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Quanto (e perché) sta calando la natalità in Italia

Nelle ultime settimane, dopo la pubblicazione degli ultimi dati Istat in materia di riduzione delle nascite, tanti media nazionali hanno affrontato il tema in maniera più o meno approfondita. In effetti la flessione della natalità che emerge dai dati è impressionante, e giunge alla fine di un decennio in cui il saldo è stato costantemente negativo, anche se con intensità variabile. Tuttavia, fra i media tradizionali pochi hanno cercato di approfondire la questione, e quasi tutti si sono limitati a riportare i dati così come ce li ha forniti l’Istat.

Ci siamo presi un po’ di tempo per cercare di trovare una risposta più completa sulle cause che hanno portato il numero di nuovi nati in Italia a 458 mila, record negativo dal 1861. Proviamo a portare due punti di vista diversi: oggi parleremo dei dati sulla natalità e dell’impatto avuto dai mutamenti culturali, mentre in un prossimo articolo ci concentreremo sulla crisi economica e i suoi effetti demografici.

Cosa è successo: un po’ di dati

Rispetto al 2008, in effetti, l’anno scorso sono nati circa 120 mila bambini in meno. Non si è trattato, quindi, di una diminuzione lenta e graduale, bensì di un crollo netto del 21%. A un primo, superficiale, sguardo, si potrebbe pensare che si tratti di un declino in atto ad un ritmo costante sin dall’apice del baby boom italiano nel 1965, anno in cui in Italia nacquero ben 1 milione di bambini. Non è così: all’epoca infatti iniziò un primo calo che fu piuttosto drastico, ma che si arrestò dopo circa 20 anni.

Dal 1987 in poi, infatti, la natalità si è stabilizzata intorno alle 550 mila nascite annue, ed è rimasta lì per più di due decenni. Con oscillazioni più o meno rilevanti come il picco del 1990 (quando una lieve ripresa aveva portato il numero di nascite nuovamente a 576 mila) e il “crollo” del 1995 (quando si toccò un minimo di 525 mila). Insomma, per 20 anni l’Italia ha avuto una natalità quasi costante.

Il trend più recente parte circa con l’inizio della crisi economica del 2008, anno in cui in Italia nascono circa 580 mila bambini (record positivo dal 1985). Ma da allora la cifra diminuisce rapidamente fino ai 458 mila del 2017.

Natalità e fertilità in Italia


Questo crollo, però, si riferisce esclusivamente al dato delle nascite. Se osserviamo invece l’andamento della fertilità (ossia il numero di figli per donna) notiamo sì un calo, ma meno accentuato e in lieve “ritardo”. Il motivo di questa discrepanza è principalmente uno: il tasso di fertilità viene calcolato solo sulle donne considerate in età fertile, e quindi appartenenti a una precisa coorte anagrafica. Il calo della natalità in questo caso si traduce più lentamente in una diminuzione del tasso di fertilità, perché c’è bisogno di aspettare almeno un parziale ricambio nella coorte d’età considerata.

Il calo della fertilità nelle regioni italiane


La diminuzione è avvenuta in modo diverso nelle varie zone del Paese. In particolare, il calo più forte si è verificato nelle regioni con un tasso di fertilità maggiore (Lazio, Umbria, Marche, Lombardia) mentre è stato più debole laddove prima si facevano meno figli (Molise, Basilicata, Calabria, Friuli Venezia Giulia). In questo modo c’è stato un parziale riequilibrio dell’eterogeneità precedente, con la riduzione della distanza fra le prime e le ultime della classifica. L’unica eccezione è rappresentata dal Trentino-Alto Adige, prima regione in Italia per numero di figli per donna, in cui si riscontra lo stesso livello di fertilità del 2008.

Il calo è più forte nelle regioni più fertili


Infine, vale la pena dare un’occhiata al numero di nati per ordine di nascita. Infatti, se durante il crollo delle nascite post-baby boom la flessione ha riguardato soprattutto i figli dal terzo in poi, il nuovo calo demografico iniziato nel 2008 ha investito in parti quasi uguali i primogeniti (-25%) e i secondi figli (-20%).

Adesso il calo riguarda primogeniti e secondi figli


Cosa significa questo? Che se il calo dal 1965 al 1985 era principalmente dovuto a un’evoluzione sociale e culturale, quello attuale ha molto più a che fare con motivazioni economiche. Vediamo perché.

Le cause: i mutamenti culturali

Ad avere un impatto sulla natalità, infatti, sono fattori sia culturali, sia economici. Un esempio evidente dei primi è l’evoluzione del ruolo della donna nella società fra gli anni ’60 e ’70, che ha portato a un aumento dell’occupazione femminile e della presenza di donne in possesso di un titolo di istruzione superiore. Per questo ci aspetteremmo che le donne più investite dal cambiamento culturale, cioè quelle che hanno mostrato per prime un’inversione di tendenza, siano state le adolescenti e le giovani donne della fine degli anni ’60. Osservando il grafico dell’età media alla quale ha avuto figli ciascuna annata di donne, però, abbiamo una (parziale) sorpresa: le donne di cui parlavamo, quelle nate fra il 1945 e il 1955, hanno l’età media di maternità più bassa in assoluto.

Età media di maternità per classe di nascita della madre

Per omogeneità sono state considerate soltanto le classi d’età per le quali sono a disposizione i dati completi per il periodo fra i 18 e i 40 anni, cioè le donne nate fra il 1935 e il 1977.

L’età media più bassa del previsto si spiega per due ordini di motivi. In primis, per le donne nate nelle generazioni precedenti era molto più frequente fare più di due figli, e questo ne alzava l’età media di maternità. Si può dire quindi che la diminuzione della propensione a fare più figli ha colpito prima le generazioni più anziane, riducendo così l’età media.

In secondo luogo i tempi di assestamento delle dinamiche demografiche sono lunghi, e i fattori culturali che causano i cambiamenti impiegano molto tempo a diffondersi in modo uniforme. Un’inversione istantanea del trend, nonostante il forte impatto avuto dal ’68, sarebbe stata decisamente poco probabile.

Tutto ciò emerge ancora meglio guardando l’evoluzione delle nascite per classe di età della madre, rappresentato dal grafico seguente. Le cesure fra le diverse generazioni sono ancora più nette: le donne nate prima della Seconda Guerra Mondiale (le madri del baby boom, in azzurro) hanno un comportamento molto simile fra loro, e non troppo dissimile da quelle nate fra il 1942 e il 1951 (in arancione), che però hanno avuto meno figli e in età mediamente più giovane.

Quanti figli ha fatto ogni classe di donne?

Se si confrontano queste due generazioni con quelle successive, la differenza è evidente. La generazione 1952-1961 (in blu scuro) ha anticipato ulteriormente l’età della maternità. Osservando la curva, però, si nota che non è stato un anticipo uniforme: semplicemente, le donne di questa generazione hanno fatto molti meno figli dai 23 anni in poi rispetto a quelle nate prima.

La diminuzione del numero di figli prosegue se si guardano i figli delle attuali cinquantenni (in viola), ma stavolta l’età media inizia ad alzarsi. L’aumento di età è ancora più rilevante nell’ultima generazione per la quale abbiamo dati completi, ovvero le donne nate negli anni ’70(in rosso).

Facciamo due esempi eclatanti della differenza drastica fra le generazioni. Le ventiquattrenni nate nel 1941 hanno avuto quasi il quadruplo dei figli rispetto alle loro coetanee del 1977. I rapporti si invertono quando si guardano i figli avuti a 40 anni: in questo caso le donne della classe ’77 hanno avuto circa 14 mila figli, ben il triplo di quelli avuti alla stessa età dalle donne del ’41.

La secolarizzazione

Un altro fattore culturale importante è l’evoluzione del ruolo della Chiesa Cattolica e dell’istituzione del matrimonio (anche civile) nella società. Questo può essere misurato calcolando il numero di figli nati fuori dal matrimonio, un indice che viene spesso usato per valutare il grado di secolarizzazione di un Paese.

Come potremmo aspettarci, il dato era storicamente molto più basso nel Mezzogiorno. Nel 1999, in Calabria nascevano fuori dal matrimonio il 4,6% dei bambini e in Basilicata erano appena il 2,4%. Pochissimi, se confrontati con il 16% dell’Emilia Romagna e il 17,8% del Trentino-Alto Adige. In vent’anni, le percentuali complessive sono cresciute, e di molto, su tutto il territorio nazionale: dal 10% siamo arrivati a quasi il 31% nel 2017. Ma il trend di crescita, soprattutto negli ultimi anni, ha investito maggiormente le regioni del Sud, che stanno lentamente colmando il gap.

I figli nati fuori dal matrimonio in Italia

Ma che impatto ha la secolarizzazione sulla fertilità? Dare una risposta univoca è molto difficile, perché negli ultimi anni sta cambiando la natura della correlazione fra le due variabili. Inizialmente, infatti, essa era negativa: ad una minore secolarizzazione corrispondeva maggiore fertilità, soprattutto a causa dei dati del Meridione. Dal 2005 in poi, invece, la tendenza si è invertita, fino ad avere molti più figli per donna in alcune fra le regioni e le province più secolarizzate, come riscontrato da uno studio del 2014 sulla distribuzione della natalità in Italia. Il calo di questi ultimi anni, tuttavia, ha fatto sì che il trend cambiasse ancora: oggi sembra esserci una correlazione positiva, ma molto più debole rispetto a quella che si aveva fino al 2010, lasciandoci in una situazione di incertezza.

Giovanni Forti

Romano, studia Economics all'Università di Pisa e alla Scuola Sant'Anna. Quando non è su una montagna, si diverte con sistemi elettorali, geografia politica e l'impatto delle disuguaglianze sul voto.

5 commenti

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  • Nell’ultima decade si é inserito un fenomeno nuovo non preso in esame dall’analisi dell’autore: il riacutizzarsi dell’emigrazione di giovani italiani (20-40 anni) verso l’estero. Tale fenomeno, che a causa della crisi ha assunto delle dimensioni importanti (sopra le 100.000 unità all’anno) può avere avuto un significativo impatto sul tasso di natalità.
    Ci sono delle analisi a riguardo?

  • Nel grafico non sono state inserite alcuni eventi basilari il divorzio e l’aborto, anni 1970 e 1978. Ma queste due leggi hanno inciso sulle prospettive di vita delle persone in anticipo sulla entrata in vigore delle leggi. Probabilmente anche dieci anni prima sono iniziate le conseguenze sull’aspetto demografico. L’incertezza …. non aiuta a formare una forte e stabile struttura familiare. Da qui un calo delle nascite …. forse positivo se non fosse ostacolato dall’ossessione di molti politici ed imprenditori atti ad invertire ad ogni costo tale calo demografico.
    Probabilmente un calo della popolazione sarebbe auspicabile vista la continua riduzione della necessità di lavoratori.
    Una riduzione destinata ad aumentare per tutte le attività produttive facilmente robotizzabili.
    Oggi politiche sociali totalmente diverse dalle attuali sarebbero auspicabili.

  • A parer mio il calo delle nascite è imputabile all’incertezza nel futuro, all’impossibilità di fare piani a lungo termine (nemmeno i nostri politici li fanno) dovuti al precariato, al fatto che l’entrata nel mondo del lavoro, se avviene, è comunque sempre più posticipata (più tardi lavori e più tardi vai in pensione, gravando quindi per meno tempo a spese dello stato). Una donna che a 30 anni non ha ancora un lavoro fisso, e che questo comunque non le garantirà una stabilità economica, non potrà realizzarsi e nemmeno avrà nelle sue priorità la maternità, ha ben altro a cui pensare.
    Questo comunque è un gran problema perchè l’Italia sarà a breve un paese di anziani che costeranno sempre più allo stato che non avrà nemmeno una forza lavoro giovane a contribuire alla spesa pubblica.
    Non li vedo i robot a muovere l’economia (hanno solo costi di manutenzione, non hanno bisogno di altro), e nemmeno vedo chi automatizzerà la produzione tagliando sul personale a preoccuparsi di chi resta a casa e non ha più nemmeno uno stipendio.