Gli italiani rinunciano, sempre più spesso, alle cure mediche. Il cambiamento è stato lento ma abbastanza costante nel tempo, ed ha avuto una netta accelerazione con l’avvento della crisi economica. Dal 2005 al 2016, infatti, il numero di cittadini coinvolti dal fenomeno è aumentato da 3,8 a 4,8 milioni di persone.
La situazione al 2015
Prima della crisi meno della metà di chi non si curava attribuiva la sua rinuncia a motivi economici, mentre nell’ultimo anno disponibile, il 2015, più dell’80% degli intervistati ha dichiarato di non curarsi perché non poteva permetterselo. In numeri assoluti si tratta di quasi il doppio delle persone, da circa 1,8 milioni nel 2005 a circa 3,6 milioni nel 2015. Il secondo fattore di rinuncia sono le lunghe liste d’attesa che affliggono la sanità pubblica, il cui impatto è però sceso all’aumentare delle difficoltà economiche, fino a raggiungere il minimo storico nel 2015, con l’8,1% (circa 350 mila persone), meno della metà del 2005. I dati presi in considerazione sono quelli ufficiali per l’Italia del sondaggio europeo sul reddito e le condizioni di vita (EUSILC), promosso congiuntamente dall’Eurostat e dall’Istat.
Quanti hanno rinunciato, almeno una volta, alla cure mediche? (Val. in milioni)
2017, annus horribilis?
Nell’audizione in Parlamento della settimana scorsa, però, il presidente facente funzioni dell’Istat, Maurizio Franzini, ha riportato dati aggiornati al 2017 che offrono un quadro mutato e molto allarmante. Di fronte alle commissioni bilancio delle due Camere riunite, Franzini ha sottolineato come, dalle rilevazioni più recenti di cui disponeva, gli italiani che almeno una volta avevano scelto di non curarsi per colpa di cure troppo costose fossero più di 4 milioni (con un aumento secco di oltre 400mila unità rispetto a due anni prima), mentre quelli che avevano rinunciato principalmente per i tempi di attesa avevano raggiunto la cifra record di 2 milioni. In particolare in riferimento a quest’ultimo dato, se consideriamo la situazione al 2015, notiamo che si tratta di un aumento netto di quasi 5 volte e per di più contrario alla tendenza precedente.
Naturalmente, si tratta di dati non ancora pubblicati (l’ultima rilevazione EUSILC accessibile è del 2016, e l’Italia non vi ha partecipato) che sono stati esposti in maniera discorsiva durante una presentazione più ampia. Tuttavia, se le cifre dovessero essere confermate, sarebbero più che giustificati i numerosi titoli giornalistici dedicati alle dichiarazioni di Franzini: mai come nel 2017 le liste d’attesa avrebbero ostacolato l’accesso alla sanità dei cittadini italiani.
CENSIS: quadro più esteso, numeri più preoccupanti
Stime significativamente più alte, che avevano sollevato un notevole allarme all’epoca della loro diffusione, sono quelle del VII rapporto annuale sulla sanità del 2017 realizzato dal Censis insieme a RBM Salute. Questa rilevazione portava il numero di chi aveva rinunciato almeno una volta alle cure nei 12 mesi precedenti a oltre 12 milioni di persone, addirittura più del 20% della popolazione. Anche qui, la tendenza di crescita rispetto al passato era netta, determinata prevalentemente dai costi delle prestazioni e dalle liste di attesa. Ma come si spiegano due serie di dati così differenti?
Quanti hanno rinunciato, almeno una volta, alle cure? Censis vs Istat
Il motivo della discrepanza risiede nei diversi criteri di calcolo delle due rilevazioni: il sondaggio EUSILC isola esclusivamente chi afferma di aver rinunciato a cure mediche, mentre il rapporto Censis-RBM aggregava a questi tutti coloro che avevano rinunciato più in generale a prestazioni sanitarie, includendo le cure odontoiatriche, socio-sanitarie e socio-assistenziali. Il trend, qualunque dato si guardi, è chiaro: il numero di persone che sceglie di non curarsi per cause indipendenti dalla propria volontà è in costante aumento, ai suoi massimi storici.
Web, l’alternativa (a volte cattiva)
A ciò si può mettere in relazione un’altra tendenza emergente, l’esplosione dell’e-health. Sono sempre di più, infatti, gli italiani che cercano su internet notizie relative alla propria salute. Dalla lettura combinata dei rapporti annuali Censis e del recente studio di Reale Mutua sulla salute digitale emerge che il 66% degli italiani cerca informazioni sanitarie sul web (era il 42% nel 2014); l’oggetto principale delle ricerche sono le patologie (lo fa il 67%), ma si usa la rete anche per informarsi sulle prescrizioni ricevute e sull’uso dei medicinali (41%), degli integratori alimentari (24%), o sulla prevenzione delle malattie (28%).
Quali informazioni sanitarie si cercano su internet? (Val. in percentuale)
Nei dati del Censis si nota anche un elemento preoccupante: una parte significativa delle ricerche è fatta per trovare una conferma o una smentita alla diagnosi del medico curante. Nasce così la figura del challenging patient, disposto cioè a sfidare il giudizio del proprio medico sulla base delle informazioni reperite su internet; secondo le stime potrebbero essere addirittura intorno al 20% le ricerche online che hanno anche questo scopo. Anche per Reale Mutua, ben il 19% dei pazienti crede che in futuro il web sostituirà in buona parte il medico.
Ciononostante, la maggioranza di chi cerca queste informazioni non lo fa per sfiducia, ma per comodità: il servizio più utilizzato, dal 59% degli utenti, è la prenotazione di visite o esami sanitari, seguito dalla consultazione di referti informatizzati (48%) e dal ricorso alla medicina a distanza (37%), particolarmente utile nel caso di pazienti non autosufficienti.
Buon giorno,
apprezzo molto che finalmente qualcuno vuole dedicare un po’ di attenzione metodologica a questo tema che periodicamente torna alla ribalta.
Per quanto concerne lo studio Censis: non ho ancora trovato un’indicazione seria che si occupi del conflitto d’interesse insito nell’indagine Censis. Il finanziatore dell’indagine è un gruppo assicurativo con forte focus sul campo “Assicurazioni malattie”. La stessa indagine, in genere, viene pubblicizzata 2 volte all’anno, in autunno e primavera, una volta da Censis, una da RBM.
Ho cercato anche di avere il testo esatto della domanda che Censis pone agli intervistati. Non ci sono riuscito; bisogna acquistare il volume completo dello studio.
Rinunciare ad un appuntamento perché scomodo è una cosa, non effettuare un esame strumentale per il costo del ticket è un’altra. Nessuno, poi, suddivide i risultati per “prestazioni appropriate” e “prestazione inappropriate”.
Grazie dell’attenzione.
Dr. Ulrich Wienand
Buongiorno,
sono Marco Vecchietti CEO&GM di RBM Assicurazione Salute. Apprezzo molto il lavoro molto onesto da un punto di vista scientifico che ha fatto il dott. Forti perché invece di fantasticare su imaginifiche ipotesi complottiste ha chiarito che tra indagine Istat ed indagine RBM-Censis esistono due diversi criteri di analisi. Nel Rapporto RBM – Censis l’obiettivo è misurare l’effettiva fruibilità delle prestazioni del Servizio Sanitario Nazionale. Sono pertanto considerati, come ben chiarito nell’appendice metodologica della ns pubblicazione, tutti coloro che nell’anno hanno rinunciato o differito almeno una prestazione sanitaria per motovi economici o a causa delle procedure di accesso (plafond, liste di attesa etc).
Non si tratta di voler forzare in alcun modo la realtà quanto di due prospettive di analisi diverse. Dal nostro punto di vista al là di qualsiasi indicatore OECD o Bloomberg sulla qualità del Servizio Sanitario Nazionale sulla carta conta quanto il sistema sia nei fatti realmente accessibile per i cittadini. I ricercatori Censis, credo sia importante chiarirlo ancora una volta, non ricevono da noi alcun condizionamento perché l’obiettivo del finanaziamento che da quasi 10 anni garantiamo a questa attività ha come unico obiettivo quello di favorire la più ampia informazione possibile sui temi sanitari che troppo spesso sono ignorati nel dibattito pubblico e dalla politica, benché riguardino uno dei beni più preziosi per tutti noi. Questo settore ha bisogno di analisi e metodologie scevri da pregiudizi ed in questa ottica non posso che apprezzare l’analisi del dott. Forti – che per completezza informativa segnalo di non conoscere personalmente – perché va in questa direzione. Dobbiamo rafforzare la consapevolezza di tutti gli italiani sul futuro del nostro Sistema Sanitario perché chiunque possa fare le proprie valutazioni responsabilmente e sulla base della situazione reale.