Il 2018 passerà certamente alla storia come una rivoluzione. Le elezioni di marzo hanno ribaltato gli equilibri che avevano sino ad oggi caratterizzato la Seconda Repubblica, già indeboliti, negli scorsi anni, dall’affermarsi del Movimento 5 Stelle. Forza Italia e Partito Democratico, i due principali attori dell’agone politico dell’ultimo ventennio – pur nelle diverse declinazioni storiche – sono stati relegati a ruoli di opposizione, con percentuali estremamente marginali se raffrontate a quelle del passato, e non sembrano, ad oggi, riuscire a trovare una strada per uscire dalla crisi. Il tutto a favore di una definitiva consacrazione della terza area, quella del Movimento 5 Stelle, e di un’esplosione di consensi per la Lega Nord, partito tra i più datati tra le forze parlamentari, ma che ha saputo, grazie alla guida di Matteo Salvini, ritagliarsi un ruolo (e un profilo) completamente nuovo nella politica italiana.
L’anno di Forza Italia
Negli ultimi giorni di un anno così importante, abbiamo deciso di ripercorrere l’andamento dei protagonisti della politica italiana in questo 2018, sfruttando anche le indicazioni della nostra Supermedia. Il primo articolo è dedicato a Forza Italia, il partito che forse ha inciso più di ogni altro sulla storia della Seconda Repubblica, ma oggi lontano dai fasti di un tempo, relegato al ruolo di quarta forza politica del Paese.
Il partito di Silvio Berlusconi si è presentato alla vigilia del 4 marzo come cardine della coalizione di centro-destra. Sebbene il suo ridimensionamento fosse già evidente nei mesi precedenti alle elezioni, quindici giorni prima del voto, la Supermedia lo accreditava al 16,4%. Il margine di vantaggio sulla Lega, ferma al 13,1%, sembrava dunque tale da permettergli di riaffermarsi come guida dell’area di centrodestra. Anche forte di questa convinzione, Silvio Berlusconi aveva accettato, in caso di vittoria della coalizione, di designare come candidato premier il leader del partito con il maggior numero di voti.
Nelle ultime settimane prima del voto, il centrodestra sembrava essere, per altro, l’unica area in grado di ottenere la maggioranza assoluta dei seggi. Silvio Berlusconi – su cui pesava l’incandidabilità dettata dalla legge Severino – dopo mesi di dubbi e un elenco infinito di nomi, aveva avanzato quello di Antonio Tajani come possibile candidato alla presidenza del Consiglio per FI. Tajani, alla guida da poco più di un anno del Parlamento Europeo, nonostante alcune polemiche da parte dei colleghi di Bruxelles e qualche dubbio iniziale, è divenuto quindi, il 28 febbraio, il candidato di Forza Italia.
Gli equilibri su cui la coalizione si basava, tuttavia, non sono più solidi e definiti come un tempo. Da un lato Berlusconi sentiva minacciato il ruolo suo e di Forza Italia dalla Lega di Matteo Salvini, dall’altro per il leader del Carroccio era concreta la possibilità di un secondo “patto del Nazareno” tra FI e PD, atto a marginalizzare il Movimento 5 Stelle. Un’evenienza che, insieme a Giorgia Meloni, leader di Fratelli d’Italia, ha contestato più e più volte, preannunciando come uno scenario di questo tipo sarebbe stato inaccettabile e avrebbe portato ad un’implosione del centrodestra stesso. La corsa per la leadership dell’area si era quindi sempre più caricata di tensioni, con il voto di marzo che appariva decisivo per delineare i nuovi assetti del centrodestra, oltre che del Paese.
4 marzo: il crollo
Il 4 marzo, oltre a deludere le aspettative di Forza Italia, sancisce, quasi a porre un punto simbolico alla fase politica inaugurata nel 1994, anche la fine del mito Berlusconi. Per la prima volta, infatti, la sua immagine non è stata in grado di portare i consensi del partito oltre il previsto: Forza Italia si ferma al 14%, meno del dato indicato dai sondaggi. La Lega, al contrario, ottiene il 17,3%. Dopo 24 anni, Silvio Berlusconi non è più il leader della forza di maggioranza del centrodestra.
La situazione del partito, a questo punto, è oggettivamente complicata: Forza Italia si ritrova a far parte della coalizione che ha ottenuto più voti, di cui ha improvvisamente perso la leadership. Inoltre, il successo è solo parziale e, a conti fatti, inutile: il centrodestra arriva al 37%, non abbastanza per ottenere la maggioranza in Parlamento, e il Presidente della Repubblica non prende neanche in considerazione di affidargli un mandato esplorativo. Davanti allo stallo istituzionale, per la prima volta il partito di Silvio Berlusconi è del tutto ininfluente nella formazione del nuovo Governo. Ciònonostante, riesce ad ottenere l’elezione della senatrice Elisabetta Alberti Casellati alla presidenza del Senato, dopo il veto posto dal M5S su altri due candidati.
La posizione del partito, però, si indebolisce ulteriormente nei sondaggi. La conquista della leadership dell’area di centrodestra da parte della Lega è un terremoto: tra il voto di marzo e i mesi necessari alla formazione del nuovo Governo il partito di Salvini arriva a l 23,9% delle preferenze, mentre Forza Italia crolla sotto quota 12%.
I tentativi di Silvio Berlusconi per dare quantomeno l’apparenza di un ruolo chiave nella coalizione, ad esempio esprimendo un consenso alle trattative tra la Lega e il Movimento 5 Stelle per dare una maggioranza al Parlamento, appaiono deboli, quasi atti a mascherare una scelta che Matteo Salvini avrebbe, molto probabilmente, comunque deciso di percorrere in piena autonomia. Un assenso che, peraltro, viene dato nella piena consapevolezza che su Forza Italia pesa l’unico vero veto da parte del partito guidato da Luigi Di Maio: Berlusconi e il suo partito non potranno far parte di un eventuale esecutivo a guida gialloverde.
A poco serve, a maggio , anche la riabilitazione di Silvio Berlusconi da parte del tribunale di Milano. Dopo cinque anni il leader di Forza Italia è nuovamente candidabile, ma la stessa notizia passa quasi in secondo piano. Alla nascita del Governo Conte, la Supermedia colloca il partito, come già scritto, attorno al 12%. Un mese dopo scende sotto il 10%. A inizio agosto sotto il 9%. In soli cinque mesi, Forza Italia ha perso circa un terzo dei propri consensi rispetto alla già deludente tornata elettorale. Consensi migrati principalmente verso la Lega: da un recente sondaggio IPSOS sui flussi elettorali si nota che il 32% di chi ha votato Forza Italia a marzo oggi voterebbe il partito di Matteo Salvini, mentre un altro 15% è indeciso o si rifugerebbe nel non voto.
Il paradosso, opposizione nazionale, asse locale
Nella seconda parte dell’anno la situazione si stabilizza, ma non migliora. Anche nel suo ruolo di opposizione, il partito di Silvio Berlusconi vive una situazione paradossale: fortemente contrario e critico verso la Lega a livello nazionale, principale alleato della stessa a livello locale, dove la coalizione di centrodestra si presenta, invece, compatta, reduce da anni di successi elettorali e amministrativi. Sono diversi, infatti, sia i Comuni che le Regioni in cui un esponente di Forza Italia o della Lega governa grazie ai voti ottenuti dai due partiti in coalizione: è chiaro come sia nell’interesse di tutte e tre le forze dell’area non rompere l’equilibrio a livello locale, ma è altrettanto evidente la difficoltà di una posizione così ambigua.
Il centrodestra si presenta quindi unito, quando ancora l’idea di un governo pentaleghista è solo un’ipotesi, alle elezioni in Friuli Venezia-Giulia e in Molise, vincendole entrambe ed eleggendo Massimiliano Fedriga (Lega) e Donato Toma (FI) con ampio margine sugli avversari. Ma fa lo stesso anche a giugno, in occasione della tornata di voto che ha visto interessati numerosi comuni italiani: sono 11 i capoluoghi vinti dal centrodestra, ben 19 comuni sopra i 15 mila abitanti, tra cui spiccano la vittoria, al primo turno, di Francesco Rucco a Vicenza, di Mario Conte a Treviso e di Salvatore Pogliese a Catania, e quelle di Massa, Pisa e Siena – roccaforti del centrosinistra – al ballottaggio. A ottobre, quindi, è il turno delle elezioni per la Provincia Autonomia di Bolzano e soprattutto di Trento, dove viene eletto Presidente Maurizio Fugatti, grazie all’exploit della Lega. Ad oggi, Forza Italia governa, insieme alla Lega, in ben 6 regioni e 18 capoluoghi di provincia.
In conclusione, il partito di Silvio Berlusconi si trova ad affrontare una situazione estremamente complicata. L’emorragia di consensi sembra essersi arrestata, ma il partito è stabile a livelli critici. E nulla sembra essere cambiato neanche davanti alle difficoltà riscontrate dal Governo sulla legge di bilancio. Con il tempo, Antonio Tajani ha guadagnato visibilità mediatica rispetto agli altri personaggi di spicco del partito e allo stesso Berlusconi, ma per ora il Presidente dell’Europarlamento non sembra in realtà essere dotato di quel carisma necessario a subentrare alla guida del partito, in caso di uscita di Berlusconi.
Ad oggi, anche in caso di caduta del Governo, all’interno della coalizione qualsiasi scelta di rottura da parte di Forza Italia nei confronti di Matteo Salvini – nel tentativo di uscire dall’ambiguità e riaffermarsi come punto di riferimento per l’elettorato di destra moderato – si tradurrebbe, quasi sicuramente, in una sua messa all’angolo e un successivo isolamento, con Fratelli d’Italia che appare molto più propenso a schierarsi con la Lega. Le Europee del prossimo mese di maggio rischiano di essere un altro “turning point” nella storia del partito, e la strada perché non lo sia in senso negativo è tutta in salita.
Articolo a cura di Angelo Sidonio e Andrea Viscardi
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