In due precedenti articoli abbiamo analizzato gli scenari parlamentari che si verificherebbero se si tornasse a votare con la legge elettorale vigente e con una legge elettorale di tipo proporzionale basandoci sui dati della nostra ultima Supermedia del 1° agosto. Vediamo oggi che Parlamento si delineerebbe con la riforma costituzionale promossa dal Movimento.
La riforma
Da più di trent’anni, il tema della riduzione del numero dei parlamentari si riaffaccia periodicamente nel dibattito politico. A partire dalla Commissione Bozzi del 1983 i tentativi sono stati ben 7, tutti inseriti in un quadro di ripensamento dell’assetto costituzionale più complesso e tutti, per un motivo o per l’altro, sfociati in un nulla di fatto. Il disegno di legge pentastellato era quindi l’ottavo tentativo di ridurre il numero dei parlamentari, ma il primo che non comportasse ulteriori aggiustamenti dell’assetto costituzionale vigente. La c.d. “Legge taglia-poltrone” avrebbe ridotto i seggi della Camera dei Deputati da 630 a 400 ed i seggi del Senato della Repubblica da 315 a 200. Al centro del dibattito degli accadimenti delle ultime settimane, il taglio dei parlamentari è stato posto dal Movimento 5 Stelle come conditio sine qua non per un accordo di Governo con il Partito Democratico. Il partito di Nicola Zingaretti ha accettato, rilanciando però la sua implementazione come inserita all’interno di una riforma costituzionale più ampia, che includa anche una riforma elettorale. Cosa accadrebbe, però, se oggi si tornasse a votare con un Parlamento composto complessivamente da 600 seggi, ma sempre con il Rosatellum?
Gli effetti
Posta la necessità di riformare il perimetro dei collegi per garantirne l’adesione al numero di seggi da attribuire, va previsto un effetto distorsivo che agisce principalmente sull’attribuzione dei seggi al Senato: mentre la ripartizione dei seggi di Palazzo Montecitorio viene effettuata a livello nazionale, quelli di Palazzo Madama sono infatti attribuiti infatti su base regionale. Ciò produce un effetto, che esenta solo le regioni più popolose, dovuto all’innalzamento della soglia di sbarramento implicita nelle regioni che esprimono meno senatori. Il risultato è un significativo vantaggio a favore delle forze politiche più votate, che è difficile stimare unicamente sulla base dei sondaggi nazionali.
Infine, per effetto della componente maggioritaria del Rosatellum, gli scenari possibili rimangono comunque tre e variano in base alla decisione della Lega di presentarsi al voto, come lo scorso anno, col centrodestra unito, senza coalizioni oppure all’interno della c.d. coalizione “Sovranista” con Fratelli d’Italia.
Primo scenario: centrodestra unito (versione 2018)
Il primo scenario è quello più controverso: la maggioranza del Centrodestra rimarrebbe comunque schiacciante (260 seggi su 400 alla Camera, 129 su 200 al Senato), ma si allontana l’ipotesi di una maggioranza di due terzi. Per raggiungere tale maggioranza (che permetterebbe di varare riforme costituzionali senza possibilità di chiedere un referendum, ad esempio) servirebbero 267 seggi alla Camera e 134 al Senato. Considerata l’assenza del voto estero dalla nostra simulazione e i seggi che andrebbe ad eleggere, rispettivamente 8 e 4 come prevede la bozza di riforma, anche nell’improbabile caso di un’attribuzione completa di questi seggi al centrodestra mancherebbe ancora un seggio al Senato.
Tuttavia, è proprio sulla composizione del Senato che vi è maggiore incertezza: un innalzamento della soglia di sbarramento implicita in questo caso potrebbe rimpolpare le fila della Lega più di quanto possano perdere le altre due forze della coalizione, aumentandone così la delegazione complessiva a Palazzo Madama.
Secondo scenario: Lega da sola
Pur correndo da sola, la Lega costituirebbe il gruppo più numeroso di entrambi gli emicicli, ma ciò non basterebbe per un governo monocolore. Tolto il gruppo dello schieramento sud-tirolese SVP, la Lega potrebbe entrare a Palazzo Chigi solo condividendone gli scranni con almeno un’ulteriore forza politica presente in parlamento che, con questi dati, non può essere quella di Giorgia Meloni, per via di una carenza di eletti nell’aula di Palazzo Madama.
Per quanto i maggiori beneficiari di questo scenario sarebbero Partito Democratico e Movimento 5 Stelle, che per effetto di una distribuzione più eterogenea dei collegi uninominali otterrebbero più seggi che in qualsiasi altro scenario, resta molto lontana l’ipotesi di una maggioranza che non comprenda il partito di Salvini.
Terzo scenario: Lega alleata solo con Fratelli d’Italia
Questo scenario è decisamente il meno controverso: l’alleanza di centrodestra senza Forza Italia frutterebbe con certezza alle forze sovraniste una maggioranza piuttosto stabile (222/400 alla Camera e 110/200 al Senato), con tre forze di opposizione leggermente ridimensionate rispetto al precedente scenario. Anche in questo caso siamo lontani dalla maggioranza qualificata, ma rimane molto difficile una maggioranza che possa prevedere di lasciare la Lega fuori da Palazzo Chigi.
Metodologia
Il numero di parlamentari attribuiti in quota proporzionale o maggioritaria, su base nazionale (per la Camera dei Deputati) o regionale (per il Senato) è basato sul dossier “Disposizioni per assicurare l’applicabilità delle leggi elettorali indipendentemente dal numero dei parlamentari” redatto dal Servizio Studi della Camera dei Deputati. Per la quota proporzionale è eseguito un calcolo su collegio unico nazionale (per la Camera dei Deputati) o per collegi regionali (per il Senato) con soglia di sbarramento al 3%. Per la quota maggioritaria sono stati calcolati i collegi vinti con l’attuale distribuzione, proiettando il risultato sul numero di seggi disponibili in seguito all’approvazione della riforma. Le intenzioni di voto su cui è calcolata la distribuzione dei seggi sono quelle della Supermedia AGI/YouTrend dell’1 agosto 2019.
Buongiorno,
Si potrebbe avere anche una simulazione con il M5S con il PD.
Grazie