Il primo anno dell’amministrazione di Donald Trump aveva causato un crollo della fiducia globale nella leadership statunitense. Nel 2018 la situazione si è stabilizzata, ma senza che vi fossero miglioramenti apprezzabili. È quanto emerge – tra tante altre cose – nella nuova edizione del rapporto Rating World Leaders di Gallup.
Nel 2017, nei 130 stati interessati dalle rilevazioni, solamente 30 cittadini su 100 esprimevano opinioni favorevoli nei confronti degli USA, contro i 46 dell’ultimo anno della Presidenza di Barack Obama. Nel corso del 2018 la situazione è rimasta pressoché invariata, con un recupero di appena un punto (31%). Un dato tra i peggiori di sempre che ci permette di cogliere – quantomeno a grandi linee – quanto sia complicato l’equilibrio del sistema globale di soft power.
Come conseguenza del declino americano, alla guida della classifica stilata da Gallup si afferma, per il secondo anno di fila, la Germania di Angela Merkel (39%). A seguire la Cina di Xi Jinping (34%) e, subito dietro gli USA, la Russia di Vladimir Putin (30%).
In particolare, sono i trend di consenso delle quattro potenze prese in considerazione a rappresentare l’elemento di maggior interesse. Negli ultimi anni la perdita di fiducia verso la leadership degli Stati Uniti si somma a quella, più moderata, che interessa la Germania. Per contro, dopo i picchi negativi del biennio 2012-2014, si registra una tendenza a guardare con sempre maggior favore a Cina e Russia.
Stati Uniti, le perplessità del Mondo
L’impatto negativo del primo anno di presidenza di Trump, dunque, non sembra essere stato arginato in modo rilevante nel corso del 2018. Il tasso di approvazione è al 31%, non lontano dal minimo storico. In calo del 4%, invece, il disprezzo per la leadership statunitense: un calo significativo, ma che resta su un livello certo non incoraggiante del 40%.
Se da una parte l’opinione pubblica mondiale si è certamente abituata – per quanto possibile – al linguaggio aggressivo, polarizzante e ben poco conciliante del Presidente degli Stati Uniti, dall’altra sembrano persistere quelle tematiche di preoccupazione registrate lo scorso anno, di carattere principalmente economico e, in senso più esteso, geopolitico.
In particolare, a suscitare sfiducia potrebbe essere l’atteggiamento sempre meno propenso al multilateralismo di Trump. I passi indietro dal TTP e dall’accordo sul cambiamento climatico, la scelta protezionista che sta portando ad una guerra commerciale con la Cina, il ritiro dall’accordo iraniano e le continue dichiarazioni su un possibile disimpegno – per quanto parziale – dalla Nato, ne sono solo alcuni esempi. Se a questo aggiungiamo le tensioni anche con i vicini più prossimi, Canada e Messico, sia sul NAFTA che sulla politica migratoria, i motivi del crollo di fiducia nei confronti della leadership statunitense appaiono chiari.
Domina, insomma, anche tra i cittadini dei paesi partner e tra gli alleati storici, un certo livello di perplessità rispetto all’effettiva affidabilità degli States in questo particolare momento storico.
America: guida la Germania, Washington in (leggera) ripresa
La Germania è lo stato che gode della maggior fiducia in America, con un tasso di approvazione del 35%. Qui, nel 2017, gli Stati Uniti avevano perso ben 25 punti percentuali, scendendo dal 49% al 24% e vedendo aumentare il tasso di disapprovazione dal 27% al 58%. Nel corso del 2018 Washington gode di una ripresa del consenso di ben 7 punti percentuali (31%); ma si evidenziano, ancora, evidenti aree di criticità.
Soprattutto in Canada (16%) e in Messico (19%, in leggero aumento), l’approvazione per la leadership di Washington è praticamente nulla. In entrambi i paesi pesano le lunghe trattative sul NAFTA, condotte con una strategia particolarmente aggressiva da parte di Trump (alcune delle rilevazioni hanno avuto luogo prima del raggiungimento dell’accordo). Senza considerare la delicata partita sul confine e le politiche migratorie tra Messico e Stati Uniti.
In generale, comunque, la maggioranza dei paesi dell’America si caratterizzano per un indice di disapprovazione (53%) maggiore di quello di approvazione. Fanno eccezione il Nicaragua, il Paraguay, l’Honduras e Haiti.
Occorre infine fare una considerazione di medio lungo periodo sul ruolo della Cina nel continente americano. Il Sud America potrebbe presto trovarsi infatti nel mezzo di una “guerra” tra Washington e Pechino. La Cina ha avviato, a partire dal 2005, una strategia atta ad estendere la propria influenza nella regione, attraverso un massiccio piano di aiuti – oltre 150 miliardi di dollari – che l’hanno portata ad essere il primo creditore dell’area.
Al momento, nella classifica di Gallup Pechino è appena dietro agli Stati Uniti, al 30%, ma il suo peso specifico nell’area è destinato a rafforzarsi, al punto tale che in molti ipotizzano, nel prossimo decennio, un cambiamento epocale negli equilibri della regione.
Europa? Un altro anno di flessione
Per quanto riguarda il Vecchio Continente la situazione peggiora anche nel 2018. Si tratta infatti dell’unica area dove la fiducia nell’operato di Washington continua a peggiorare. Dal 25% del 2017 si passa al 24% del 2018: ben 32 punti dietro alla Germania, che guida la classifica seguita dalla Cina (28%).
Inoltre, lo scorso anno l’Europa sembrava divisa tra gli stati centro orientali appartenenti al blocco ex sovietico, nei quali la fiducia negli States era in aumento, e il resto del continente, in particolare l’area Balcanica, caratterizzata da dati profondamente negativi. Nel 2018 si osserva un ribaltamento dello scenario: un forte calo dei primi (in particolare Ucraina, Polonia e Bielorussia), e una ripresa dei secondi (Francia, Croazia, Serbia, Romania, Ungheria). Maglia nera, infine, per l’Italia, dove Washington incassa un -9%. Si tratta del dato peggiore tra gli stati dell’Unione Europea, secondo solo a quello della Slovacchia (-10%).
Quella europea è dunque una spia di allarme per gli Stati Uniti. Va però ricordato come si sia ancora lontano dal minimo storico del 18%, toccato sotto l’amministrazione di George W. Bush.
Asia e Medio Oriente
Continua il periodo difficile di Washington anche in Medio Oriente, Asia e Oceania, dove solo 32 persone su 100 vedono di buon occhio gli americani, appena due punti in più rispetto al 2017, confermando i livelli negativi raggiunti in passato solamente con George W. Bush. Anche in questo caso, la Germania è prima con il 36%, seguita dalla Cina con il 34%.
I motivi sono molteplici. La già accennata guerra commerciale tra gli USA e la Cina non aiuta, ma l’area asiatica è, tutto sommato, stabile. Dall’area arrivano anche alcuni segnali particolarmente positivi per Donald Trump. Il più importante è quello di Nuova Delhi, dove il consenso per la leadership statunitense cresce di dieci punti, raggiungendo il massimo storico del 39%.
Più preoccupante il quadro mediorientale: il ritiro dagli accordi iraniani e la promulgazione di nuove sanzioni portano a un -11% nello stato guidato da Rouhani. Contemporaneamente, la strategia antiamericana di Erdogan sembra dare i suoi frutti: in Turchia il 73% disapprova infatti la leadership statunitense, e solamente il 14% la promuove, un dato dimezzato rispetto al 2018.
Africa
Il continente africano è sempre stato tra i meglio disposti verso Washington, basti pensare come, durante il primo anno di Presidenza Obama, il rating di approvazione avesse toccato l’85%. Da quel momento, però, il trend si è invertito, scendendo al 51% nel 2017 e risalendo di appena un punto quest’anno.
È interessante notare come, in questo caso, l’arrivo di Trump alla Casa Bianca non sembri essere un fattore determinante: la perdita di fiducia appare infatti lenta ma costante sin dal 2009.
La tendenza di lungo termine può essere interpretata come un segno dei tempi. L’Africa è un altro importante pilastro della strategia cinese che, non a caso, guida la classifica con il 53% di approvazione.
A partire dagli anni ’90 Pechino ha infatti inaugurato un’azione di soft power estremamente massiccia, investendo nel Continente, nel suo sviluppo e intensificando i rapporti diplomatici: oggi ne è il primo partner commerciale, e nel 2016 ha annunciato un nuovo piano di investimenti per 60 miliardi di dollari. Il crescente legame con Pechino, divenuto di anno in anno imprescindibile per molte realtà africane, può certamente aver contribuito al declino dell’immagine della leadership statunitense.
Guardando la situazione del 2018, nei singoli stati si nota comunque un certo equilibrio complessivo: il tasso di approvazione della leadership americana varia molto meno che nelle altre aree, diviso tra realtà come Congo, Niger, Ruanda e Zimbabwe, dove registra addirittura un aumento, e altre dove diminuisce, come, ad esempio, in Sud Africa, Liberia e Kenya.
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