L’incertezza sul futuro della Brexit continua ad agitare il Regno Unito, dove nei giorni scorsi il parlamento ha bocciato, come atteso, il piano di Theresa May, condannandola ad una sconfitta storica, con 230 voti di margine. Il giorno seguente la premier è però riuscita a passare indenne dalla mozione di sfiducia proposta dal leader laburista Jeremy Corbyn. E gennaio non è ancora finito: il 29 gennaio è atteso un nuovo voto parlamentare sul “Piano B” della May, con tutte le incertezze del caso.
Tanti sono infatti gli scenari per il futuro della Brexit, nessuno di questi particolarmente facile da percorrere per il governo in carica: sia per l’entità della sconfitta subìta in Parlamento la scorsa settimana, sia visti i tempi stretti. Allo stato attuale il Regno Unito dovrebbe infatti lasciare l’Europa fra poco più di due mesi, il 29 marzo. Theresa May potrebbe quindi proporre un secondo voto sullo stesso accordo, o concordare con i negoziatori europei alcune piccole modifiche da proporre in Parlamento. Oppure potrebbe cercare di riaprire i negoziati per introdurre modifiche significative all’accordo, ma in questo caso occorrerebbe con tutta probabilità rinviare l’uscita dall’Unione – il tutto sempre ammesso che vi sia il nulla osta dell’Europa.
Se la UE fosse disponibile ad un allungamento dei tempi ci sarebbero altre possibilità sul tavolo, a partire da un secondo referendum, o addirittura un ritorno alle urne per eleggere un nuovo Parlamento per dare un mandato politico forte ad un nuovo governo. In caso contrario, resta all’orizzonte anche l’opzione “No Deal”, ovvero uscire dall’UE senza alcun accordo: una eventualità da molti considerata avventata e pericolosa, ma sostenuta sia dai Leavers più convinti che da una parte non indifferente dell’elettorato.
Fra le tante opzioni possibili, il “No Deal” è la prospettiva preferita: il 24% degli intervistati vuole infatti andare avanti senza accordo; il 22% vuole un secondo referendum, in cui si possa scegliere tra accettare l’accordo e restare nella UE; il 20% vuole continuare i negoziati; il 12% chiede nuove elezioni per decidere chi dovrà continuare ad occuparsi della Brexit; infine il 9% vuole un referendum fra l’attuale accordo e l’opzione “No Deal”. Le risposte cambiano molto a seconda del partito sostenuto: gli elettori conservatori preferirebbero andare avanti senza accordo o continuare i negoziati, mentre chi vota Labour vorrebbe tornare al voto, o per un secondo referendum in cui si possa scegliere per il “Remain” o per eleggere un nuovo governo.
Brexit, bozza May respinta. E ora?
Per quanto riguarda il parere sull’attuale accordo (quello rigettato con uno scarto di 230 voti dal Parlamento), i cittadini del Regno Unito sembrano in sintonia con quanto votato dai loro rappresentati: secondo un sondaggio di Opinium uscito domenica scorsa, solo il 12% valuta positivamente l’accordo bocciato, mentre la metà degli intervistati lo disapprova esplicitamente. Ad affossare l’accordo sono i Leavers (solo il 9% ne ha un’opinione positiva) ma anche i Remainer (15%). Gli scontenti dell’accordo incolpano soprattutto Theresa May (40%), e si dividono sulle responsabilità dell’Unione Europea. A incolpare le istituzioni continentali è solo il 6% degli elettori laburisti delusi dell’accordo, ma ben il 46% dei conservatori.
La bozza May per la Brexit non piaceva (quasi) a nessuno…
Corollario dell’impopolarità dell’accordo May è che non solo gli elettori gli preferirebbero l’opzione “No Deal” (37% contro 31%), ma anche che nell’ipotesi di un referendum fra restare in Europa e uscirne con l’attuale accordo, quest’ultimo ne uscirebbe sconfitto (per 45% a 35%). Da notare come, nell’ipotesi di un referendum di quest’ultimo tipo, solo il 64% di chi ha votato per lasciare l’Unione sarebbe convinto di uscirne sulla base dell’accordo raggiunto (il 27% si divide fra astensione e “non so”).
Nonostante il malcontento per il risultato ottenuto da Theresa May, solo il 15% pensa che la premier dovrebbe dimettersi e lasciar continuare i negoziati a qualcun altro, mentre il 26% ritiene che debba lavorare per pianificare un’uscita senza accordo.
Malgrado il caos che regna, soprattutto fra i conservatori, dai sondaggi di Opinium e YouGov di questo mese – effettuati in parte prima del voto parlamentare che ha bocciato l’accordo – emerge che i Tory aumentano il loro vantaggio sui laburisti, ora al 2,6%. Si tratta però di un risultato agrodolce, dato che entrambi i partiti sono in discesa rispetto al mese scorso. Quest’ultimo, intensissimo anno ha infatti logorato i due maggiori partiti storici. Dalle elezioni del 2017 la somma dei loro consensi non è mai stata così bassa: se nel giugno 2017 furono votati da oltre l’82% degli elettori, infatti, oggi sono sostenuti dal 75,3%. Ad avvantaggiarsene sono i partiti minori, soprattutto i Liberal-Democratici (pro-UE senza grandi esitazioni) che sfiorano ormai il 10%, e lo UKIP, accreditato di un sostegno più che triplicato rispetto alle elezioni del 2017 (5,7%).
Regno Unito, i sondaggi degli ultimi 12 mesi
Fra le debolezze dei grandi partiti c’è ancora lo scarso grado di apprezzamento dei due leader. Secondo l’ultima rilevazione di Opinium – svoltasi dopo il voto del parlamento sulla Brexit – solo il 29% degli elettori approva la leadership Theresa May, e sono ancora di meno (il 24%) quelli che approvano il modo in cui Corbyn sta guidando il suo partito: per il leader dei laburisti è il risultato più basso dalle ultime elezioni, ben 11 punti sotto a quello registrato dallo stesso istituto nell’agosto 2017. May batte Corbyn anche nei sondaggi su chi sia il premier preferito (29% a 22%).
Occorre infine ricordare che, nonostante l’attenzione sia stata monopolizzata dalla questione della Brexit, secondo gli elettori questo è solo il secondo tema più importante su cui si dovrebbe concentrare la politica. La priorità degli elettori è infatti, come negli scorsi mesi, la sanità.
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