L’Argentina è chiamata al voto domenica 27 ottobre per eleggere il proprio Presidente. Nella stessa data si eleggeranno anche più di metà dei deputati della Camera e un terzo dei membri del Senato argentino, oltre che 4 governatori di Provincia.
L’attuale presidente Mauricio Macri, leader del partito conservatore Proposta Repubblicana e della più ampia coalizione Uniti per il Cambiamento, si trova a dover fronteggiare la sfida posta in essere dal Fronte di Tutti, l’alleanza di centrosinistra guidata da Alberto Fernández del Partito Giustizialista, con l’ex-presidente Cristina Kirchner candidata come sua vice. Stando ai sondaggi e al risultato delle primarie di agosto, la coalizione guidata da Fernández risulterebbe essere destinata ad una vittoria già con il risultato del primo turno, evitando uno scontro al ballottaggio che nel 2015 costò la sconfitta, per mano di Macri, al candidato kirchnerista Daniel Scioli.
Il sistema elettorale argentino
La quasi certezza del ritorno di Cristina Kirchner al governo è dettata in primo luogo dal peculiare sistema elettorale del Paese sudamericano. A partire dal 2009, 2 mesi prima di ogni elezione generale tutti i partiti concorrono per legge in delle primarie per scegliere il proprio ticket di candidati (Presidente e Vicepresidente), e in questa tornata ogni elettore può esprimere un solo voto tra tutte le liste presenti. I partiti o coalizioni che non ottengono in questa occasione almeno l’1,5% dei voti validi non possono però presentarsi alle elezioni.
Quest’anno, così come già avvenuto in passato, i partiti che hanno partecipato a queste primarie aperte simultanee ed obbligatorie (PASO) tenutesi l’11 agosto si sono presentati tutti con un ticket presidenziale già definito: per questa ragione, il risultato delle stesse ha delineato a tutti gli effetti lo scenario che potrà emergere dal voto del 27 ottobre, tanto da poter parlare di una vera e propria pre-elezione.
Per vincere le elezioni al primo turno è necessario ottenere il 45% dei voti, oppure una percentuale tra il 40 e il 45% con un margine di 10 punti percentuali sul secondo candidato. Stando ai risultati delle PASO, Fernández e Kirchner riuscirebbero ad evitare il ballottaggio, e gli ultimi sondaggi registrati nel mese di ottobre proiettano Fernández addirittura oltre la soglia del 50% dei consensi.
Al contrario, i sondaggi che anticiparono le primarie di agosto avevano sottostimato il risultato di Fernández, addirittura segnalando un possibile testa a testa con Macri e sollevando così critiche sull’oggettività degli stessi e sulla vicinanza di alcuni istituti demoscopici al partito di governo. Ciononostante, la strategia di Kirchner per riavvicinarsi alla vittoria dopo anni di opposizione parrebbe aver dato i suoi frutti.
Il declino di Macri e dell’economia
Il Presidente Macri da mesi soffre di un forte calo di consensi, dovuto ad una serie di fattori. Il programma “povertà zero” che lo portò all’elezione nel 2015 non è stato tradotto in politiche efficaci: nel primo semestre del 2019 il 35,4% degli argentini, ossia 15,9 milioni di persone, viveva al di sotto della soglia di povertà. Dal secondo trimestre del 2018 allo stesso periodo del 2019 il reddito familiare principale in termini reali è sceso del 13,8%, estinguendo di fatto il divario che esisteva fra la classe media e quella più povera[1]. Questi numeri sono sicuramente sintomo di un’economia in estrema difficoltà: dalle prime fasi del mandato di Macri ad oggi il debito estero è salito del 79% in dollari[2] e l’inflazione ha raggiunto i 50 punti percentuali. Alla fine dello scorso anno, poi, Macri ha accettato il piano di bailout di 59 miliardi di dollari concordato con il Fondo Monetario Internazionale, assumendosi un rischio politico che gli argentini non sembrano aver gradito. In questo contesto, il Presidente è sembrato cedere il passo al rivale durante il primo dibattito televisivo tenutosi il 13 ottobre, e la campagna elettorale, culminata a Buenos Aires il 19 ottobre al grido di “Sì, se puede” intonato da una piazza non troppo entusiasta, non ha dato l’impressione di poter risollevare le sorti di Macri.
Ma durante l’ultimo dibattito televisivo, tenutosi il 20 ottobre a Buenos Aires, Macri è riuscito ad assestare un paio di colpi a Fernández, puntando perlopiù ai suoi legami con i governi dei coniugi Néstor e Cristina Kirchner, nei quali servì come capo di gabinetto. Nel suo discorso, Macri ha richiamato le molteplici accuse di corruzione che segnarono entrambi i leader, con la manipolazione di statistiche ufficiali per nascondere il tracollo economico del Paese. L’accusa più forte rivolta a Fernández è quella di non aver agito di fronte agli scandali, ma Fernández ha ricordato di essersi dimesso in disaccordo con Cristina Kirchner e di non essere mai stato indagato.
Kirchnerismo senza Kirchner?
Se gli ultimi giorni di campagna elettorale non saranno sufficienti per la risalita nei sondaggi di Macri, Alberto Fernández è destinato ad una vittoria che riporterebbe il kirchnerismo al governo. Le ombre dietro la sua candidatura, sollevate anche durante i dibattiti elettorali, sembrano non intaccare l’immagine di un politico che – prima di essere designato come candidato di punta del Frente de Todos – è sempre rimasto dietro le quinte. Fece infatti scalpore, nel maggio di quest’anno, la ridiscesa in campo di Cristina Kirchner, questa volta come candidata alla Vicepresidenza: l’ex Presidente ha però evitato i riflettori nei mesi successivi, consapevole della sua bassa popolarità tra gli argentini.
Fernández dovrà dunque dimostrare di non essere sotto il controllo di Kirchner, affrontando al contempo un’agenda economica che vede nel 2020 e nel 2021 anni di dura negoziazione con il Fondo Monetario Internazionale per l’appianamento del debito nazionale. Tuttavia, dopo la vittoria alle primarie, mentre il cambio col dollaro passava da 45 a 63 pesos argentini, Fernández si è spinto ad affermare che il piano in vigore sarebbe stato oggetto di revisioni nel suo governo, per consentire la ripresa della crescita economica.
Il front-runner avrà anche il duro ruolo di unire le diverse anime che compongono il Frente de Todos, coalizione composta sia dai kirchneristi che dai peronisti progressisti. In tal senso si spiega il tono più morbido adottato da Fernández nell’ultimo mese, con quella che suona come una chiamata all’unità nazionale attraverso la promessa dell’uscita dal baratro economico e del miglioramento delle condizioni in cui si trovano milioni di argentini. Per far ripartire la produzione ed avvicinarsi progressivamente ad un miglioramento dei salari e delle condizioni lavorative, Fernández ha puntato su una base multipolare, capace di racchiudere sia i potenti sindacati che i movimenti popolari. La ricerca di un programma condiviso e non polarizzante, all’interno di un contesto politico che dalla nascita del peronismo ha attraversato scenari di crisi continue, dovrà fare però i conti con lo spettro del populismo e con la figura più polarizzante della politica argentina: Cristina Kirchner.
Il barometro elettorale: Buenos Aires
Domenica 27 ottobre le elezioni presidenziali saranno affiancate, come detto, dalle elezioni della Camera, del Senato e di 4 governatori provinciali.
La Camera, che conta 257 deputati, è rinnovata ogni 2 anni per metà, per cui ogni deputato ha un mandato di 4 anni: l’elezione avviene su base proporzionale con liste bloccate, con una soglia fissata al 3% e con i seggi assegnati tramite il metodo d’Hondt, su 24 circoscrizioni corrispondenti alle province argentine. Il Senato, che conta invece 72 membri, viene rinnovato per un terzo ogni 2 anni, per cui i senatori restano in carica 6 anni, proprio come negli Stati Uniti.
Gli occhi saranno tuttavia puntati anche sulla provincia di Buenos Aires, che con Catamarca, La Rioja e la città Autonoma di Buenos Aires dovrà eleggere il proprio governatore. La provincia di Buenos Aires risulta importante nella corsa elettorale, dal momento che il 37% dell’elettorato nazionale risiede nella provincia. Il risultato delle primarie ha visto trionfare Axel Kicillof, il candidato della coalizione di Alberto Férnandez, con il 52,7% dei consensi: si tratta di 20 punti percentuali in più rispetto a Maria Eugenia Vidal, fedelissima di Macri e sua vice nel secondo mandato di governo della città Autonoma di Buenos Aires.
L’unica possibile consolazione per il Presidente potrebbe arrivare proprio dalla capitale, dove Horacio Rodríguez Larreta, con il 46% ottenuto alle primarie, potrà verosimilmente far proseguire l’esperienza politica che lo stesso Macri avviò a Buenos Aires nel 2007.
[1] https://www.infobae.com/economia/2019/09/30/la-pobreza-subio-al-354-y-ya-alcanza-a-159-millones-de-argentinos-segun-el-indec/
[2] https://www.baenegocios.com/economia-finanzas/Cada-argentino-ya-debe-6.310-dolares-por-la-deuda-externa–20191009-0002.htmlhttps://www.baenegocios.com/economia-finanzas/Cada-argentino-ya-debe-6.310-dolares-por-la-deuda-externa–20191009-0002.html
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