Quelle di oggi in Nigeria dovevano essere le seste elezioni di un sistema multipartitico giovane, nato nel 1999, quando il paese uscì da una serie di governi militari. A poche ore dall’apertura dei seggi, però, la Commissione per le elezioni (INEC) ha deciso di rinviare il voto al 23 febbraio.
Mahmood Yakubu, il Presidente della Commissione, ha dichiarato come tale decisione non sia legata a problemi di sicurezza (solamente ieri, un attentato terroristico nel nord ha causato oltre 50 vittime), bensì di logistica. Negli scorsi giorni, infatti, due uffici elettorali erano stati dati alle fiamme, con la distruzione di oltre diecimila schede elettorali e ottocento urne. Ad aggiungersi a queste difficoltà, il maltempo avrebbe impedito la distribuzione del materiale necessario al voto in alcune aree rurali e remote del paese.
Immediate le proteste dei due principali candidati, il presidente uscente Muhammadu Buhari (All Progressives Congress) e Atiku Abubakar (People’s Democratic Party), che hanno aspramente criticato la scelta, accusandosi a vicenda. Il comitato elettorale del primo ha infatti sostenuto che il rinvio favorirà nuovi tentativi, da parte di Abubakar, di attuare strategie subdole e deviate per attaccare il Presidente in carica. Da parte sua, Abubakar ha esplicitamente attaccato il Partito di Governo, responsabile a suo dire del rinvio, orchestrato per scoraggiare i cittadini dal recarsi alle urne e favorire una bassa affluenza.
Reazioni negative anche tra la popolazione, colpita negli ultimi giorni da grandi disagi. Coprifuoco, blocchi stradali e, in ultimo, la chiusura dei confini a partire dalla giornata di ieri. In molti avevano percorso centinaia di chilometri per tornare nelle proprie città natie e votare, altri si erano accampati, per la notte, fuori dai seggi così da evitare le lunghe ore d’attesa il giorno seguente. Molte scuole sono state chiuse nell’arco della settimana per motivi di sicurezza, così come la maggior parte delle piccole attività commerciali. Uno scenario che si ripeterà, dunque, la prossima settimana, tra le proteste unanimi dei cittadini.
Nigeria, boom demografico e divisioni religiose
La Nigeria, con 200 milioni di abitanti, è il più popoloso degli stati africani, nonché il settimo stato più popoloso del mondo. La sua popolazione cresce a un ritmo vertiginoso: è stato calcolato che, entro il 2060, avrà da sola gli stessi abitanti di tutta l’Unione Europea.
Il Paese è demograficamente diviso in due. Il nord, a maggioranza musulmana, è la parte più povera e insicura ed è il luogo dove si concentrano gli attentati e gli attacchi violenti da parte dell’organizzazione islamica Boko Haram. Il sud, a maggioranza cristiana, è invece la parte più ricca e agiata. Qui si concentrano le grandi città come Lagos (la vecchia capitale), Ibadan e Benin City. Esattamente al centro del Paese si trova Abuja, capitale dal 1991.
La mappa demografica
Le divisioni etniche e soprattutto religiose hanno da sempre influito sulle elezioni. Non da ultime nel 2015, quando si fronteggiavano il presidente uscente Goodluck Jonathan, cristiano praticante, e un ex generale dell’esercito, Muhammadu Buhari, che riuscì a vincere grazie soprattutto al voto delle regioni a maggioranza musulmana.
Nel nord maggioranza musulmana, nel sud cristiana
Buhari e Abubakar, corsa all’ultimo voto
L’appuntamento con le urne è a scadenza quadriennale. Per essere eletti presidente è sufficiente la maggioranza semplice dei voti, a patto però che si sia ottenuto almeno il 25% in 27 dei 36 stati in cui è suddivisa la Repubblica federale. I candidati che si fronteggeranno domani sono ben 72 ma, occorre sottolineare, di norma il 99% dei voti si concentra sugli esponenti dei due partiti principali.
Quest’anno lo scenario è cambiato molto. Per prima cosa, a causa dell’esplosione demografica che sta vivendo la Nigeria, gli elettori sono molti di più e molto più giovani. Se nel 2015 avevano diritto al voto 67 milioni di nigeriani, quest’anno sono più di 82 milioni, la metà dei quali in una fascia d’età compresa tra i 18 e i 35 anni. Per questo motivo la campagna elettorale si sta giocando sul grande tema dell’economia e della disoccupazione giovanile.
Per il partito di governo, l’All Progressive Congress (APC), il candidato è il Presidente uscente Muhammadu Buhari. L’APC, è una formazione politica abbastanza recente, nata nel 2013 dalla fusione dei tre principali partiti di opposizione a Goodluck Jonathan: l’Action Congress of Nigeria, il Congress for Progressive Change e l’All Nigeria Peoples Party. Il suo simbolo è una specie di scopa di saggina, spesso sventolata durante le manifestazioni e i comizi dai leader politici e dai sostenitori del partito.
Buhari è musulmano, nato in una città dell’estremo nord del paese 76 anni fa. Prima della vittoria nel 2015 si era già candidato, perdendo, nel 2007 e nel 2011. La sua campagna elettorale ha concentrato l’attenzione sul tema della stabilizzazione del Paese. Ha promesso di migliorare l’economia, colpita da una dura recessione, e di combattere la corruzione. Quest’ultima era stata proprio la bandiera della campagna elettorale del 2015, ma in questi quattro anni i risultati raggiunti sono stati, in realtà, molto modesti.
L’economia torna a crescere, ma lentamente
Circa a metà della sua presidenza, nel 2017, Buhari ha dovuto abbandonare la Nigeria per andare a curare una grave malattia a Londra, lasciando la carica nelle mani del suo vicepresidente (il sistema è molto simile a quello statunitense). Non sono state date notizie precise sulla natura della malattia, e anche per questo girano su di lui curiose tesi complottiste che lo vorrebbero già morto da mesi e sostituito da un sosia di origine sudanese.
One of the questions that came up today in my meeting with Nigerians in Poland was on the issue of whether I‘ve been cloned or not. The ignorant rumours are not surprising — when I was away on medical vacation last year a lot of people hoped I was dead. pic.twitter.com/SHTngq6LJU
— Muhammadu Buhari (@MBuhari) December 2, 2018
Il principale partito di opposizione è il People’s Democratic Party (PDP), al governo ininterrottamente dal 1999 al 2015. È stato fondato nel 1998, quando la Nigeria tentava faticosamente di uscire dal governo militare che perdurava sin dagli anni Ottanta. Il suo candidato è Atiku Abubakar, anche lui musulmano del nord, uomo d’affari che si è arricchito grazie al business dell’estrazione del petrolio. Ha 72 anni ed è una vecchia conoscenza della politica nigeriana, dato che ha ricoperto la carica di vicepresidente durante i due mandati di Olusegun Obasanjo, dal 1999 al 2007. Abubakar ha promesso di combattere aspramente la disoccupazione, in particolar modo giovanile, e di ridare slancio ad un’economia che ha patito una grave recessione.
Disoccupazione giovanile fuori controllo
I sondaggi ci dicono che la sfida è apertissima. Il sito di analisi politica thewillnigeria.com prevede una vittoria di Buhari, sebbene di poco, grazie alla sua forza nelle regioni di origine nel nord e alla forza del suo partito nel sud-ovest. Un altro sondaggio, condotto a gennaio, invece, dà Abubakar vincitore con il 45% dei voti, contro il 33% del presidente uscente. Prima del verdetto, però, si dovrà attendere un’altra settimana di serratissima campagna elettorale.
*Giovanni Pigatto è curatore, con Laura Mozzato, del podcast “Ab Origine”, dedicato alla storia, alla politica, e alla società degli Stati africani.
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