Manca poco più di un mese alla deadline della Brexit e il governo del Regno Unito continua ad inciampare sul percorso di uscita. Dopo la sonora bocciatura subita un mese fa da Theresa May sulla sua proposta di accordo con l’UE, la premier ha incassato prima la fiducia del Parlamento e poi il sostegno alla riapertura dei negoziati, con la correzione del backstop nel mirino. Da lì le cose sono ricominciate a precipitare per la premier. Prima l’Unione Europea ha negato eventuali nuove concessioni nei negoziati, poi il 14 febbraio è arrivato un altro voto contrario della House of Commons, che ha bocciato la mozione con la quale Theresa May chiedeva al Parlamento di ribadire il sostegno al mandato negoziale della premier.
Il tutto mentre il 29 marzo è prevista l’uscita effettiva del Regno Unito dall’Unione e con le imminenti elezioni europee che complicano anche l’idea di un rinvio della scadenza. A fine mese Brexit tornerà in parlamento: il 26 febbraio Theresa May dovrà riferire sugli eventuali progressi, e il giorno dopo si svolgerà un nuovo dibattito parlamentare.
Se i conservatori non se la passano bene, anche i laburisti hanno le loro grane. Negli ultimi giorni infatti sette parlamentari laburisti hanno dato vita alla più grande spaccatura nel partito dal 1981, dando le dimissioni e contestando la linea di Jeremy Corbyn sulla Brexit e le presunte posizioni antisemite del partito. Al gruppo, che ha preso il nome di Independent Group e si schiera su posizioni centriste, si sono poi uniti un ottavo laburista e tre parlamentari conservatrici, in disaccordo con la gestione della Brexit e con lo spostamento a destra del loro (ex) partito.
C’è spazio per un nuovo partito?
Non c’è solo il nuovo Independent Group: nell’ultimo mese anche Nigel Farage ha annunciato la creazione del suo nuovo partito, “Brexit Party”, con l’obiettivo di candidarsi alle elezioni europee nel caso in cui fosse rinviata l’uscita del Regno Unito. L’istituto demoscopico Opinium registra che il 38% degli elettori britannici non si sente rappresentato né dai conservatori né dai laburisti, e il 40% ritiene che sarebbe meglio rappresentato da un nuovo partito.
La necessità di una nuova formazione è particolarmente sentita da coloro che due anni e mezzo fa hanno votato per lasciare l’Unione Europea (48%). Inoltre, il 59% degli elettori prenderebbe in considerazione la possibilità di votare per un nuovo partito centrista, se questo nascesse (il dato è stato rilevato prima della scissione tra i laburisti). Un’opinione condivisa in egual modo (48%) sia dagli elettori conservatori che da quelli laburisti, e con poche variazioni fra Leavers e Remainers (61% a 59%).
Un sondaggio di YouGov realizzato dopo la scissione dei laburisti (ma prima che altri parlamentari conservatori li imitassero), attribuisce all’Independent Group il 14% delle intenzioni di voto. A farne le spese sarebbero più i laburisti che i conservatori: ma la nuova formazione andrebbe soprattutto ad intaccare l’elettorato dei LibDem (in misura pari a un terzo).
Partiti, elettori e radicalismo
Il sondaggio di Opinium afferma anche che per il 41% degli elettori britannici sia i laburisti che i conservatori sono diventati estremisti (solo il 28% ritiene che ciò non sia vero). Una questione particolarmente attuale se si guarda l’atteggiamento ben poco accondiscendente verso Theresa May da parte dei parlamentari conservatori sulla Brexit e se si considera che la leadership di Corbyn fra i laburisti è considerata – anche in Italia – un punto di riferimento della sinistra che denuncia il progressivo spostamento verso il centro dei partiti progressisti.
A sentirsi più moderati sono però proprio gli elettori laburisti. Sempre Opinium ha infatti chiesto ai potenziali elettori britannici di descrivere la propria collocazione politica su una scala che va da 0 (estrema sinistra) a 10 (estrema destra), con 5 a rappresentare il centro. La posizione media degli elettori conservatori (6,8) è più distante dal centro di quella dei laburisti (3,6), e i conservatori che si auto-collocano molto a destra sono quasi il doppio dei laburisti che si ritengono molto a sinistra (13% contro 7%). Dati che rendono quello conservatore il partito con l’elettorato più spostato a destra, più dello UKIP (6,6), mentre i laburisti sono a loro volta sorpassati a sinistra dallo Scottish National Party (3,3). Nel complesso, l’elettorato britannico tende in media lievemente verso destra (5,1).
Nello stesso modo si registra che i Leavers si ritengono più a destra (5,8), mentre i Remainers e coloro che si astennero nel referendum sulla Brexit tendono leggermente a sinistra (4,5 e 4,6 rispettivamente). I giovani (18-34 anni) sono inoltre la generazione più a sinistra (4,7 in media) e quella più radicale: un giovane su dieci si posiziona infatti alle estremità dello spettro politico, a destra (6%) o a sinistra (4%).
Opinium ha misurato anche la posizione dell’elettorato suo temi delle libertà personali e dell’ordine pubblico, in una scala che va da 0 (molto libertari) a 10 (molto autoritari). Mentre l’elettorato generale tende lievemente verso posizioni libertarie (4,9), i conservatori sono il partito con l’elettorato più autoritario (5,8). Non si registrano da questo punto di vista particolari differenze a livello generazionale.
L’incubo delle urne
Anche senza prendere in considerazione la possibile nascita di un nuovo partito, le incertezze della situazione politica continuano a logorare i due grandi partiti, che oggi potrebbero contare su un elettorato complessivo ancora inferiore rispetto al record negativo di un mese fa. Secondo la nostra media dei sondaggi di YouGov e Opinium, a febbraio i conservatori sono il leggera risalita (40%), mentre i laburisti sono in caduta al 34,8%, perdendo 1,5% rispetto a gennaio e quasi sei punti rispetto ad un anno fa.
In difficoltà sono anche i due leader principali: perde un punto Theresa May, ne guadagna uno Corbyn, ma restano entrambi su valori molto bassi (28% la premier, 25% il segretario laburista). Nel quesito sul premier ideale May supera sempre Corbyn (30% contro 22%) ma resta molto elevato il dato di chi non vorrebbe nessuno dei due (39%).
Corollario di questo calo dei due partiti maggiori è che se si tornasse alle urne potrebbe riproporsi una situazione di hung parliament, ovvero senza un partito in possesso di una maggioranza autonoma. Conservatori e laburisti hanno infatti oggi insieme meno del 75% dei consensi, quasi 8 punti in meno rispetto alle ultime elezioni del 2017.
Secondo la simulazione di YouGov, che si basa su oltre 40.000 interviste realizzate ad inizio febbraio nella sola Gran Bretagna (dove si assegnano 632 seggi sui 650 della House of Commons – i partiti dell’Irlanda del Nord sono diversi da quelli del resto del regno), se si votasse oggi i conservatori otterrebbero fra i 313 e i 328 seggi, con modeste possibilità di raggiungere i 326 necessari per governare autonomamente. Il risultato più probabile per loro sarebbe infatti 321 seggi, quattro in più di quelli attuali, ma non abbastanza per raggiungere la maggioranza – e soprattutto non abbastanza perché Theresa May riesca a portare avanti la “sua” Brexit senza dover temere voti ribelli nel suo partito.
Andrebbe ancora peggio però ai laburisti, che passerebbero da 262 a 250 seggi. Dei 15 seggi con maggiore probabilità di cambiare colore 12 sono attualmente controllati proprio dal partito di Corbyn: sei di questi verrebbero probabilmente conquistati dai conservatori, cinque dallo Scottish National Party e uno dai LibDem. Un ritorno alle urne gioverebbe invece proprio ai LibDem e allo Scottish National Party, entrambi accreditati di una crescita di 4 seggi, mentre resterebbe probabilmente a zero lo UKIP.
Laburisti antisemiti?
Come accennato, uno dei motivi della scissione fra i laburisti è costituito dalle presunte posizioni antisemite assunte dal partito di Jeremy Corbyn. Una denuncia che riflette il pensiero di una parte consistente dell’elettorato: il 39% ritiene che il partito laburista tolleri l’antisemitismo (solo il 23% è in disaccordo) e il 35% ritiene che lo stesso Corbyn sia antisemita (ma non per il 25%). Si tratta comunque di un’opinione minoritaria fra gli elettori laburisti, dal momento che solo il 15% pensa che il partito tolleri questo tipo di posizioni e solo il 12% ritiene che lo stesso segretario sia antisemita.
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