Lunedì scorso, a Londra, il Parlamento ha “preso il controllo” della Brexit: con una votazione piuttosto clamorosa, i deputati di Westminster hanno “estromesso” il governo di Theresa May dalla gestione della questione più spinosa (e urgente) della politica britannica.
I deputati voteranno su una serie di piani alternativi all’accordo stipulato dalla premier per l’uscita dall’Unione Europea, e bocciato per ben due volte dal Parlamento. Si tratta di un tentativo di sbloccare l’impasse, dal momento che la UE ha concesso a Londra una proroga rispetto al termine precedente (il 29 marzo), ma entro il 12 aprile vuole una risposta definitiva. Le votazioni avranno inizio dalle 14 di oggi e continueranno fino a lunedì prossimo. I risultati dovrebbero arrivare quando da noi saranno più o meno le 22.
Indicative votes: cosa sono e come funziona
Le votazioni dei deputati non saranno vincolanti per il Governo: si tratta infatti di indicative votes, quindi voti di indirizzo. Anche in ragione di questo, nonostante la maggioranza assoluta sia fissata a quota 317, potrebbe essere considerata indicativa la soglia di 242 voti, cioè quelli raccolti dall’accordo May in occasione della sua seconda bocciatura.
I parlamentari potranno indicare una serie di opzioni: possono scegliere di supportare tutte quelle che vogliono. Non saranno ri-allocate le seconde preferenze delle opzioni eliminate (niente “sistema australiano” per intenderci). Questo sistema ovviamente farà scattare un comportamento “strategico” nelle votazioni dei parlamentari: indicheranno la loro “vera” preferenza o quella per cui pensano che ci siano più chance? Ad ogni modo, è piuttosto improbabile che entro mercoledì si arrivi a votare su un piano alternativo per la Brexit, anche se tutto dipenderà da quanto i parlamentari si atterranno alla disciplina di partito. Il momento chiave sarà lunedì, quando si voterà su un numero ristretto di opzioni.
Nonostante non sia incluso fra gli 8 indicative votes, è ancora in gioco anche il Deal di Theresa May. Il motivo è uno solo: si tratta dell’unico accordo concordato con la UE. Oltre a essere già stato bocciato due volte, il suo maggiore punto debole continua ad essere l’incertezza sulla questione del confine terrestre con l’Irlanda, il cosiddetto backstop. Questo secondo i brexiters più agguerriti costringerebbe il Regno Unito a restare vincolato a Bruxelles a tempo indeterminato.
Ecco, di seguito, i temi che saranno sottoposti al voto:
NO DEAL – Il Regno Unito uscirà dall’Unione Europea senza accordi specifici. Per il commercio si applicheranno le norme vigenti tra i paesi aderenti al WTO (World Trade Organization). Questa opzione è stata già bocciata – due volte – dal Parlamento. Il relatore della mozione è John Baron (Tories).
ACCORDO DI LIBERO SCAMBIO – I brexiters più agguerriti caldeggiano anche una soluzione “in stile Canada”. La proposta è di rimanere nello Spazio Economico Europeo e di aderire ad accordi di libero scambio, rigettando però ogni tipo di unione doganale e affermando che il backstop debba essere sostituito da un sistema alternativo. Come per il no deal, anche questa opzione suscita molti timori sulla tenuta dell’economia. Il relatore è George Eustice (Tories).
ACCORDO MAY + UNIONE DOGANALE – Avrebbe l’effetto di uscire dalla UE e dalle sue istituzioni, ma impegnerebbe il Regno Unito a negoziare un’unione doganale permanente con l’Unione Europea dopo la Brexit. Anche molti Conservatori “eurofili” la giudicano un’opzione priva di senso. Il relatore è Ken Clarke (Tories).
PIANO DEL LABOUR – Il Regno Unito farebbe parte di un’unione doganale con la UE, con in più un “rapporto privilegiato” con il mercato unico europeo. Secondo i critici è un piano troppo vago, oltre al fatto che non gode dell’appoggio dei Conservatori. Il relatore è Jeremy Corbyn (Labour).
MERCATO COMUNE 2.0 – Noto anche come “l’opzione Norvegia”, integra l’accordo May con un’unione doganale e la permanenza nello Spazio Economico Europeo; prelude ad accordi commerciali più strutturati e a un confine aperto in Irlanda. Anche in questo caso il Regno Unito uscirebbe dalle istituzioni politiche UE e non avrebbe più voce in capitolo nelle sue sedi. Il relatore è Nick Boles (Tories).
STANDSTILL TRANSITION – Il Regno Unito contribuirà fino alla fine del 2020 al budget europeo e concorderà con l’Unione Europea un periodo di due anni, durante il quale i beni del Regno Unito hanno pieno accesso nell’Unione. Il relatore è Marcus Fysh (Tory).
SECONDO REFERENDUM – In questo caso l’incertezza riguarderebbe le opzioni da sottoporre agli elettori. Rimanere nella UE o uscire? E quale dovrebbe essere il piano per uscire? Per dirne una, i laburisti non vogliono che l’accordo della May sia tra le opzioni referendarie. La mozione prevede, genericamente, che il Parlamento non possa ratificare o implementare un accordo sull’uscita o sulle future relazioni senza che siano stati approvati dalla popolazione con un voto pubblico. La relatrice è Margaret Beckett (Labour).
REVOCA DELL’ART. 50 – Come abbiamo già scritto, il Regno Unito è (almeno fino al 12 aprile) sempre libero di revocare “unilateralmente” la richiesta avanzata in base all’art. 50 nel 2017. Questa mozione prevede che, se si arrivasse al 12 aprile senza un accordo approvato, il Parlamento voterebbe per scegliere fra No Deal e revoca dell’articolo 50. La relatrice è Joanna Cherry (SNP).
L’avvertimento di Theresa May
La May ha comunque annunciato che non rispetterà le indicazioni del Parlamento se queste saranno in conflitto con il manifesto dei Conservatori del 2017 (anno delle ultime elezioni) e, soprattutto, con il volere dei cittadini. Se il Parlamento insisterà a indicare una soluzione sgradita al Governo, la May potrebbe comunque portare al voto una terza volta l’accordo da lei raggiunto. Qualora venisse bocciato, quindi, il Regno Unito potrebbe chiedere un’ulteriore proroga a Bruxelles, con l’obiettivo di tentare di rinegoziare un nuovo accordo, di indire nuove elezioni o un nuovo referendum. Una proroga che obbligherebbe il Regno Unito a partecipare alle elezioni europee del 26 maggio.
Va comunque ricordato che l’Unione Europea ha fatto capire di non essere disposta ad approvare un’ulteriore estensione dei termini dell’articolo 50. Tale posizione potrebbe forse venire meno qualora si andasse nella direzione di riportare i cittadini ad esprimersi sulla Brexit. Confusione e incertezza, insomma, regnano sovrane.
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