Il 30 dicembre scorso si sono tenute le elezioni presidenziali in Repubblica Democratica del Congo, dopo più di due anni dalla scadenza naturale del mandato del presidente uscente, Joseph Kabila, che ha fatto di tutto per rimandare anche questa volta la data del voto.
Kabila è stato in carica dal 2001 alla fine del 2018. Fu nominato in seguito all’assassinio del padre Laurent-Désiré, personaggio chiave del processo di rovesciamento del precedente dittatore Mobutu Sese Seko e presidente durante le guerre che ne seguirono, che causarono tra fine anni Novanta e inizio anni Duemila più di 5 milioni e mezzo di morti.
Il voto è stato posticipato per ben due anni (si sarebbe dovuto votare nel 2016), la data è stata fissata per il 23 dicembre, ma a causa di una serie di presunti incendi a dei magazzini dove era conservato il materiale elettorale, tutto alla fine è slittato di una settimana.
Lo scenario
Kabila, non potendo ripresentarsi perché già presidente per due mandati, ha scelto di candidare il proprio delfino Emmanuel Ramazani Shadary, già ministro dell’Interno e della Sicurezza. Personaggio poco conosciuto nel Paese e dal profilo controverso, soprattutto per l’attuazione di certe politiche repressive nei confronti di attivisti e opposizioni, nonché per l’eccessiva violenza con la quale ha sedato alcune rivolte nella capitale e nella provincia del Kasai.
Per quanto riguarda l’opposizione, in un primo momento sembrava che tutti i partiti avessero raggiunto un accordo e individuato nella persona di Martin Fayulu il candidato unitario per sconfiggere il successore di Kabila. Fayulu, fino al 2003, è stato un alto quadro della società petrolifera statunitense ExxonMobil, e dal 2006 è membro dell’Assemblea Nazionale.
Verso la metà del novembre scorso, però, un importante rappresentante dell’opposizione, Félix Tshisekedi, si è sfilato dall’accordo e ha deciso di candidarsi alla presidenza a capo di uno dei partiti più rappresentativi, l’Unione per la Democrazia e il Progresso Sociale (UDPS). Anche Tshisekedi è un figlio d’arte: suo padre Étienne, infatti, è stato uno dei più feroci oppositori di Joseph Kabila, candidandosi anche alle elezioni del 2011, quando venne sconfitto, non senza sollevare delle ombre sul corretto svolgimento delle elezioni.
L’esito
Ci sono voluti ben dodici giorni dalla data delle elezioni perché la Commissione Elettorale Nazionale Indipendente (Ceni) rendesse noti i risultati elettorali, dichiarando vincitore Tshisekedi, con il 38,57% dei voti, seguito da Fayulu (34,83%) e da Shadary (23,84%). Durante tutto questo tempo la connessione internet è stata interrotta dal Governo in tutto il Paese, ufficialmente per evitare la distribuzione di notizie false, in pratica per ostacolare la grande rete di controllo che la Chiesa cattolica, assieme alle opposizioni, ha messo in piedi.
È infatti dalla metà del 2018 che la Conferenza Episcopale Nazionale del Congo (Cenco) ha iniziato a organizzare un capillare monitoraggio del voto, costruendo una rete di ben 40 mila osservatori che sono riusciti a coprire il 75% dei seggi di un territorio vastissimo, grande quasi otto volte l’Italia. Per ora, gli unici dati divisi per provincia arrivano proprio dai monitoraggi della Cenco, e mostrano un risultato molto diverso da quello trasmesso dalla Ceni.
Congo: il risultato elettorale rilevato dalla Cenco
Come possiamo vedere dalla mappa, Fayulu trionferebbe nella maggior parte delle province: vincerebbe praticamente ovunque, con picchi che raggiungono nel nord addirittura un consenso dell’80% e con un dato nazionale del 57,4%.
Tshisekedi otterrebbe la maggioranza dei voti solo nelle province del Kasai, storiche roccaforti del padre, e si fermerebbe al 20,4%, mentre Shadary conquisterebbe quattro province centrali, mai con una percentuali bulgare, e con un dato nazionale del 18,5%.
Ad oggi, la Ceni deve ancora rendere noti i risultati divisi per provincia, non appena lo farà (se mai lo farà), sarà nostra cura aggiornare questo articolo.
Uno sguardo alla Repubblica Democratica del Congo
Le conseguenze
Non appena i risultati ufficiali sono stati resi noti, Fayulu ha dichiarato di voler contestare l’esito delle elezioni sollevando i sospetti fondati che il regime abbia fatto un patto con l’ex oppositore, che ha subito cominciato a moderare i toni, dichiarando che Kabila “da oggi non è più un avversario”.
Nella notte del 20 gennaio la Corte Costituzionale ha però respinto il ricorso di Fayulu. Pochi giorni dopo, il 24 gennaio, Tshisekedi ha giurato, divenendo il quinto Presidente della Repubblica Democratica del Congo. La Comunità Internazionale, in particolar modo l’Unione Africana e l’Unione Europea, pur con evidente delusione rispetto alle dinamiche che hanno caratterizzato le ultime settimane, hanno “preso atto” dell’avvenuta elezione di Tshisekedi.
Per la prima volta nella storia del paese, la successione del potere è quindi avvenuta senza violenze o colpi di stato, sebbene in un contesto sul quale, al momento, pesano molti (e fondati) dubbi. La strada verso una democrazia matura, per la Repubblica Democratica del Congo, è ancora lunga.
*Giovanni Pigatto è curatore, con Laura Mozzato, del podcast “Ab Origine”, dedicato alla storia, alla politica, e alla società degli Stati africani. Di seguito la puntata dedicata proprio alla Repubblica Democratica del Congo, andata in onda il 19 gennaio.
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