Che la nascita del Movimento Cinque Stelle avesse sancito la fine del bipolarismo italiano era già emerso, con tutta la sua forza, nelle elezioni del 2013. Che le Politiche 2018 ne potessero consacrare il ruolo di primo partito era, almeno nei mesi precedenti alla tornata elettorale, un dato più che probabile. Ma che ciò avvenisse con il 32,7% dei consensi, ben 14 punti percentuali in più della seconda forza politica italiana – il Partito Democratico – era un risultato difficilmente prevedibile.
La strada scelta per la conquista di Palazzo Chigi, e quanto avvenuto nei mesi successivi, hanno però dimostrato la tesi secondo cui governare è molto più difficile che fare opposizione. Non sono mancate, sin dalla scelta della Lega come partner di governo, tensioni interne al partito, cresciute poi di mese in mese su temi particolarmente delicati, quali quello dei migranti o della legge di bilancio. Come conseguenza, tra giugno e dicembre, il M5S è stato colpito da un considerevole calo di consensi, e costretto a guardare impotente la Lega affermarsi come primo partito nelle intenzioni di voto.
Il 4 marzo: apoteosi a cinque stelle
I primi mesi dell’anno si aprono con un Movimento 5 Stelle annoverato tra il 27,6% e il 28,5% (dati Supermedia). Un risultato che permetterebbe al partito di Luigi Di Maio di riconfermarsi prima forza del Paese alle elezioni. Diverse sono, invece, le prospettive riguardanti la formazione di un governo: l’ipotesi di un accordo post-elettorale con il Partito Democratico non sembra percorribile, mentre non è affatto scontato che un’alleanza con la Lega (stimata intorno al 13%) possa essere sufficiente a raggiungere una maggioranza in Parlamento.
La sera del 4 marzo questo scenario muta però in modo radicale. Il Movimento ottiene infatti il 32,7% dei voti – oltre 4 punti in più di quanto previsto dalla nostra ultima Supermedia, aggiornata al 15 febbraio –, mentre la Lega guadagna la leadership del centrodestra con il 17,4%. Il Partito Democratico e Forza Italia invece crollano, ponendosi in una posizione di debolezza nelle successive trattative per la creazione di un esecutivo.
La nascita del Governo Conte
Al termine della prima tornata di consultazioni rimane aperta per qualche giorno la possibilità di un’alleanza M5S-PD. Un’ipotesi favorita dall’intercessione del nuovo Presidente della Camera, Roberto Fico, da sempre considerato il più a sinistra tra gli esponenti di spicco del Movimento. L’illusione, però, dura poco: la posizione avversa di Matteo Renzi e la mobilitazione di buona parte dell’elettorato democratico spengono sul nascere ogni possibilità di dialogo tra le due forze.
Non resta, dunque, che guardare alla Lega di Matteo Salvini. I contatti erano già stati aperti nei giorni immediatamente successivi al voto, ma sembravano essersi conclusi con un nulla di fatto. Ed è proprio a questo punto che, in realtà, si nota qualche crepa all’interno dei pentastellati. L’ala di sinistra, guidata proprio da Roberto Fico, appare molto scettica rispetto all’opzione leghista, soprattutto a causa di una propaganda considerata al limite della xenofobia sul tema migranti. D’altra parte, non vi sono altre strade percorribili. Così, nonostante le difficoltà riscontrate nella stesura del “Contratto di Governo” e nella formazione della lista dei Ministri, il 1°giugno nasce il Governo Conte.
Per la prima volta da 24 anni, nessuno dei due grandi partiti protagonisti della Seconda Repubblica, Forza Italia e PD, fa parte della maggioranza. Si tratta di un momento storico ma che, paradossalmente, ha alcuni punti in comune con il passato. Se la Lega ha raggiunto percentuali altissime al nord, il Movimento 5 Stelle occupa, letteralmente, tutto il sud del Paese. Curiosamente, pur in proporzioni diverse, è quanto già era avvenuto, tra gli anni novanta e gli anni duemila, nel centrodestra: Forza Italia era in grado di ottenere altissimi livello di consenso nel centro e nel sud del Paese, che si ridimensionavano in parte nel nord e nel nord-est, dove invece la Lega aveva il proprio feudo. Due partiti diversi e complementari nella distribuzione del voto ma, come ben emerge nell’instant book “Una nuova Italia”, osservando l’elettorato con filtri socio-demografici, le differenze tendono, su molti punti, a sfumare.
Due leader, un vincitore
Per formare un esecutivo sono stati però necessari quasi tre mesi, durane i quali l’equilibrio di forza dei due partiti di Governo è mutato profondamente. La forbice di consenso è andata riducendosi: il Movimento ha perso quasi 3 punti percentuali, scendendo al 30,9%. Il leader del Carroccio, invece, grazie alla sua abilità comunicativa, porta la Lega, in 90 giorni, a guadagnare ben 8 punti (25,3%).
A giugno, inoltre, il partito di Luigi Di Maio conferma grandi difficoltà nel replicare a livello locale i risultati nazionali: alle amministrative non si afferma al primo turno in nessuno dei circa 150 comuni con più di 15 mila abitanti, e raggiunge il ballottaggio in appena otto di questi. Il bottino è magro. Ottiene la guida di Acireale, Avellino, Imola e Pomezia (e di alcuni comuni minori), ma perde una delle sue città simbolo, Ragusa.
I primi 90 giorni dell’avventura gialloverde vedono quindi posta al centro l’annosa questione dei flussi migratori. La posizione tenuta dall’Italia verso l’Unione Europea in vista del vertice di Vienna e l’affaire Diciotti mettono in evidenza una predominanza della linea leghista. Matteo Salvini, per tutta l’estate, attua una strategia di profondo impatto mediatico, monopolizzando la comunicazione del Governo e ponendo in secondo piano sia il Premier Giuseppe Conte che Luigi Di Maio.
Le tensioni interne ai pentastellati aumentano. Roberto Fico richiama più volte il leader leghista ad un maggior rispetto dei ruoli istituzionali, senza nascondere l’insofferenza verso le sue posizioni su diritti e migranti, opposte a quelle dell’ala più storica del Movimento. La stampa inizia a parlare di una spaccatura sempre più evidente, mentre Luigi Di Maio è accusato di essere troppo indulgente con il leader del Carroccio.
Il risultato è che, tra giugno e agosto, la Lega aggancia il Movimento 5 Stelle. Nella prima rilevazione di settembre, quindi, la Lega attua il sorpasso, portandosi al 31,6%, mentre il Movimento continua una lenta discesa (27,5%). Da questo momento in poi, la forbice tra i partiti continuerà ad allargarsi in favore del Carroccio.
Il 2018 del Movimento 5 Stelle
Gli ultimi mesi e la legge di bilancio
Dopo l’estate, l’attenzione si sposta su quella che sarà la partita di fine anno: la legge di bilancio. Nei mesi precedenti, sulle questioni economiche, il Movimento e la Lega erano stati, per quanto possibili, concilianti con l’Unione Europea. Una strategia attuata anche per smorzare le tensioni emerse con il Quirinale (e con i mercati), come conseguenza dello scontro sulla nomina di Paolo Savona a ministro.
A settembre, lo scenario cambia. Il Ministro dell’Economia Giovanni Tria perde la lotta interna al Governo per mantenere una previsione di deficit in linea con i parametri concordati con Bruxelles. L’obiettivo è quello di far partire tutti i punti principali del Contratto tra Lega e Movimento 5 Stelle già nel 2019: dal reddito di cittadinanza a un principio di flat tax, passando per il superamento della Riforma Fornero con la previsione della quota 100. Il 27 settembre, dal balcone di Palazzo Chigi, Luigi di Maio annuncia che il rapporto deficit/PIL sarà stabilito, per il 2019, al 2,4%.
A Bruxelles, però, nessuno esulta. Lo scontro è duro, ma alla fine a cedere su tutta la linea è proprio il Governo. Il 13 dicembre il Premier Conte annuncia che l’accordo è chiuso con un 2,04%. Ciò significa il netto ridimensionamento sia del reddito di cittadinanza che delle modalità di accesso a quota 100, e l’introduzione di una clausola di salvaguardia, da sempre criticate dallo stesso Movimento, che potrebbe portare, nel 2020, ad un consistente aumento dell’IVA.
È proprio in questi mesi che si evidenzia, ancora, un gap di capacità comunicativa e di leadership da parte di Luigi Di Maio. Il confronto indiretto con Matteo Salvini vede puntualmente prevalere il secondo, anche in termini di consenso. Tra il 13 settembre e il 13 dicembre il Movimento perde terreno di settimana in settimana, toccando il 25,5% – dato minimo dal 2016 – mentre il distacco con la Lega cresce, arrivando, il 29 novembre, al 5,7%.
L’evoluzione del M5S
Il 60% degli elettori pentastellati confermerebbe il proprio voto
Il momento di difficoltà del Movimento 5 Stelle e la crescente sfiducia da parte del proprio elettorato sono ben evidenziati dalle attuali intenzioni di voto. Le recenti analisi sui flussi di diversi istituti (Ipsos, Cise e Ixè) concordano su un fatto: ad oggi, oltre un terzo degli elettori che hanno votato M5S il 4 marzo non riconfermerebbe il proprio voto. Secondo Ipsos, la metà di questi elettori “allontanati” si dice al momento indecisa o propensa al non voto, mentre ben il 12% guarderebbe proprio in direzione della Lega. Se osserviamo i flussi in entrata, la situazione è lontana dall’essere compensata, con il Movimento in grado di attrarre con forza solamente l’elettorato di marzo di Forza Italia (13%).
Le intenzioni di voto tra gli elettori M5S di marzo
In ogni caso, negli ultimi quindici giorni di questo 2018, l’emorragia di consenso sembra essere stata arginata, con un’inversione del trend negativo che ha visto il Movimento riassestarsi a quota 26%. Ma le Europee 2019 si avvicinano e sarà il nuovo anno a dirci se il blackout degli ultimi sei mesi potrà essere, finalmente, solo un lontano ricordo.
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