoluti ottenuti da Giachetti, nel 2016, nei singoli Municipi e il numero assoluto di Sì al referendum di ieri: il rapporto è quasi ovunque intorno al 90%, con un picco negativo nel VI Municipio (59%) e uno positivo nel secondo (121%). Nel I Municipio vi è addirittura un’identità quasi perfetta (25.134 Sì al referendum contro 25.132 voti a Giachetti).
Se pensiamo che queste correlazioni siano poco sensate perché è passato troppo tempo (due anni e mezzo) dalle Comunali 2016, proviamo allora a dare uno sguardo a quello che emerge correlando i Sì al referendum con il voto alle ultime Politiche: in questo caso la relazione diventa ancora più forte, sia se inversa (nel caso del voto al M5S) sia se diretta (voto a PD e +Europa).
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