Il congresso del Partito Democratico si è chiuso col successo netto di Nicola Zingaretti. La buona notizia per il partito arriva soprattutto dai dati dell’affluenza: il milione e mezzo di elettori che si sono recati alle urne è infatti un numero ben superiore al milione ipotizzato durante la campagna elettorale, sebbene inferiore al dato di due anni fa. Non solo infatti mancava un candidato con la notorietà di Matteo Renzi, ma il ruolo odierno del PD è significativamente più marginale che in passato, contribuendo a rendere il Congresso meno interessante.
Non ha particolarmente aiutato ad accendere l’attenzione neanche il dibattito fra Zingaretti, Martina e Giachetti, andato in onda su Sky venerdì scorso. Non solo non sono emerse proposte particolarmente innovative, capaci di “bucare” il dibattito mediatico, ma anche sui temi più discussi di questi mesi – immigrazione e reddito di cittadinanza – i tre candidati hanno dimostrato di avere idee molto simili, se non identiche: ad esempio, le proposte di Giachetti e Martina su come sfruttare in modo diverso gli 8 miliardi stanziati per il reddito di cittadinanza sono state praticamente sovrapponibili. Messe da parte le proposte di policy, due sono stati i punti su cui i concorrenti si sono sfidati: il loro giudizio sugli ultimi governi a guida PD e le alleanze.
Giachetti, in continuità con l’esperienza renziana, si è detto apertamente ostile ad ogni alleanza e allargamento del partito a sinistra, mentre Martina e Zingaretti si sono mostrati più aperti ad un cambio di politiche e leggermente più possibilisti, sulle aperture a sinistra. In verità il neo-segretario, nell’ultimo mese di campagna, ha palesato su questi temi opinioni più moderate rispetto a quelle che gli venivano attribuite dall’ala più centrista del partito (e da Giachetti in particolare). Una sfida insomma in cui sono emerse poche differenze e alla quale, per dirla con le parole dello stesso Zingaretti, non era affatto scontato appassionarsi.
In questo scenario non stupisce dunque che nelle settimane precedenti al voto la sfida alla segreteria del PD sia rimasta fuori dal dibattito politico nazionale. Un dato su tutti: tra la fine della prima fase del congresso (27 gennaio) e il 24 febbraio, ovvero la domenica prima delle primarie aperte, sulla prima pagina del Corriere della Sera è apparso un solo articolo che riguardasse il PD o i suoi protagonisti, ovvero un editoriale di Angelo Panebianco all’indomani della convenzione nazionale del 3 febbraio. Solamente negli ultimi sette giorni il quotidiano milanese ha quindi dedicato maggiore spazio al partito, complice il risultato delle elezioni regionali in Sardegna e l’approssimarsi delle stesse primarie.
È andata un po’ meglio su Repubblica, dove nelle ultime cinque settimane hanno trovato spazio interviste ai tre candidati e ad altri esponenti di primo piano del PD, per poi dare grande risalto alle primarie negli ultimi giorni (anche se a contendersi i grandi titoli di apertura sono sempre stati i protagonisti del governo).
Come avevamo anticipato un mese fa, lo stesso PD aveva dato ben poco risalto alla prima fase del congresso sui suoi profili social: i protagonisti venivano citati poco, ma soprattutto i termini “primarie” e “congresso” non erano stati utilizzati con grande frequenza.
Pur con qualche differenza, la situazione che ha preceduto le primarie aperte si è caratterizzata comunque per la modestia dello spazio dedicato ai candidati.
Su Twitter Martina, Zingaretti e Giachetti sono stati retwittati rispettivamente 30, 19 e 12 volte, dati assolutamente in linea con la precedente rilevazione (considerando che il dato precedente al 27 gennaio prendeva in considerazione una settimana in meno).
Su Facebook i candidati sono stati rilanciati con maggiore frequenza rispetto ad un mese fa, e ancora una volta è stato concesso maggiore spazio a Maurizio Martina (rilanciato 13 volte) rispetto a Zingaretti (9) e Giachetti (8). Per fare un paragone, Matteo Renzi nello stesso periodo è stato rilanciato 19 volte sulla pagine Facebook del Partito Democratico, e altrettante volte sul profilo Twitter (dove però è stato “battuto” non solo da Martina, ma anche da Calenda).
Mettendo insieme i dati delle due rilevazione si scopre che dal 31 dicembre alla sera del 3 marzo la pagina Facebook del PD ha rilanciato 19 volte Maurizio Martina, 15 volte Nicola Zingaretti, e 10 volte Roberto Giachetti. Su Twitter la disparità di trattamento fra i candidati è ancora più netta: la timeline del partito ha ospitato 59 volte le comunicazioni di Martina, 34 volte quelle di Zingaretti e 21 volte quelle di Giachetti.
A fare la vera differenza rispetto alla campagna social che aveva preceduto il voto degli iscritti è stata la grande quantità di contenuti slegati dai singoli candidati, come le istruzioni per votare e gli appelli al voto di esponenti di punta del partito. Se ad esempio a gennaio il PD aveva twittato la parola “primarie” solo 3 volte e quella “congresso” appena 7, nelle ultime settimane l’hashtag #PrimariePD è comparso sulla timeline del PD oltre cento volte (escluse le congratulazioni post-voto), con una forte crescita all’avvicinarsi del 3 marzo.
Anche alla luce di tutti questi fattori, il risultato dell’affluenza delle primarie di ieri è quindi da salutare positivamente per il Partito Democratico, che dopo i risultati piuttosto incoraggianti delle elezioni regionali in Abruzzo e Sardegna (dove la coalizione guidata dal PD si è piazzata al secondo posto, staccando nettamente il M5S) dà un altro segnale di vita quando mancano ormai meno di 100 giorni alla tornata elettorale più importante dell’anno: le elezioni europee del prossimo 26 maggio.
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