Domani in Senegal si terrà il primo turno delle elezioni presidenziali (anche se si tratta di un sistema semi-presidenziale, come in Francia). L’eventuale secondo turno, invece, si terrà un mese dopo, domenica 24 marzo. Il Senegal è probabilmente il Paese più stabile dell’Africa occidentale, una regione complicatissima nella quale si trovano alcuni tra gli stati più poveri e instabili del continente (come Mali, Niger, Sierra Leone). Con un referendum costituzionale nel 2016 è stato accorciato il mandato presidenziale che, da queste elezioni in avanti, passerà da sette a cinque anni (come accaduto in Francia dal 2002 in poi).
Le elezioni del 2012
Le scorse elezioni non sono state prive di polemiche: tutto il dibattito si è giocato attorno alla liceità o meno del presidente uscente Abdoulaye Wade di correre per un terzo mandato. Nel 2001, infatti, si era tenuto un altro referendum costituzionale per limitare a due mandati la carica di Presidente della Repubblica. La limitazione fu approvata con un vero e proprio plebiscito. Con quel referendum, peraltro, si abolì anche il senato, istituito solo due anni prima e mai veramente entrato nel sistema politico senegalese (alle uniche elezioni che si tennero per eleggerne i membri, le opposizioni non parteciparono per protesta).
Wade non rinunciò alla propria candidatura, sulla scorta del fatto che la sua prima elezione, nel 2000, era avvenuta con la versione precedente della costituzione, quando ancora non c’erano limiti ai mandati. Il 27 gennaio 2012, la Corte Costituzionale senegalese, a meno di un mese dalle elezioni, dichiarò legittima la candidatura di Wade, scatenando le proteste. In quel periodo, quasi tutta l’Africa settentrionale (e non solo) era sconvolta dalle primavere arabe che portarono al rovesciamento dei governi dittatoriali in Tunisia, Egitto e Libia.
Sull’onda lunga di queste proteste, diverse persone si riunirono in Place de l’Obélisque a Dakar, che divenne così una sorta di versione senegalese di Piazza Tahrir, dove l’anno prima si erano riuniti i ribelli egiziani per protestare contro il regime di Hosni Mubarak.
Nonostante queste proteste, le elezioni si svolsero in modo abbastanza tranquillo. Più della metà degli elettori andò a votare: dei 14 candidati andarono al secondo turno Wade (primo col 34,8% dei voti) e Macky Sall (secondo con il 26,6%). Grazie a un accordo tra tutte le opposizioni fu proprio quest’ultimo a spuntarla, diventando il quarto presidente del Senegal post-indipendenza.
Lo scenario
Quest’anno gli aventi diritto di voto sono 6,7 milioni di senegalesi, 1,4 in più rispetto a sette anni fa. A differenza della scorsa tornata, i candidati sono solo cinque.
Si ripresenta il presidente uscente Macky Sall a capo dell’Alleanza per la Repubblica (APR), dato come favorito dagli osservatori. L’APR è stato fondato nel 2008, quando lo stesso Sall ha deciso di uscire dal partito del presidente in carica Wade. Tutta la campagna elettorale di Sall è ruotata attorno al suo Program Senegal emergent, nel quale punta sulla continuità, per portare a termine le grandi opere che è riuscito a mettere in cantiere durante il suo mandato. In realtà, la maggior parte di questi progetti – come l’aeroporto internazionale Blaise-Diagne di Dakar, il Museo delle civiltà nere (Musée des civilisations noires), la nuova linea elettrificata del treno – sono opere già pensate da Wade e che Sall ha semplicemente fatto proprie.
Gli altri candidati
Gli altri quattro candidati sono Ousmane Sonko, Idrissa Seck, Issa Sall e Madické Niang. Secondo gli analisti, i primi due sono quelli che possono dare più filo da torcere al presidente uscente. Quelli che potevano essere i principali oppositori di Sall sono stati però esclusi dalla competizione dalla Commissione Elettorale Nazionale Autonoma (CENA) a causa dei loro problemi con la giustizia.
Nella fattispecie, il figlio del vecchio presidente, Karim Wade, è stato accusato di corruzione, mentre l’ex sindaco di Dakar, Khalifa Sall, è attualmente ancora in prigione con l’accusa di appropriazione indebita di fondi pubblici. Molti sollevano dubbi di giustizia a orologeria, accusando Macky Sall di aver fatto pressioni per eliminare dalla scena politica gli eventuali candidati più ostici. Tanto che l’ex presidente Wade, oggi 92 enne, ha dichiarato che “i cittadini senegalesi dovrebbero boicottare il voto, attaccare i seggi e dargli fuoco”.
Ousmane Sonko, 44 anni, è un deputato dell’Assemblea Nazionale che ha iniziato una campagna all’insegna della rottamazione della vecchia classe dirigente, ed è a capo della piattaforma PASTEF, Patrioti del Senegal per l’etica, il lavoro e la fraternità. Sonko ha rivolto nei confronti del candidato uscente severe critiche sui suoi presunti legami con la Francia. Sostiene, infatti che si debbano favorire le imprese e le industrie senegalesi, prima di quelle francesi. Inoltre, punta molto sugli elettori più giovani (che sono tanti: l’età media in Senegal è di soli 19 anni).
Idrissa Seck, classe 1960, è invece una vecchia conoscenza della politica senegalese. Primo ministro dal 2002 al 2004 sotto la presidenza Wade, anche lui è successivamente uscito dal Partito Democratico Senegalese. Ne ha fondato uno proprio, Rewmi, che in lingua wolof significa semplicemente “La nazione”. Il suo profilo è diametralmente opposto rispetto a quello di Sonko e in un eventuale secondo turno rappresenterebbe un candidato meno di rottura e più conservatore.
I sondaggi
In Senegal è vietato fare sondaggi prima delle elezioni, quindi non abbiamo numeri certi su come andrà. La sensazione è che Macky Sall possa vincere abbastanza agevolmente, ma appare difficile che riesca a imporsi direttamente al primo turno.
In realtà, a novembre c’era stato un sondaggio, basato però solo su quattro città. Sall risultava in testa con il 45% dei consensi, ma il campione utilizzato non può essere considerato rappresentativo della popolazione senegalese, che – come mostra la nostra mappa – si concentra proprio in quelle zone in cui fu maggiore il sostegno a Sall in occasione del ballottaggio 2012.
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