L’annunciato disastro dei partiti tradizionali britannici è arrivato, ed è stato più grave di quanto previsto dai sondaggi. La vittoria netta del Brexit Party, partito nato pochi mesi fa, non basta a descrivere la rivoluzione arrivata dal voto del 23 maggio. La formazione di Nigel Farage porta a Bruxelles 29 europarlamentari, per effetto del 31,6% di voti conquistati. Seguono i Liberal-Democratici (20,3%, 16 seggi), che superano anche il partito Laburista. L’ondata verde raggiunge anche il Regno Unito, dove il Green Party è quarto (12,1%, 7 seggi). Un dato più di tutti racconta come sta cambiando la politica britannica: Brexit Party, Lib-Dem e Green contano appena 12 rappresentanti su 650 (11 Lib-Dem e 1 Green) nella Camera dei Comuni eletta due anni fa, e curiosamente tutti e tre avranno ora più europarlamentari che parlamentari.
Laburisti e Conservatori ai minimi storici
Crollano, dunque, i due partiti che tradizionalmente monopolizzano la politica britannica. Il Labour Party di Jeremy Corbyn si ferma al 14,1% (10 seggi), ma fa comunque meglio del Partito Conservatore. I Tories, dilaniati dall’infinita e infruttuosa trattativa sulla Brexit condotta da Theresa May (che il giorno dopo il voto ha annunciato le dimissioni per il 7 giugno), raccoglie solo il 9,1% dei voti e 4 seggi. Per la prima volta nella sua storia il Partito scende sotto il 23% in un’elezione su base nazionale, e per la prima volta non è fra i primi tre partiti; per giunta, se si fosse votato con il tipico sistema maggioritario britannico (first-past-the-post) in uso alla House of Commons, i Conservatori non avrebbero vinto in nessun collegio uninominale.
Insieme le due formazioni totalizzano appena il 23,2% dei consensi e raccolgono 14 dei 73 seggi in palio. Non è una novità che Laburisti e Conservatori raggiungano risultati deludenti alle elezioni europee rispetto a quelli nazionali, ma mai si era verificato un disastro di tale entità (nelle ultime tre tornate avevano raccolto, sommati, fra il 48,76% e il 42,31% dei voti).
Il Brexit Party stacca di 11 punti i Lib Dem
I seggi
Il Regno Unito porterà 73 rappresentanti al Parlamento Europeo, anche se dovrebbero abbandonarlo entro il 31 ottobre, ultima deadline stabilita nelle trattative sulla Brexit. La compagine più nutrita è quella dell’EFDD (Europa della Libertà e della Democrazia diretta), con 29 eletti tutti del Brexit Party. Il Regno Unito andrà poi ad arricchire il gruppo dell’ALDE (16, tutti Lib-Dem), quello dei Verdi (11, ovvero 7 Green, 3 SNP e 1 del partito gaelico Palid Cymru), i Socialisti &Democratici (10, tutti Labour), i Conservatori e Riformisti (4, tutti del Partito Conservatore) e GUE/NPL (1, dello Sinn Féin). Altri due partiti entrambi Nordirlandesi, APNI e DUP, non sanno ancora a che gruppi saranno affiliati.
Brexit Party in testa in 9 regioni su 11
Il Brexit Party è il primo partito in nove regioni su undici (l’Irlanda del Nord ha partiti e sistema elettorale differenti). Fanno eccezione la circoscrizione della Scozia, dove ha vinto lo Scottish National Party, e Londra, dove a prevalere sono stati i Liberal-Democratici, seguiti dai Laburisti. Quello londinese e quello scozzese sono in assoluto i peggiori risultati per il Brexit Party (17,9% e 14,8%), che in tutte le altre aree supera il 30%, fino a raggiungere il 38% nel Nord-Est inglese e nelle East Midlands (l’area orientale dell’Inghilterra centrale).
I Laburisti sono il secondo partito in tutta l’Inghilterra centro-settentrionale, mentre nell’Inghilterra meridionale a seguire il Brexit Party sono i Liberal-Democratici (tranne a Londra dove, come detto, sono primo partito). Anche i Green vanno particolarmente bene nel Sud Ovest, dove sono terzo partito col 18,1% dei voti. I Conservatori, infine, raggiungono i loro risultati migliori in Scozia, mentre vanno particolarmente male nell’Inghilterra settentrionale.
La mappa della distribuzione del voto: Brexit Party
La mappa della distribuzione del voto: Lib Dem
La mappa della distribuzione del voto: Labour
La Brexit tiene banco (ma i Remainer prevalgono)
Il Brexit Party ha chiaramente attirato molto l’attenzione, dato il suo risultato e la sua brevissima storia. Il suo 31,6% dice molto sulla voglia di Brexit di buona parte dell’elettorato, sfiancato da tre anni di attese e soprattutto dagli ultimi caotici mesi. Tuttavia, confrontando il risultato dei partiti apertamente pro-Brexit e quelli apertamente Remainer, sono stati i secondi a prevalere, per 40,4% a 34,9%. Il confronto non tiene conto di Conservatori e Laburisti, che hanno un elettorato meno schierato e posizioni più ambigue sul tema.
I dati sulle circoscrizioni mostrano anche trend molto netti fra il rendimento dei partiti e il voto sulla Brexit. Il Brexit Party chiaramente ottiene risultati molto migliori nelle roccaforti Leave, tanto che supera il 50% dei consensi laddove la Brexit è stata votata da oltre il 70% dei cittadini. Esattamente inverso il trend di Liberal-Democratici e Green, che vanno forte nelle roccaforti Remain: dove almeno il 70% degli elettori ha votato per restare in Europa, il 30% ha votato Lib-Dem alle elezioni europee. Meno netto il trend di Laburisti e Conservatori, anche se è evidente che i primi vadano meglio nelle aree Remain e i secondi nelle aree pro-Brexit.
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