La campagna elettorale ha visto al centro dell’inquadratura i due vicepremier Matteo Salvini e Luigi Di Maio mentre, dal punto di vista della comunicazione, è sparito Giuseppe Conte. Nonostante ricopra il ruolo di Presidente del Consiglio, Conte sembra essere entrato in un cono d’ombra mediatico. Conclusa la delicata vicenda legata alle dimissioni di Armando Siri, il premier è entrato in un fase di stand by che conferma quanto la sua voce e il suo ruolo rivestito all’interno del racconto del Governo siano deboli. Possiamo parlare di un non ruolo nella narrazione della politica egli riveste il ruolo che via via gli viene attribuito da Salvini, Di Maio e in certi casi persino dal Presidente della Repubblica. Il Premier prova a costruire una narrazione istituzionale che, però, risulta debole e fragile per il mancato posizionamento sui temi rilevanti in agenda per il Governo. Si tratta di uno storytelling in cui è non è attore protagonista, ma una comparsa.
Nelle dinamiche di comunicazione “classiche” e tradizionali, il Presidente di Consiglio ha un tono di voce ed una capacità di presa di parola che ne determinano una presenza costante nell’agenda mediatica (sia quella tradizionale sia sui social). Nel contesto del governo gialloverde, invece, la narrazione di Giuseppe Conte è assente, quasi invisibile. Non si tratta solo di un effetto oscuramento da parte dei due vicepremier, ma piuttosto di una comunicazione fuori inquadratura, senza solidità e senza forza. Questo si verifica per due ragioni principali. Da un lato vi è un deficit di intensità, ovvero di presenza, nella comunicazione. Dall’altro lato vi è l’inconsistenza dei temi trattati che sono fuori dal flusso principale e senza capacità penetrante perché privi di un posizionamento. È evidente il tentativo del Presidente del Consiglio di non attizzare la litigiosità e non entrare nella narrazione degli attacchi dei leader di partito, ma questo ha causato un silenzio su temi che rientrano in tutto e per tutto nell’agenda di Palazzo Chigi.
Sui social il premier “sparisce”
Il monitoraggio risente – ovviamente – del fatto che Conte non è un esponente di partito e non è impegnato attivamente in campagna elettorale come i suoi due vicepremier. Ma è la voce del Presidente del Consiglio ad essere assente, e non solo quella del Conte “personaggio politico”. Anche l’analisi quantitativa dei post su Facebook di 15 giorni che hanno preceduto il voto (dal 7 al 22 maggio) non fa altro che confermare come lo schema dell’alleanza di Governo veda Matteo Salvini e Luigi Di Maio in primo piano e Conte fuori dall’inquadratura. Nel periodo considerato, il premier ha fatto 35 post, mentre Di Maio raggiunge quota 108 e Salvini sfonda i 246 post (con un picco nella giornata della manifestazione a Milano nel corso della quale ha pubblicato 28 post). Domenica 19 maggio, a 7 giorni esatti dal voto, Salvini pubblica 14 post, Di Maio 5 e Conte uno solo, peraltro l’unico intervento nel fine settimana. La differenza di passo nell’intensità della comunicazione dei tre protagonisti del Governo gialloverde è evidente.
Salvini e Di Maio si affidano ai loro temi forti
Non è solo l’analisi quantitativa che denota l’inesistenza del premier in queste settimane, ma anche quella qualitativa. L’analisi dei contenuti trattati dai principali attori di Governo fa emergere in modo ancora più chiaro la realtà fornita dai numeri. Nella sua narrazione Salvini, come già sottolineato più volte, mantiene il suo solito posizionamento sui suoi temi forti: sicurezza, porta chiusi, immigrazione, repliche agli attacchi verso di lui e verso il suo partito. In modo speculare, Di Maio ha consolidato la tendenza già vista nelle prime settimane di questa campagna, mettendo al centro i temi classici del grillismo ad iniziare dalla lotta alla corruzione ed ai corrotti. Il tema della legalità e dell’onestà, anche in relazione alle diverse indagini in corso (che hanno riguardato esponenti del PD, di Forza Italia e anche della Lega) ha permesso al leader grillino di riappropriarsi di un tema forte ed identitario. Accanto a questo, Di Maio ha tentato di utilizzare la tattica della chiamata contro colui che è stato individuato sempre più come il nemico: non più – e non solo – il PD o Renzi, ma soprattutto il suo stesso alleato: Matteo Salvini.
Per Conte un’agenda istituzionale e poco incisiva
Il premier Conte, invece, nei suoi 23 post parla di temi prettamente istituzionali, come la partecipazione al Forum PA a Roma, del Giro d’Italia, del ricordo di Aldo Moro e Peppino Impastato, della premiazione di una squadra di hockey su ghiaccio, del convegno sulle Reti d’Impresa e dell’Isp. Una scelta dei temi che lo condanna ad essere non solo lontano dai riflettori dei media mainstream, ma anche estraneo a ciò che “funziona” sui social e comunque a ciò di cui si è parlato in misura rilevante nel periodo considerato. Lo storytelling in cui si muove il premier non solo sconta una scarsa presenza mediatica e sembra sprovvisto di un copione, ma è anche deficitario nel posizionamento sui temi rilevanti, dal punto di vista sia istituzionale che politico. Dopo l’intervento sul caso Siri, quando la campagna elettorale entra nella sua fase più delicata, lo storytelling del capo dell’esecutivo è fatto di annunci e dichiarazioni di principio, ma senza mostrare alcun piglio decisionale.
L’ultima fase della campagna elettorale è una sintesi di quanto successo nell’ultimo anno. Al Presidente del Consiglio sono stati attribuiti diversi ruoli: “avvocato”, “notaio”, “arbitro” “mediatore”. In realtà, più che di ruoli costruiti attraverso una auto-definizione, si tratta di etichette generate dall’attivismo di Salvini e Di Maio (e infine anche dal Presidente Mattarella che è intervenuto in modo netto sul decreto sicurezza). Quello di Conte è infatti un “non ruolo” perché varia a seconda delle necessità dei due vicepremier, in qualche caso solo per superare alcuni fasi critiche. In queste settimane di campagna elettorale, Conte è uscito di scena semplicemente perché non era funzionale in alcun modo al loro storytelling. Dopo le Europee sarà interessante vedere quale sarà il nuovo ruolo che si troverà a ricoprire Conte, a tutt’oggi un personaggio in cerca d’autore.
La Sua analisi, pregevole e approfondita, a mio parere non considera alcuni aspetti rilevanti:
1. G. Conte è un avvocato e docente di diritto privato. È stato chiamato al ruolo di P.d.C. dai due partiti della coalizione di governo per svolgere un ruolo di mediatore tra le parti in causa, se mi passa il termine, nonche con il Presidente della Repubblica;
2. La scelta di un profilo basso, ai limiti dell’inesistenza mediatica, potrebbe essere una scelta: in caso di crisi di governo e balzo in avanti dello spread o altro evento traumatico per il Paese, l’opportunità di essere chiamato a comporre un governo tecnico o d’unità nazionale sarebbe un’eventualità non remota.
Del resto l’ultima vicenda dei porti chiusi/aperti, che Salvini ha cercato di usare come arma politica, ha visto Conte far valere il suo ruolo, costringendo l’onnipresente ministro dell’interno a un passo indietro.
Lei è davvero un fine analista! Non l’ha sfiorata neanche il dubbio che sua una scelta politica! No comment
Buongiorno. Sono d’accordo con lei, Valentina. Anche a mio avviso il Professor Conte ha fatto una scelta ben precisa, meditata, che fosse anche consona alla sua persona. Ascrivergli una cornice comunicativa priva di solidità e forza, o una “narrazione assente, quasi invisibile” come quelle espresse dall’autore dell’articolo è, a mio parere, non avere riconosciuto, o anche solo percepito, che esse albergano nell’intelligenza, nella preparazione, nella cultura, nella capacità di leggere la società e la politica, l’uomo e la sua natura, che la persona trasmette e mette in campo ogni giorno, in ogni incontro, in ogni occasione. Un modo di essere nel mondo politico con presenza forte ma garbata, con parole non eccessive, ma lucide e competenti, con una capacità di ascolto, analisi, dialogo inarrivabili ai più.
Un saluto, buona giornata