Secondo la Costituzione del nostro Paese, una volta eletti i parlamentari non possono essere chiamati a rispondere né delle opinioni espresse nell’esercizio delle loro funzioni, né dei voti dati. Oltre a ciò, il divieto di mandato imperativo riconosce loro il pieno diritto di poter cambiare gruppo qualora non condividano più la linea politica degli altri componenti.
Le elezioni politiche del 4 marzo 2018 hanno rinnovato profondamente il ceto parlamentare. I leader delle principali formazioni hanno dovuto coniugare le istanze di rinnovamento provenienti dagli elettori con l’esigenza di assicurare continuità quantomeno ad una porzione dei parlamentari uscenti.
Per la Lega e il Movimento 5 Stelle questo passaggio è stato relativamente semplice, in quanto la loro ascesa elettorale – con conseguente aumento esponenziale dei seggi ottenuti – ha permesso un equo bilanciamento tra le due dimensioni. Discorso inverso va fatto per il Partito Democratico: alle Politiche 2018 l’allora segretario Matteo Renzi riuscì a far eleggere una consistente quota di coloro che furono suoi sostenitori al congresso del 2017, ma la sconfitta elettorale significò per moltissimi uscenti la perdita del seggio.
Complessivamente, la percentuale di rinnovamento in occasione delle Politiche 2018 è stata pari al 66% alla Camera e al 64% al Senato. Entrambi i valori sono i più alti mai registrati dal 1953 (anno delle seconde elezioni dell’era repubblicana).
Pur trovandoci in un quadro di estrema fluidità del ceto parlamentare, i risultati elettorali hanno inciso molto sulla percentuale di ricambio dei diversi partiti: così, PD e LeU sono risultati essere i meno “rinnovati”, mentre Lega e Fratelli D’Italia hanno visto un ricambio quasi totale dei propri eletti. Anche il Movimento Cinque Stelle è riuscito a rinnovare gran parte del ceto parlamentare seppur conservando un nucleo consistente di “senior”. In questo caso, ciò è stato reso ulteriormente possibile dall’alto numero di espulsioni dal Movimento avvenute durante la precedente legislatura, e ciò ha permesso sia una maggiore spinta al rinnovamento, sia una minor concorrenza per la ricandidatura.
Gruppi parlamentari: chi ha rinnovato di più (e chi di meno)
Nuovo parlamento, vecchi conflitti
Lo sfarinamento del vecchio bipolarismo ha a sua volta indebolito i confini partitici. In questa fase politica, per i “capi-corrente” è più facile abbandonare il partito di appartenenza per confluire in altre formazioni – oppure crearne di nuove. Le elezioni senza un vincitore netto, la successiva convivenza “forzata” tra Lega e M5S, e infine il passaggio che ha portato alla nascita del Governo Conte II hanno provocato diversi malumori tra i parlamentari appartenenti ai tre poli.
All’interno del centrodestra, la crescita della Lega e (in minor misura) di Fratelli d’Italia ha causato molti mal di pancia tra gli eletti di Forza Italia. L’ala del partito maggiormente favorevole ad un’unità di azione con gli altri due partner del centrodestra, guidata da Giovanni Toti, si è staccata dal Cavaliere per creare una nuova formazione denominata Cambiamo.
Nel centrosinistra i conflitti tra l’ex premier Matteo Renzi e il Partito Democratico sono diventati insanabili e perciò poco dopo la nascita del governo giallorosso sono nati i gruppi parlamentari di un nuovo soggetto politico chiamato Italia Viva. Infine, nel corso di questo primo anno e mezzo di legislatura, all’interno del Movimento 5 Stelle ci sono state diverse defezioni ed espulsioni a causa dei dissidi interni. Tutti questi conflitti hanno mutato significativamente i rapporti di forza tra i gruppi nei due rami del Parlamento.
La disciplina dei gruppi alla Camera e al Senato
I parlamentari hanno il pieno diritto di poter cambiare gruppo qualora non si sentano più rappresentati da quello in cui risultano iscritti. Il regolamento della Camera prevede che ciascun deputato debba appartenere ad un gruppo: entro due giorni dalla prima seduta, in particolare, tutti i deputati devono comunicare a quale gruppo aderiranno. Nel caso in cui non venga espressa alcuna preferenza, il deputato confluisce automaticamente nel gruppo misto. Nel corso della legislatura è possibile creare nuovi gruppi a patto che siano composti da almeno 20 deputati. L’ufficio di presidenza può concedere una deroga, nel caso in cui si voglia costituire un gruppo con meno di venti membri ma riconducibile a un soggetto che si è effettivamente presentato alle elezioni.
Al Senato, invece, i senatori hanno tre giorni di tempo per comunicare all’ufficio di presidenza a quale gruppo intendono aderire. Anche in questo caso i senatori che non esprimono alcuna preferenza confluiscono nel gruppo misto, e per costituire un gruppo servono almeno 10 senatori. Il nuovo regolamento del Senato prevede però, a differenza della Camera, che non si possano creare nuovi gruppi in corso di legislatura, a meno che non facciano riferimento ad una lista presente alle elezioni.
I cambi dall’inizio della legislatura nella Camera
I recenti avvenimenti hanno mutato i rapporti di forza tra i gruppi all’interno della Camera. Rispetto a marzo 2018, è entrato in scena a Montecitorio il gruppo parlamentare di Italia Viva, che di fatto costituisce l’ago della bilancia della maggioranza che sostiene il Governo Conte II. A seguito della scissione, il Partito Democratico non è più la terza forza più consistente dell’assemblea, poiché è ora superato da Forza Italia. Quest’ultima, a sua volta, con la perdita di 5 membri da inizio legislatura ha visto accentuarsi il distacco numerico dalla Lega.
In particolare, il gruppo di Fratelli d’Italia ha visto gli ingressi di Salvatore Caiata e Galeazzo Bignami, eletti rispettivamente in quota Movimento 5 Stelle e Forza Italia. Il partito di Berlusconi ha anche perso, in direzione del Gruppo Misto, quattro deputati vicini a Toti (Stefano Benigni, Manuela Gagliardi, Claudio Pedrazzini e Alessandro Sorte), oltre che Vittorio Sgarbi e Giorgio Silli, ma ha visto gli ingressi di Enrico Costa (eletto con Noi con l’Italia e inizialmente nel Misto) e Matteo Dall’Osso (eletto con i 5 Stelle).
Il Carroccio ha inoltre perso un deputato, Carmelo Lo Monte, passato al Gruppo Misto, mentre gli eletti 5 Stelle finiti nel Misto in corso di legislatura sono Sara Cunial, Veronica Giannone, Gloria Vizzini e Davide Galantino.
Nel centrosinistra, sono 25 i deputati PD che hanno dato vita al gruppo di Italia Viva: si tratta di Lucia Annibali, Michele Anzaldi, Maria Elena Boschi (capogruppo), Nicola Carè, Matteo Colaninno, Camillo D’Alessandro, Vito De Filippo, Mauro Del Barba, Marco Di Maio, Cosimo Maria Ferri, Silvia Fregolent, Maria Chiara Gadda, Roberto Giachetti, Gianfranco Librandi, Luigi Marattin, Gennaro Migliore, Mattia Mor, Sara Moretto, Luciano Nobili, Lisa Noja, Raffaella Paita, Giacomo Portas, Ettore Rosato, Ivan Scalfarotto e Massimo Ungaro. A essi si aggiunge Gabriele Toccafondi, proveniente dal Gruppo Misto in quota Civica Popolare. Il PD ha anche perso, in direzione del Misto, Daniela Cardinale, ma si è al contempo rinforzato numericamente con gli ingressi dell’ex Presidente della Camera Laura Boldrini (proveniente da LeU), di Beatrice Lorenzin e di Serse Soverini (entrambi dal Misto).
Camera: i gruppi parlamentari a inizio legislatura e oggi
Nel complesso, Italia Viva guadagna 26 deputati dai democratici, mentre Forza Italia dopo la scissione di Toti ha perso 4 deputati in direzione gruppo misto. Seppur in misura – per ora – inferiore rispetto alla scorsa legislatura, prosegue la fuga degli eletti del Movimento 5 Stelle, anch’essi verso il misto.
E quelli al Senato…
Al Senato la maggioranza su cui si regge il governo giallorosso è meno ampia. Ed è per questo che Italia Viva qui ha un potere contrattuale ancora maggiore sull’esecutivo.
In particolare, il gruppo guidato da Renzi si è potuto costituire grazie all’apporto del socialista Riccardo Nencini, (titolare del simbolo “Insieme” con cui il suo PSI ha corso alle ultime elezioni) e ha visto l’ingresso delle senatrici Donatella Conzatti (eletta con Forza Italia) e Silvia Vono (eletta con il M5S), oltre che di 14 senatori PD tra cui lo stesso Matteo Renzi: si tratta di Teresa Bellanova (Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali), Francesco Bonifazi, Eugenio Comincini, Giuseppe Cucca, Davide Faraone (capogruppo), Laura Garavini, Nadia Ginetti, Leonardo Grimani, Ernesto Magorno, Mauro Marino, Annamaria Parente, Daniela Sbrollini e Valeria Sudano.
Il PD ha anche perso il senatore Matteo Richetti in direzione del Gruppo Misto, mentre dal Movimento 5 Stelle sono stati espulsi Saverio De Bonis, Gregorio De Falco e Paola Nugnes. Nessun cambio di casacca, invece, nel centrodestra.
Senato: i gruppi parlamentari a inizio legislatura e oggi
La provenienza dei transfughi
Ad aver cambiato gruppo tra Camera e Senato sono ben 66 parlamentari. Di questi, 42 sono stati eletti nelle circoscrizioni plurinominali, 21 nei collegi uninominali (nel caso di centrodestra e centrosinistra, con i voti di tutta la coalizione) e 3 nella circoscrizione estero.
In conclusione, nonostante la XVIII legislatura sia iniziata da appena un anno e mezzo, il quadro partitico vive una fase di grande mutamento, e prima che si torni alle elezioni assisteremo quasi certamente ad ulteriori cambi di gruppo.
Non funzionano i grafici
Sicuro? Sui nostri dispositivi risulta tutto ok…
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