Le ragioni del voto: perché hanno vinto i Conservatori?
Mettiamo ora da parte l’argomento Brexit, e concentriamoci più in generale sulle motivazioni degli elettori. Perché, a distanza di soli due anni – e con di mezzo una legislatura breve ma piuttosto movimentata – i Conservatori sono riusciti a sbloccare lo stallo e ad ottenere una netta maggioranza (impresa che non gli era riuscita nel 2017)?
Torniamo all’analisi dei flussi di YouGov, questa volta prendendo come punto di partenza le elezioni del 2017. Da questa analisi si evince molto chiaramente come i Conservatori siano riusciti a mantenere ben l’85% dei loro elettori 2017, perdendone solo il 7% verso i Lib-Dem e il 4% verso il Labour. Al contrario, l’11% degli ex elettori laburisti stavolta ha scelto il partito di Johnson, e un altro 9% ha votato per i liberal-democratici.
Ma cosa può aver determinato questo cambiamento tra la performance dei Conservatori e quella dei Laburisti rispetto al 2017? Il principale indiziato è la leadership dei due partitim, che è rimasta la stessa (Jeremy Corbyn) per il Labour, mentre è cambiata per i Conservatives, con Boris Johnson al posto di Theresa May. L’inchiesta di Lord Ashcroft sugli elettori ha confermato una tendenza che era già emersa nei sondaggi della vigilia, e cioè che Johnson veniva generalmente ritenuto un miglior primo ministro rispetto a Corbyn.
L’importanza del fattore leadership per chi ha scelto i Conservatori trova conferma nella domanda sulle ragioni della propria scelta di voto dichiarate dagli elettori. Per gli elettori del partito di Johnson al terzo posto in questa classifica si trova infatti la convinzione di aver scelto il partito il cui leader era visto come il miglior primo ministro. Si tratta di una scelta in qualche modo “eccentrica” rispetto agli elettori degli altri partiti (e dell’elettorato nel suo complesso, in grigio), dal momento che le prime 3 risposte date dagli elettori dei Conservatori sono diverse da quelle di tutti gli altri elettorati.
Più nello specifico, tra i temi di campagna elettorale ritorna centrale la questione della Brexit, il cui completamento è indicato come uno dei 3 elementi più importanti per la propria scelta di voto dal 36% degli elettori (percentuale che raddoppia tra chi ha votato i Conservatori). Un ulteriore 21% (che sale al 28% tra gli elettori del Labour e al 65% tra quelli Lib-Dem) l’ha invece indicata ma nell’ottica opposta, e cioè ha dichiarato di aver votato per fermarla. In totale, l’uscita dalla UE, in un modo o nell’altro, è stato uno dei temi più importanti su cui si è basato il voto del 57% degli elettori. La Brexit ha inciso persino più di un tema interno e molto “caldo” come la riforma del sistema sanitario nazionale (NHS), citata dal 55% degli intervistati.
Questa volta, quindi, non ci sono state grandi sorprese: ha vinto Boris Johnson, proprio come indicavano i sondaggi, e i Conservatori hanno ottenuto la maggioranza dei seggi, come suggerivano i modelli di proiezione della vigilia (tra cui proprio quello di YouGov). Eppure, negli ultimi giorni tutti gli analisti non escludevano la possibilità di un finale a sorpresa, persino paventando il rischio di un nuovo hung parliament (cioè senza maggioranza). Le indagini di Lord Ashcroft confermano come quest’impressione non fosse completamente priva di fondamento: tra gli elettori che hanno deciso cosa votare all’ultimo momento (nell’ultima settimana, negli ultimissimi giorni o persino il giorno stesso del voto) la maggioranza relativa si è effettivamente orientata sui Laburisti di Corbyn, protagonista di un finale di campagna elettorale particolarmente vivace.
Anche questa non è una sorpresa: già nel 2017 Corbyn si era reso protagonista di uno sprint finale che lo portò quasi al pareggio (40% contro 42%) nella sfida con i Conservatori, causando di fatto la “vittoria azzoppata” di Theresa May e i suoi successivi due anni di calvario. Stavolta il Labour ha in qualche modo rivissuto quella dinamica, ma in modo meno intenso e, ad ogni modo, insufficiente.
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