Studiano tanto, votano poco, e si definiscono “di sinistra”. Sono forse la generazione più derisa di tutte, ma spesso i loro comportamenti nascondono verità ben diverse da quelle che i media tendono a ritrarre. Stiamo parlando dei millennials, la generazione di ragazzi nati tra i primi anni ’80 e la prima metà anni ’90 e diventati adulti nel bel mezzo di una delle crisi economiche più devastanti della storia dell’Occidente moderno.
E se il progresso tecnologico ha avuto un impatto profondo sulla vita di tutti, è proprio la crisi economica che ha segnato la pelle dei (non più così tanto) giovani millennials. La ricerca effettuata nel 2017 da Ipsos MORI e intitolata “Millennial: Myths and Realities” inquadra l’impatto che la crisi ha avuto su una generazione tanto “misteriosa” quanto sofferente. Ci offre però anche una panoramica più ampia sulle attitudini e sulle preferenze dei millennials, spesso a loro volta connesse allo stato di salute del mondo consegnatogli in eredità dalle generazioni precedenti.
Mammoni per forza
Quella dei millennials sarà la prima generazione occidentale dell’epoca moderna a stare peggio dei propri genitori, dice Ipsos. Soprattutto in quei Paesi dove globalizzazione e crisi hanno colpito più duramente la classe media, da ormai quasi tre decenni non esiste crescita economica per le fasce di popolazione più giovani. Come si può facilmente immaginare, l’Italia è fanalino di coda in questa speciale classifica che comprende le maggiori economie occidentali. Tra il 1986 e il 2010, il reddito di un italiano in età compresa tra 25 e 29 anni è cresciuto del 19% in meno rispetto alla media nazionale.
Ciò significa che il livello di reddito disponibile è rimasto pressoché invariato da 15 anni a questa parte, mentre quello delle generazioni più anziane è cresciuto più o meno visibilmente. Ipsos prova a spiegare i motivi di questo evidente gap intergenerazionale, trovandone le cause non solo negli esiti della crisi economica, ma anche nei mutamenti del mercato del lavoro che da questa sono derivati. Ecco che allora alti tassi di disoccupazione giovanile e debiti pubblici fuori controllo vanno a braccetto con una crescente precarietà e posti di lavoro sempre più flessibili e “non convenzionali”.
Ma se un giovane ha possibilità economiche insufficienti, farà anche molta più fatica a lasciare casa, ancor di più a comprarne una di proprietà, e quindi a mettere su famiglia. Al 2014, negli Stati Uniti, il 31% dei ventisettenni vive con i genitori, quando alla stessa età lo faceva solo il 18% dei nati tra metà anni ’60 e inizio anni ’80 (la cosiddetta “Generazione X”). Volenti o nolenti, i giovani d’oggi (che rappresentano circa il 25% della popolazione in Europa e quasi il 30% negli Stati Uniti) impiegano più tempo ad entrare in quella che è generalmente considerata la “vita adulta”. Questa è forse la conseguenza più visibile rispetto alla condizione di immobilità economica in cui si trovano.
Sogni infranti
Quando scarseggia l’ottimismo sul raggiungimento di prospettive economiche fiorenti, le ambizioni dovrebbero calare di conseguenza. Dati gli elevati standard di vita raggiunti dai genitori, tuttavia, l’obiettivo dei millennials rimane quello di una vita lavorativa di alto livello. Questi giovani d’oggi sono definiti da Ipsos “la generazione più istruita di sempre”: basti pensare che il tasso di laureati tra i millennials raggiungerà entro pochi anni un picco del 40% nel Regno Unito (contro il 34% della Generazione X). Questo trend si conferma anche nei Paesi emergenti, dove le percentuali inerenti il tasso di istruzione giovanile rimangono inferiori a quelle occidentali, ma superano di gran lunga quelle delle generazioni precedenti. Nel 1999 solo il 6,4% dei giovani cinesi studiava all’università mentre nel 2006, solo 7 anni dopo, la percentuale è più che triplicata raggiungendo il 21,6%.
Ma se nei Paesi emergenti il boom economico permetterà di assorbire la quasi totalità della nuova forza lavoro in uscita dalle università, in Occidente non è così. Anche in questo caso, gli strascichi della crisi del 2008 e lo stallo dei mercati del lavoro rischiano di trasformare un dato positivo – l’aumento dei laureati – in una vera crisi generazionale. La colpa però, non è unicamente attribuibile agli alti tassi di disoccupazione, bensì, in larga parte, anche alla crescente discrepanza tra l’alto numero di laureati in materie su cui c’è poca domanda sul mercato del lavoro e quelli, spesso troppo pochi, che invece possiedono le conoscenze più richieste (soprattutto nel campo dell’ICT). Aumentano quindi gli istruiti, ma anche gli insoddisfatti e i delusi. Molti neolaureati vanno incontro a una cruda realtà: le proprie aspettative potrebbero non trovare un’effettiva realizzazione all’interno di un mercato del lavoro profondamente sbilanciato.
Più avanti sui diritti? Non sempre
All’aumentare del grado di istruzione, com’è noto, aumenta anche l’apertura verso temi quali immigrazione, sessualità e identità di genere. I giovani che intraprendono un percorso accademico tendono infatti ad assumere posizioni più tolleranti. È però un mito, secondo Ipsos, la credenza diffusa che i millennials siano molto più “socialmente liberal” rispetto alle generazioni che li hanno preceduti: questo è vero, ma solo su alcuni temi e solo in alcuni Paesi.
Riguardo a temi come parità dei sessi, omosessualità e pena di morte le società occidentali avevano, in realtà, già fatto grandi passi avanti con i baby boomers (i nati tra l’inizio del secondo dopoguerra e la metà degli anni ’60) e la Generazione X. Le opinioni dei millennials non si discostano dunque di molto da quelle dei propri genitori e fratelli maggiori. In Italia, ad esempio, l’80% dei giovani ritiene che gay e lesbiche debbano poter vivere la propria vita liberamente, all’incirca la stessa percentuale riscontrata nel complesso della popolazione; il 44% sostiene che debba esserci la pena di morte per i reati più gravi, anche qui un dato praticamente identico a quello sondato tra l’intera popolazione.
L’unico tema che racchiude una significativa differenza di opinioni tra generazioni è quello relativo alla immigrazione. In Gran Bretagna solo un quarto dei millennials lo ritiene un tema davvero rilevante, contro il 33% degli appartenenti alla Generazione X, il 43% dei baby boomers e il 48% dei nati prima del 1945. La maggiore apertura dei giovani occidentali verso gli stranieri potrebbe essere dovuta non solo all’alto livello di istruzione e alla crescente interconnessione con il mondo dovuta all’intenso uso di internet, ma soprattutto alle maggiori possibilità, rispetto alle generazioni precedenti, di avere un contatto con gli stranieri di seconda o terza generazione.
Partiti, voto e istituzioni
Varia però, anche l’attitudine verso il voto: oggi i millennials sono la generazione che si astiene di più. Ma è noto come la tendenza all’astensione sia un fenomeno che caratterizza l’elettorato più giovane indipendentemente dalla generazione, e anche qui il vero cambiamento è avvenuto prima che i millennials entrassero in gioco.
Se confrontiamo l’affluenza media registrata in Gran Bretagna durante il periodo in cui i baby boomers avevano circa 28 anni con quello dei giovani della Generazione X e i millennials di oggi, vediamo che tra i primi l’affluenza alle urne si attestava al 79%, cioè soli 4 punti in meno rispetto all’affluenza generale, mentre tra i secondi e i terzi era rispettivamente al 65% e al 58% (-14% e -15% sull’affluenza generale). Insomma, è vero che i giovani votano di meno (e sempre di meno), ma l’insofferenza verso gli istituti democratici è un problema sorto già tra gli anni ’80 e ’90 e che riguarda tutte le generazioni.
La democrazia soffre, e anche i partiti politici come li abbiamo conosciuti finora sembrano in forte crisi. I giovani occidentali faticano sempre più a identificarsi in un solo partito politico, e la maggior parte tende ad votare l’uno o all’altro schieramento di elezione in elezione, in base a chi offre la risposta migliore ai problemi correnti. È il riflesso di una società sempre più fluida e mutevole, nei metodi di comunicazione ma anche nella risoluzione dei problemi. Una linea di pensiero che si presenta in discontinuità rispetto alla lentezza, forse eccessiva, delle monolitiche istituzioni del passato.
Questa disaffezione si riflette anche sul ruolo che le istituzioni stesse svolgono all’interno della società. Se i millennials vengono generalmente definiti come liberal dal punto di vista sociale, in alcuni Paesi tendono ad assestarsi su posizioni economiche più vicine al laissez-faire. Per esempio, nel Regno Unito chiedono una minore intromissione dello Stato nella vita del cittadino, anche quando i governi tentano di attuare misure volte alla redistribuzione del reddito tra le fasce più povere della popolazione. Nonostante ciò, il partito preferito fra i millennials è paradossalmente – e costantemente negli ultimi vent’anni – il Labour. L’opposizione verso lo “Stato forte” non impedisce quindi ai giovani europei di considerare se stessi come una generazione “di sinistra”.
Alla domanda “Ti senti più di destra o di sinistra?”, infatti il 26% dei giovani in Italia risponde “di sinistra”, il 15% “di destra”. Una differenza di +11% a favore della sinistra, più o meno in linea con quella registrata in Francia, Germania e Regno Unito. Differenza che è ancora più marcata in Svezia e Spagna: si considerano di sinistra il 39% dei millennial svedesi (contro il 10% di destra) e il 34% di quelli spagnoli (contro il 6%). Il solo Paese in cui vi è una tendenza opposta è la Polonia (unico stato dell’est Europa considerato dalla ricerca Ipsos) dove il 24% dei giovani di definisce di destra e solo il 10% di sinistra. Quest’ultimo dato rispecchia la netta spaccatura tra gli orientamenti dell’elettorato dell’Europa occidentale e orientale, apparentemente destinata a permanere anche nel prossimo futuro.
Una nuova rappresentanza?
Il vero dramma dei millennials si può forse riassumere in una formula che sembra il fil rouge tra gli aspetti qui menzionati: una dicotomia costante, un conflitto interno evidente in ogni aspetto finora elencato. Per esempio, tra lo stile di vita privilegiato a cui la generazione precedente ci ha abituati e la prospettiva di non riuscire ad aumentarlo e spesso nemmeno a mantenerlo. Tra l’alto grado di formazione raggiunto e la scarsità di offerte nel mercato del lavoro. Ancora, tra l’identificazione politica e la scarsa fiducia nel concetto di istituzione.
Anche se nello studio Ipsos MORI è poco approfondita, emerge vivida anche la dicotomia tra virtuale e reale. Forse, l’unica via d’uscita, e quindi possibile fulcro di cambiamento, sarebbe una nuova rappresentanza politica. Secondo Ipsos, infatti, istituzioni e partiti finora si sono concentrati poco sui bisogni dei giovani. Questo è dovuto al loro peso politico ridotto sia a causa dell’astensione di cui si è già detto, sia (come avviene in Italia) al calo demografico, che ha raggiunto il suo massimo negli anni fra il 1985 e il 2000. Tuttavia, se i millennial seguiranno le orme della Generazione X e parteciperanno di più alla politica – non solo votando alle elezioni – il loro peso politico crescerà e i partiti dovranno, giocoforza, ascoltare maggiormente le loro preoccupazioni e le loro idee.
Studio e analisi estremamente interessante. Mi ci vedo completamente. Complimenti!
Fortunatamente quando iniziano a lavorare sto millennials (di cui faccio parte) che essere “de sinistra” è solo una fregatura e la realtà arriva ben presto.