Domani gli elettori in Grecia sono chiamati alle urne per eleggere 300 membri della Voulì (il Parlamento nazionale) e quindi stabilire chi dovrà formare il nuovo governo. Le elezioni anticipate (in origine erano previste per l’autunno) sono state annunciate dal Premier Alexis Tsipras dopo la sconfitta subita alle elezioni europee del 26 maggio scorso, nelle quali il suo partito Syriza ha ottenuto il 23,8% dei voti, contro il 33,1% di Nuova Democrazia (ND), partito di centrodestra. Il leader di ND, Kyriakos Mitsotakis, ha così indotto Tsipras ad anticipare le elezioni nazionali, nella speranza di riuscire a ottenere la maggioranza e tornare al governo, dopo 4 anni all’opposizione.
Gli ultimi 10 anni: come si è arrivati fin qui?
Non è la prima volta che la Grecia si trova di fronte ad elezioni anticipate. Dopo appena due anni dalla vittoria del centrosinistra (PASOK) alle elezioni del 2009, il governo guidato da George Papandreou si dimise per lasciare il posto a un governo tecnico che potesse affrontare la crisi del debito esplosa nel 2010. Nel 2012 le elezioni anticipate portarono ad un nulla di fatto, con i partiti incapaci di creare una maggioranza politica autonoma e una forte reticenza nel formare un nuovo governo tecnico per superare la crisi economica. Dopo appena un mese, una nuova tornata elettorale portò alla formazione di un governo di coalizione guidato dal conservatore Antonis Samaras (ND). A sua volta, Samaras si trovò poi costretto a chiedere elezioni anticipate nel gennaio 2015, dopo i ripetuti tentativi a vuoto per eleggere il nuovo Presidente della Repubblica. Furono queste nuove elezioni ad essere vinte per la prima volta da Tsipras, che con Syriza raggiunse il 36,3% dei voti e una maggioranza quasi assoluta, (149 seggi su 300) grazie ad una campagna elettorale fortemente anti-austerity in grado di raccogliere voti soprattutto dalla popolazione maggiormente colpita dalle politiche dettate dalle dure riforme economiche. Nel pieno dei negoziati con la Commissione Europea, Tsipras indisse un referendum (il primo dopo quello del 1974, fondativo della Repubblica nel 1974) con cui il 60% dei greci rifiutò i termini del piano di bailout proposto dalla “Troika”, per risanare il debito greco. Nonostante questa vittoria politica, Tsipras accettò poi un accordo con le istituzioni per un piano triennale, che presentava sulla carta condizioni peggiori di quelle messe sottoposte a referendum. Il premier riuscì a far approvare il piano ed un pacchetto di riforme di austerity, ma la defezione di oltre 40 deputati del suo partito lo costrinse ad indire ancora una volta elezioni anticipate per il settembre successivo. Elezioni in cui Syriza non riuscì ad ottenere una maggioranza autonoma, ma dopo le quali Tsipras riuscì comunque a formare un governo di coalizione alleandosi con il partito di destra (oggi diremmo “sovranista”) dei Greci Indipendenti (ANEL). In quell’occasione – la terza chiamata nazionale alle urne nell’arco di 10 mesi – si registrò un record negativo di affluenza: andò a votare solo il 56,6% degli aventi diritto.
Dopo le Europee: Nuova Democrazia verso un’altra vittoria?
Il 26 maggio 2019 Syriza ha subito una pesante sconfitta, fermandosi al 23,8% dei voti. Il calo di consensi del partito di Tsipras è attribuibile alla svolta pro-austerity che, dopo il referendum del 2015 ed il memorandum sottoscritto con la Troika, ha costretto il Premier a portare avanti politiche che hanno inciso profondamente sul tessuto economico-sociale della Grecia. Soltanto con la fine dei programmi di bailout (agosto 2018) il governo ha potuto rilanciare misure sociali ed aiuti alle fasce più deboli. Tuttavia, la diminuzione del tasso di disoccupazione, l’aumento della paga minima mensile a 650€ ad inizio anno ed una lenta ma progressiva crescita economica, non sono bastati a Tsipras per resistere al ritorno di popolarità di Nuova Democrazia.
Sicuramente, la crescita del partito di centrodestra ha come protagonista il suo leader Kyriakos Mitsotakis. Figlio di Konstantinos Mitstotakis, ex primo ministro e leader di ND negli anni ‘90, Kyriakos ha assunto la guida del partito nel gennaio 2016, dopo le dimissioni di Samaras, di cui era stato ministro dal 2013 al 2015. Mitsotakis ha guidato l’opposizione al governo Tsipras con una linea dura, che ha permesso al suo partito di riunire gli elettori di centrodestra e di conquistarne di nuovi alle elezioni europee, raggiungendo il 33,1%. Le forti critiche di Mitsotakis nei confronti del premier e di Syriza sono state il segno distintivo di una campagna elettorale mirata alla ricerca di consensi in modo trasversale, con ND che ha assunto un profilo più moderato e si è data l’obiettivo di ottenere una maggioranza netta per formare il nuovo governo.
I sondaggi e l’incognita legge elettorale
L’incognita di questa nuova tornata elettorale sembra essere proprio la possibilità di ottenere un risultato tale da garantire una solida maggioranza. La legge elettorale attualmente in vigore delinea un sistema semi-proporzionale con premio di maggioranza, . Dei 300 seggi da assegnare, 250 sono distribuiti tra le liste che superano il 3% dei consensi sul piano nazionale, mentre 50 seggi costituiscono il “premio” al partito che ottiene la maggioranza relativa.
Tale sistema ha garantito una certa governabilità negli ultimi anni, anche se vi sono stati diversi governi di coalizione. Dalla prossima elezione entrerà in vigore la nuova legge elettorale approvata da Syriza nel 2016, che eliminerà il premio di 50 seggi, dando al sistema nel suo complesso una maggiore rappresentatività degli orientamenti dell’elettorato ma al contempo – è facile ipotizzare – una maggiore difficoltà nel formare maggioranze di governo.
Per questa ragione Mitsotakis spera che i pronostici della vigilia si traducano in una netta vittoria per Nuova Democrazia. Il trend dei sondaggi più recenti segnala una crescita costante per il partito, vicino a quota 40% e con una proiezione di circa 155 seggi nel nuovo Parlamento, più che sufficienti per governare senza alleati. Syriza registrerebbe comunque una crescita rispetto alle Europee, attorno al 28%, segno che la campagna elettorale è stata utile quantomeno a limitare i danni. Gli stessi sondaggi segnalano anche la crescita del movimento MeRA25, fondato dall’ex Ministro delle Finanze Yanis Varoufakis e che alle europee non aveva superato la soglia di sbarramento: se dovesse riuscire a conquistare dei seggi vedrebbe per la prima volta l’ingresso in Parlamento. Il partito di estrema destra Alba Dorata (XA), dopo un risultato deludente alle Europee, viene stimato intorno al 4%, mentre il Movimento per il Cambiamento (KINAL), in cui convivono lo storico PASOK e il Movimento dei Socialisti democratici fondato dall’ex premier Papandreou, si confermerebbe – come fu il 26 maggio – terzo partito del Paese con circa il 7% dei consensi.
In fuga dalle urne. O no?
Infine, è interessante ricordare che secondo la legge elettorale greca il voto è obbligatorio per tutti i cittadini con più di 17 anni. Sebbene il mancato esercizio di voto non comporti alcuna sanzione, l’affluenza degli elettori alle urne in Grecia è sempre stata superiore al 60% negli ultimi decenni. Alla fine degli anni ‘80 e agli anni ‘90 si registravano tassi di partecipazione vicini o addirittura superiori all’80% degli aventi diritto al voto. Mentre il minimo storico del settembre 2015 (56,6%), sembrava indicare una profonda disaffezione della Grecia nei confronti della politica, l’affluenza registrata il 26 maggio (58,7%) potrebbe preludere ad un ritorno della partecipazione sopra il 60%.
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