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Il 2019 dei partiti: il PD di Zingaretti alla prova del governo giallo-rosso

Dopo un anno dalla pesante sconfitta del 4 marzo 2018 il PD ha eletto un nuovo Segretario, che dopo una crisi inattesa ha riportato i democratici al governo…

Il 2019 del Partito Democratico era iniziato all’insegna dell’incertezza e del pessimismo. Bruciava ancora la pesante sconfitta subita alle Politiche del 4 marzo 2018, a cui si erano aggiunte altre sconfitte importanti sul piano locale (regionali e comunali). Le dimissioni di Matteo Renzi dalla segreteria avevano portato a una reggenza provvisoria (quella di Maurizio Martina) che per mesi aveva rinviato la convocazione un nuovo congresso. Nei sondaggi il partito era terzo, alle spalle dei due partiti al governo (Lega e M5S) e confinato ad un’opposizione che pareva destinata a durare a lungo. Un anno dopo, il PD ha un nuovo segretario, è tornato al governo ed è stabilmente in seconda posizione nei sondaggi, anche se rimane ancora sui livelli del 4 marzo 2018 e ha subito scissioni e abbandoni. Come si è arrivati a questo punto?

La prima Supermedia del 2019 vedeva il PD al 18,1%, uno dei punti più bassi mai toccati nella sua storia. Dopo un 2018 annus horribilis, il 2019 doveva essere l’anno del rilancio, pena una crisi irreversibile per il principale partito del centrosinistra italiano. Il nuovo congresso, che sarebbe culminato nelle primarie, è una sfida a tre con un vincitore annunciato: il Presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti (peraltro, unico esponente del PD ad aver vinto un appuntamento elettorale di rilievo nel 2018). Gli altri due candidati (gli unici rimasti in lizza dopo il ritiro di Marco Minniti e di Matteo Richetti), ossia il segretario reggente Maurizio Martina e il deputato Roberto Giachetti, rappresentano in modi diversi la continuità con la gestione renziana, iniziata nell’ormai lontano 2013.

A differenza di quanto avvenuto in passato, però, quest’anno il congresso del PD non “buca” più di tanto l’agenda mediatica – dominata da Salvini e dal dibattito interno al governo giallo-verde – e non sembra scaldare più di tanto i cuori della base: a febbraio, il PD tocca il suo punto più basso (17,3%), al punto che si inizia a discutere dell’opportunità di presentare un simbolo diverso per le elezioni europee, previste per la fine di maggio. Secondo un sondaggio SWG, metà degli elettori del PD condivide questa ipotesi, e una maggioranza schiacciante (l’87%) è favorevole alla presentazione di una lista unica del centrosinistra, per non disperdere i voti progressisti a causa della soglia di sbarramento del 4%.

Quando Nicola Zingaretti vince le primarie, però, il PD torna a risalire nei sondaggi, come già avvenuto altre volte in passato in circostanze simili. In primavera torna sopra il 20%, con punte del 21% alla vigilia delle Europee. Nel frattempo, però, il PD ha accumulato altre sconfitte nelle elezioni regionali in Abruzzo, Sardegna e Basilicata, vinte dal centrodestra; ma in tutte queste occasioni il centrosinistra si è comunque piazzato in seconda posizione, superando nuovamente il Movimento 5 Stelle. Secondo i sondaggi, sono molti gli elettori a ritenere che con il nuovo segretario la linea del PD si sia spostata più a sinistra rispetto all’era di Renzi: Zingaretti punta dichiaratamente a ricostruire un campo progressista alternativo al centrodestra a trazione leghista, apre le porte ai fuoriusciti delusi dalla gestione renziana e sottoscrive il manifesto “Siamo Europei” promosso dall’ex ministro Carlo Calenda.

La strategia sembra funzionare, e le Europee vanno piuttosto bene: il PD non riesce a formare una lista unica né con gli ambientalisti né con i “liberal” di Più Europa, ma ottiene comunque un buon 22,7% e si piazza in seconda posizione, lontano dalla Lega ma anche nettamente davanti al Movimento 5 Stelle. Nello stesso giorno, però, il PD perde anche le regionali in Piemonte (dove governava con Sergio Chiamparino) e nelle contestuali elezioni amministrative, dove il centrosinistra perde molte roccaforti storiche.

A luglio il partito di Zingaretti conosce un nuovo calo, probabilmente dovuto alla martellante campagna mediatica con cui sia il M5S sia la destra di Lega e FDI accostano il PD alle tristi vicende di cronaca che riguardano gli affidi di minori a Bibbiano. La “tempesta di agosto” però cambia tutto ancora una volta. Salvini fa cadere il Governo Conte, e Zingaretti annuncia di essere pronto ad andare a nuove elezioni. Nel suo partito però c’è chi frena: si forma un asse “governista” guidato dall’ex ministro (ed ex segretario) Dario Franceschini; a sorpresa, persino Matteo Renzi si dichiara favorevole a formare un governo con tutti (quindi anche con l’odiato M5S) pur di non andare a elezioni in cui il grande favorito sarebbe stato il centrodestra.

Zingaretti accetta dunque di proseguire la legislatura, e persino di lasciare il premier Giuseppe Conte a Palazzo Chigi. Nel far questo, il segretario comunque viene incontro alle preferenze della maggioranza dei suoi elettori: a inizio settembre, infatti, si dichiarano a favore di un Conte-bis sostenuto da PD e M5S il 69% degli elettori democratici secondo SWG, il 68% secondo Piepoli e il 66% secondo Tecnè. Per avere un’idea di quanto il clima sia cambiato rapidamente – non solo tra i leader ma anche tra la base – basti pensare come soltanto pochi mesi prima (a maggio) i due terzi degli elettori del PD dichiaravano di non volere, nemmeno in futuro, un’alleanza con il M5S – peraltro, in ciò pienamente contraccambiati dagli elettori pentastellati.

La sfida del governo con il Movimento 5 Stelle mette però a dura prova il PD: non solo perché costringe il segretario (e molti altri esponenti del partito) a rimangiarsi un impegno dichiarato più volte in precedenza – e che causa l’addio al PD di Calenda e Richetti – ma anche perché dopo la crisi agostana il M5S si è rafforzato, quasi azzerando la distanza con i democratici e rivendicando un ruolo predominante nel governo in virtù del numero (molto maggiore) di parlamentari. Non solo: dopo aver contribuito a far nascere il nuovo esecutivo, Matteo Renzi abbandona il partito di cui era stato segretario e fonda Italia Viva, i cui consensi vengono in gran parte, secondo tutti i sondaggi, proprio dal PD.

La scissione e le difficoltà nella convivenza con il M5S nel Governo Conte II (in cui il PD, nonostante Roberto Gualtieri occupi un ruolo “pesante” come quello del Ministero dell’Economia, non riesce più di tanto a dettare l’agenda) portano ad un calo dei consensi per il Partito Democratico, che scende nuovamente sotto il 20% e a fine anno si ritrova più o meno sugli stessi livelli – deludenti – delle Politiche 2018. Alle elezioni regionali in Umbria il PD sperimenta un’inedita alleanza pre-elettorale con il Movimento 5 Stelle per evitare di perdere una “regione rossa” storica: ma l’esperimento fallisce, il centrodestra vince con Donatella Tesei e i progetti di un’alleanza strutturale e strategica con i pentastellati perdono appeal. E infatti il 2020 si aprirà con due importanti appuntamenti elettorali (le regionali in Emilia-Romagna e Calabria) dove PD e M5S andranno nuovamente separati.

Tra il 18,1% rilevato dalla nostra Supermedia il 10 gennaio al 18,7% del 19 dicembre la differenza è solo dello 0,6%. Quasi nulla, dal punto di vista statistico. Eppure, come e più che nel caso della Lega una variazione così piccola nasconde in realtà una situazione profondamente mutata, in tutti i suoi aspetti. Le difficoltà e gli ostacoli restano, ma sono diversi rispetto a un anno fa: il 2019 è stato senza dubbio un anno di novità e grandi cambiamenti, nel bene e nel male. Solo il 2020 ci dirà se questi cambiamenti potranno essere la base per un rilancio o se invece hanno solo rinviato la crisi irreversibile del principale partito progressista italiano.

Salvatore Borghese

Laureato in Scienze di Governo e della comunicazione pubblica alla LUISS, diplomato alla London Summer School of Journalism e collaboratore di varie testate, tra cui «il Mattino» di Napoli e «il Fatto Quotidiano».
Cofondatore e caporedattore (fino al 2018) di YouTrend. È stato tra i soci fondatori della società di ricerca e consulenza Quorum e ha collaborato con il Centro Italiano di Studi Elettorali (CISE).
Nel tempo libero (quando ce l'ha) pratica arti marziali e corre sui go-kart. Un giorno imparerà anche a cucinare come si deve.

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