La serata di ieri ha regalato l’ennesimo colpo di scena nella politica britannica. Nel giro di poche ore il primo ministro conservatore Boris Johnson ha perso la maggioranza, ha subìto il volere del Parlamento che ha calendarizzato per stasera un voto per scongiurare una No Deal Brexit e ritardare ancora l’uscita dall’Unione Europea, e ha infine annunciato la volontà di chiedere elezioni anticipate, che potrebbero aver luogo già il prossimo 14 ottobre. I laburisti, da parte loro, sono disposti a dare il proprio, indispensabile sostegno al ritorno alle urne (per sciogliere in anticipo il Parlamento servono i due terzi dei voti) solo se la Camera dei Comuni approverà una legge per escludere la possibilità di un’uscita senza accordo. Una situazione difficile da digerire per Johnson, che è diventato primo ministro proprio promettendo una Hard Brexit entro il 31 ottobre, senza se e senza ma.
Un’elezione anticipata rappresenta però anche un’opportunità per il nuovo primo ministro, che oggi deve fare i conti con una maggioranza parlamentare che da risicata è diventata inesistente (ad agosto ha perso un seggio in un’elezione suppletiva e ieri il deputato conservatore Phillip Lee è passato ai Liberal Democratici, determinando il “sorpasso” da parte delle opposizioni). In più, 21 conservatori ribelli ieri hanno votato contro il proprio leader, e sono stati di conseguenza espulsi dal partito. I sondaggi inoltre indicano che i Tories, da quando sono guidati da Johnson, stanno crescendo velocemente, distanziando i rivali del Labour. Nonostante ciò è difficile stimare se l’effetto Johnson sia sufficiente a garantire una maggioranza stabile all’ex sindaco di Londra, dal momento che vi è un’inedita situazione che vede ben quattro partiti ampiamente oltre il 10% dei consensi.
Johnson continua a volare nei sondaggi
Secondo la media dei sondaggi svolti ad agosto da Opinium e YouGov (quindi prima della decisiva seduta parlamentare del 3 settembre), il Partito Conservatore oggi sarebbero il primo partito con il 32% dei consensi, oltre 5 punti in più rispetto a un mese fa: è la prima volta che i Tories tornano oltre il 30% da marzo 2019. Dietro al partito di Johnson c’è il Partito Laburista (23%), anch’esso in crescita sebbene di poco (+1,2%). Scendono di poco più di mezzo punto i Liberal Democratici (18,3%) e di quattro il Brexit Party (13,9%).
Come il mese scorso, le migliori notizie per Johnson arrivano dai giudizi sulla sua persona: il nuovo premier è infatti apprezzato dal 41% degli elettori, secondo Opinium. Si tratta del dato più alto per un leader inglese dal luglio 2017: se pensiamo che due anni fa fu Jeremy Corbyn a raggiungere il 41% dei giudizi positivi, oggi il segretario dei laburisti è sostenuto da appena il 18% degli intervistati. Percentuali quasi identiche si riflettono nel testa a testa come miglior potenziale primo ministro: il 41% sceglierebbe Johnson, il 17% Corbyn.
Proprio i dati sul candidato premier preferito dall’elettorato fanno pensare che, sebbene affidarsi alle urne con poco più del 30% nei sondaggi sia un rischio per i Conservatori, se si innescasse una logica del voto utile sarebbe proprio Johnson ad avvantaggiarsene in chiave elettorale.
Da dove vengono i nuovi elettori conservatori
Secondo un sondaggio Opinium svolto fra il 21 e il 23 agosto, dal primo sondaggio condotto dopo le elezioni europee il partito conservatore ha guadagnato 15 punti percentuali, passando dal 17% rilevato a fine maggio al 32% di fine agosto. Ma da dove arrivano questi consensi?
Il balzo dei sondaggi è dovuto quasi esclusivamente alla capacità dei Tories di recuperare buona parte del proprio vecchio elettorato che li aveva abbandonati: se a fine maggio infatti solo un terzo di chi aveva votato per i Conservatori nelle elezioni 2017 avrebbe confermato il proprio voto, ora lo farebbe il 60% degli elettori. Questo aumento sarebbe dovuto soprattutto al rientro dei Conservatori che avevano votato Leave al Referendum del 2016 sulla Brexit (erano il 28% tre mesi fa, sono il 59% oggi). Di conseguenza, cala il numero di elettori che avevano votato Theresa May nel 2017 e che oggi sosterrebbero il Brexit Party o sarebbero indecisi sul proprio voto. La stessa cosa non sta riuscendo al Partito Laburista: se tre mesi fa il 49% degli elettori Labour del 2017 sosteneva ancora il partito di Jeremy Corbyn, ora la percentuale è salita di appena due punti (51%). Cambia però la composizione dell’elettorato laburista rispetto al voto sulla Brexit: cala infatti la componente dei Leavers e aumenta quella dei Remainers.
Oggi – come a maggio – sono invece pochissimi gli elettori che sono passati da un partito a quello rivale: solo il 2% degli ultimi elettori laburisti voterebbe Johnson, e solo l’1% di chi ha votato per Theresa May ora sosterrebbe i Labour. I delusi dei due grandi partiti che non sono nè indecisi nè proiettati verso l’astensione guardano infatti ai Liberal Democratici e al Brexit Party. I primi sono infatti riusciti a guadagnare il sostegno del 6% degli ultimi elettori Tory e del 13% degli ex Labour, mentre il Brexit Party è sostenuto dal 16% di chi ha votato per i Conservatori nel 2017 e dal 6% di chi ha votato laburista (oltre che da oltre la metà degli elettori UKIP).
La No Deal Brexit spaventa gli elettori nel breve periodo
A meno di due mesi dalla deadline prevista per il completamento dell’uscita dall’UE, l’annullamento della Brexit è l’esito preferito dal 40% degli elettori, mentre il 39% vorrebbe una Hard Brexit e il 13% una Soft Brexit (l’8% non sa). Si tratta di dati praticamente identici a quelli di un mese fa.
Tuttavia, ad agosto Opinium ha sondato anche gli esiti previsti dagli elettori in caso di un’uscita senza accordo: non c’è un particolare ostracismo nei confronti di questo scenario, considerato che oltre al 39% che vuole una Hard Brexit c’è un ulteriore 24% secondo cui si tratterebbe comunque di uno sbocco accettabile. Inoltre il 45% degli elettori pensa che, qualora non si raggiungesse un accordo, quello dell’uscita senza accordo sarebbe lo scenario migliore rispetto a un nuovo rinvio o all’annullamento della Brexit.
Tuttavia, gli elettori sono consci e temono le ripercussioni economiche di una No Deal Brexit: la maggioranza relativa degli elettori britannici ha infatti paura che questo scenario possa danneggiare nel breve periodo la propria situazione finanziaria e l’economia del Regno Unito in generale, sia per i più giovani che per i più anziani, oltre che per i poveri e gli stranieri. Gli unici ad ottenere dei vantaggi, secondo gli intervistati, sarebbero i più benestanti. Più ottimistiche sono le previsioni di lungo termine: il 37% pensa che il futuro del Regno Unito sarà migliore, il 35% pensa che sarà peggiore.
Oltre 3 anni dopo il referendum sulla permanenza del Regno Unito nell’Unione Europea, dunque, il parlamento continua a non trovare un modo per uscire da questa situazione, e si appresta a dare ancora una volta la parola agli elettori, nella speranza che dalle urne questa volta arrivi un messaggio chiaro e incontrovertibile sulla strada da intraprendere. Il rischio di ritrovarsi con una Camera dei Comuni ancora più divisa, però, resta concreto.
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