Stasera (stanotte, per chi lo vedrà dall’Italia) si terrà negli Stati Uniti il terzo dibattito tra i candidati alle primarie del Partito Democratico. Anzi, per meglio dire, tra alcuni dei candidati.
Come avevamo già evidenziato, infatti, i requisiti che il Partito ha deciso di adottare per consentire la partecipazione ai dibattiti sono molto stringenti e, dunque, non tutti i candidati potranno confrontarsi in questa particolare occasione.
Rimarranno fuori da tale consesso candidati che potremmo definire “civici”, come il miliardario Tom Steyer e la scrittrice/attivista Marianne Williamson, ma anche politici ben più noti ed esperti come l’ex deputato John Delaney, la deputata Tulsi Gabbard, il sindaco di New York Bill De Blasio, il senatore Michael Bennet e Steve Bullock, Governatore del Montana. Nessuno di loro, infatti, ha raggiunto il 2% a nei sondaggi nazionali che, invece, iniziano a concordare su una situazione quasi “ciclistica”, che vede la fuga di un gruppo di testa composto da tre candidati.
Cosa dicono gli ultimi sondaggi
I sondaggi danno, infatti, un verdetto quasi unanime: in questo momento in testa c’è Joe Biden. Secondo la media dei sondaggi nazionali realizzata da Real Clear Politics, oggi l’ex vicepresidente di Barack Obama ha circa il 30% dei consensi. Si contendono il secondo posto due senatori appartenenti all’ala sinistra del partito: Elizabeth Warren (17,6%) e Bernie Sanders (16,9%). Più lontana Kamala Harris (6,7%), poco più indietro c’è Pete Buttigieg (4,4%). Tutti gli altri sono sotto al 3%.
I primi due dibattiti si sono svolti con due differenti confronti, a causa dell’elevato numero di partecipanti. Il candidato in testa nei sondaggi, che anche allora era Joe Biden, non ne è uscito benissimo. È apparso impacciato, sulla difensiva, senza quelle capacità di indirizzare il dibattito e di suscitare entusiasmo che è lecito pretendere da un politico esperto come lui.
Sarà molto interessante assistere a questo terzo dibattito proprio perché è il primo in cui si confronteranno i tre candidati più importanti e con il consenso più diffuso, vale a dire Biden, Warren e Sanders. Sarà inoltre importante assistere alle performace degli altri candidati medio-piccoli, i cui eventuali ritiri potranno essere decisivi nella redistribuzione dei loro voti e, in seguito, nel toto-nomina per il ruolo di Vice.
La più in difficoltà sembra al momento Kamala Harris. La senatrice della California aveva avuto un exploit nei giorni successivi al primo dibattito, quando si era messa in mostra attaccando Joe Biden su un tema di diritti civili e segregazione razziale, tanto che sembrava potesse essere lei la vera rivale dell’ex vicepresidente. Oggi, anche a causa di un secondo dibattito deludente in cui è stata anche attaccata duramente da Tulsi Gabbard, è molto lontana da Bernie Sanders ed Elizabeth Warren.
Warren in ascesa, Biden in difficoltà
La senatrice del Massachusetts continua invece a salire, ed ha più che raddoppiato il proprio consenso in tre mesi. Inoltre è l’unica fra i quattro candidati maggiori ad essere in netta ascesa. Sarà interessante vedere anche come si relazionerà con Joe Biden, dato che nei primi dibattiti i due non si sono mai incrociati. Biden, dal canto suo, ha dimostrato di non essere a suo agio in queste situazioni: se dopo il primo dibattito i suoi consensi erano crollati di 6 punti in pochi giorni, anche dopo il secondo – in cui a detta di molti commentatori era andato un po’ meglio, pur essendo sempre costretto a difendersi – non è riuscito a riguadagnare terreno, ed anzi è tornato a scendere nelle due settimane successive. Biden sembra essere “prigioniero” di due caratteristiche che in altri contesti potrebbero essere dei punti di forza: la sua esperienza ma soprattutto la sua età avanzata. Spesso gli sono state rinfacciate alcune sue posizioni politiche in giovane età, e inoltre deve portare il peso di tutto ciò che non è andato bene durante l’amministrazione Obama. Ciò ha sollevato anche dubbi (non pochi) tra i media: Obama rimane, infatti, un politico con un gradimento popolare elevatissimo e qualcuno si è chiesto per quale ragione alcuni candidati si siano spinti ad attaccare così duramente Biden, che proprio di Obama è stato un fedele Vicepresidente.
La sfida a sinistra: Sanders vs Warren
Da un altro punto di vista è importante capire come si evolve il rapporto tra Sanders e Warren. Come avevamo già avuto modo di rilevare, infatti, i due candidati occupano un’area ideologica molto simile, quella della sinistra e del progressismo, ma hanno basi elettorali piuttosto diverse e sono sostenuti da elettori le cui seconde scelte si indirizzerebbero altrove, (prevalentemente verso Biden per gli elettori di Sanders e in maggioranza verso Harris per gli elettori di Warren).
Nel dibattito di i due si sono spalleggiati e sostenuti a vicenda ed è parso difficile capire le reali differenze tra i due. Certo, Warren si pone e si esprime in modo più “istituzionale”, conformemente alla sua professione (docente universitaria) e il suo impegno politico è sempre stato all’interno del Partito Democratico (salvo le simpatie repubblicane in gioventù). Sanders, al contrario, mantiene vive la passione e l’esuberanza giovanile, tanto nei dibattiti quanto nella campagna elettorale e nei suoi (affollati) comizi. Sarà, dunque, interessante vedere come si comporteranno durante il dibattito.
Chi sono i favoriti (e chi le possibili sorprese…)
Ma le vere arene su cui si gioca la politica americana, più che l’intero Paese, sono i singoli stati. Come da tradizione le prime urne apriranno in Iowa, dove il 3 febbraio 2020 si svolgeranno i caucus. Sempre nel mese di febbraio si voterà in New Hampshire, Nevada e South Carolina, mentre il 3 marzo si terrà il primo Super Tuesday, che potrebbe essere già decisivo: in una sola giornata si terranno le primarie in ben 16 stati, compresi i più popolosi, Texas e California (che quest’anno non voterà per ultima: una soluzione, questa, che dovrebbe evitare una lotta troppo lunga e “sanguinosa” fra i candidati). Con tutta probabilità, la mattina del 4 marzo la corsa alla nomination sarà ristretta a pochissimi candidati, ma già i primi quattro appuntamenti saranno decisivi per orientare anche il voto del Super Tuesday, determinando i nomi chi potrà realisticamente lottare per la nomination. Andiamo a vedere quindi chi potrebbe aggiudicarsi le primissime votazioni.
In Iowa e New Hampshire Biden potrebbe subito rischiare un passo falso. In entrambi gli stati l’ex VP registra consensi inferiori alla media nazionale, tanto da dare a Warren e Sanders una concreta possibilità di vittoria. Non dimentichiamo che quattro anni fa Sanders stupì tutti, soprattutto Hillary Clinton, “pareggiando” in Iowa e vincendo nettamente in New Hampshire. Difficile fare previsioni, visto che i sondaggi sono pochi e non recentissimi, e la procedura dei caucus dell’Iowa è piuttosto complessa: tuttavia, secondo Change Research a metà agosto Warren aveva 11 punti di vantaggio su Sanders e Biden in Iowa, mentre i sondaggi di inizio agosto in New Hampshire ipotizzavano un testa a testa fra Biden e Sanders. Iowa e New Hampshire sono stati piccoli, e i risultati difficilmente si riveleranno decisivi per la vittoria; ma una sconfitta di Biden, alla luce delle alte aspettative che ci sono nei suoi confronti, potrebbe metterlo in difficoltà e lanciare qualcuno dei suoi rivali. La sorpresa di questo inizio di primarie potrebbe essere Pete Buttigieg, che in questi stati è accreditato di un risultato nettamente superiore alla sua media nazionale.
Partita aperta in Nevada, ma con Biden in vantaggio, mentre in South Carolina l’ex VP dovrebbe vincere senza troppi problemi, stando alle rilevazioni di agosto. Molto lontano in tutti questi primi quattro stati è invece Beto O’Rourke (quasi in tutti sondaggi sotto il 2%), che rischia di arrivare alle primarie del Texas – il suo stato e la sua grande occasione per poter sperare di lottare per la nomination – già virtualmente fuori gara.
Ma i sondaggi non ha nessun valore, hanno un campione di 300/400 persone con un errore statistico di quasi il 5%, specialmente quelli nazionali, inoltre sono gli stati a decidere! realclearpolitic non riporta tutti i sondaggi, e occasionalemte li riporta in modo errato,spesso vengono utillizzati per fare propaganda politica a favare del proprio candidato preferito, ciò che conta sono i primi stati nessun candidato nelle primarie democratiche ha vinto la nomination senza vincere nei primi stati, !Credo che Harris verra spazzata via per quanto riguarda gli altri candidati sono ultrasettantenni, troppo vecchi per ricoprire una carica così importante, la vera soperpesa è Buttigieg non solo i sondaggi formali e quelli informali indicano che è nei primi postinei primi stati, che provocherà uneffetto domino, basta vedere l’ultimo sondaggio di Emerson inoltre cio che conta è il primario monetario nel quale si posiziona prima! Informatevi prima di fare il copia e incolla!
Sono d’accordo sull’inutilità dei sondaggi. Non concordo invece sull’età … uno dei migliori presidenti italiani è stato probabilmente Pertini eletto Presidente all’età di 82 anni. Spero in America contino i contenuti e non il fatto di essere più o meno telegenico.