«La speranza consiste sempre nell’avere qualcosa da raggiungere» con le parole di Luca Parmitano – primo astronauta italiano a capo della Stazione Spaziale Internazionale – Sergio Mattarella ha concluso il rituale discorso di fine anno rivolto alla nazione. Il messaggio del Presidente della Repubblica fa parte del cerimoniale con cui si celebra, a livello istituzionale, l’avvento del nuovo anno. Una tradizione che si svolge ininterrottamente dal 1949 e viene trasmessa a reti unificate.
Il discorso pronunciato da Mattarella è stato ascoltato da oltre dieci milioni di italiani, registrando uno share complessivo del 60%. Si tratta di un dato neanche lontanamente paragonabile agli oltre 25 milioni di italiani collegati alla TV in occasione della finale dei mondiali di calcio di Berlino 2006, ma tutto sommato, in termini di auditel, è stato un discreto successo nonostante da più parti arrivassero inviti al boicottaggio.
Al di là dei buoni ascolti fatti registrare dal Capo dello Stato, la questione tuttavia resta un’altra: nell’epoca dalle comunicazioni sui social network, la televisione ha ancora un ruolo nell’alimentare il dibattito politico-sociale?
Per approfondire la questione abbiamo analizzato i report pubblicati mensilmente da Agcom: l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni si occupa di valutare il pluralismo sociale e il pluralismo politico-istituzionale nei media. Nel primo caso – pluralismo sociale – si tratta di monitorare la presenza nel sistema televisivo delle «diverse articolazioni sociali e culturali presenti nelle società» classificate secondo 22 distinte categorie, mentre nel secondo – pluralismo politico-istituzionale – viene invece osservata la presenza dei soggetti politici e delle istituzioni all’interno delle trasmissioni televisive.
Il pluralismo nei telegiornali
Ciò che emerge è quanto la politica nazionale domini la scena nei telegiornali del nostro Paese. Due categorie infatti, fra le ventidue del pluralismo sociale, ricoprono un ruolo predominante all’interno dei notiziari: i soggetti politici (partiti, movimenti, candidati, ecc.) e gli organi costituzionali (Presidenza della Repubblica, del Consiglio, del Senato, della Camera, ecc.). Si va dal 76,6% del Tg3 – che ha la percentuale più bassa – sino ad arrivare all’87,3% del Tg La7 di Enrico Mentana.
Scendendo al livello di partito, a godere di una maggiore “visibilità” all’interno dei Tg come prevedibile sono tre forze politiche: i due azionisti di maggioranza del Governo e il principale partito di opposizione, la Lega. Il Movimento 5 Stelle ad esempio risulta essere il partito che, nel mese di dicembre, ha avuto più spazio nel telegiornale di La7 (21,3%) mentre il PD inaspettatamente vanta un buon risultato nel notiziario di Italia 1, Studio Aperto (13,8%). Per quanto riguarda l’opposizione, tra i leghisti il dato migliore viene registrato invece sul canale all-news di Sky (15,7%). C’è poi il curioso caso del TG4, che per due partiti in particolare presenta un dato significativamente superiore alla media degli altri notiziari: il telegiornale che fu storicamente di Emilio Fede nel mese di dicembre ha infatti riservato un maggiore spazio di rappresentanza a Forza Italia (9,8%) e a Italia Viva (8,4%).
Limitando lo sguardo alle sole figure istituzionali, la presenza più “ingombrante” è quella di Giuseppe Conte: il Presidente del Consiglio mediamente occupa un quinto di tutto lo spazio riservato ai politici dei notiziari italiani (il dato migliore è quello del Tg1, 24,3%, mentre il peggiore quello del Tg4, 13,8%). A seguire ci sono gli esponenti del Governo – ministri, sottosegretari, ecc. – con un dato medio poco al di sotto del 10% e, infine, il Presidente della Repubblica, a cui è stato dedicato il 10,3% del tempo dal telegiornale di Rai 3 mentre solo due punti percentuali nel caso del Tg La7.
È bene sottolineare che il dato preso in considerazione da Agcom è il tempo di antenna, ovvero il risultato della somma fra il tempo dedicato dal giornalista all’illustrazione di un evento legato ad un soggetto politico (tempo di notizia) e il tempo in cui il soggetto parla direttamente “in viva voce” (tempo di parola).
Il pluralismo politico-istituzionale nei Tg
Tornando alle categorie del pluralismo sociale, dopo la politica – sul terzo gradino del podio, per quanto a distanza – si collocano il Vaticano e gli altri soggetti confessionali a cui mediamente viene riservato pressappoco il 5% dello spazio dei telegiornali. Ancora una volta sorprendentemente il dato più alto è quello del Tg 3, poco oltre il 9%, mentre il più basso, 2.1%, il Tg La 7. Scarsa rappresentanza nei nostri telegiornali hanno invece i soggetti sovranazionali (UE, ONU, ecc.) o esteri (Capi di Governo di altri paesi), così come le amministrazioni locali o i vari enti in rappresentanza del mondo economico-finanziario, scientifico, culturale e le associazioni di categoria.
Il pluralismo sociale nei Tg
Il pluralismo al di fuori dei Tg
L’informazione televisiva tuttavia non viene veicolata solamente attraverso i telegiornali, ma il pluralismo sociale passa anche attraverso svariate trasmissioni di approfondimento e non solo. Esattamente come abbiamo visto accadere per i notiziari, anche nei programmi che Agcom definisce “extra-Tg” la scena è occupata per buona parte dalla politica nazionale: i soggetti politici e gli organi costituzionali insieme assorbono oltre la metà dello spazio di rappresentanza complessivamente dedicato alle categorie del pluralismo sociale. Ciò significa ad esempio che nelle trasmissioni di Rai 1 – La vita in diretta, Porta a Porta, Storie Italiane, Uno Mattina – il tempo di parola riservato ai soggetti membri dell’UE durante il mese di dicembre è stato appena un quarto d’ora (2%), mentre quello destinato, dalle medesime trasmissioni, a soggetti appartenenti a partiti, movimenti politici e candidati ha superato le quattro ore e mezza (36%). Si tratta di uno scenario analogo a quanto accaduto nelle trasmissioni di Rai 2, dove il tempo di parola dedicato ai partiti è stato all’incirca un terzo del totale, e così anche nei programmi d’attualità di Rai 3 – Carta Bianca, Agorà, Report – dove questo dato sale sino al 46% (in valori assoluti, quasi 18 ore sulle 48 complessive). Leggermente diversa la situazione nei programmi trasmessi dai canali Mediaset: il dato relativo agli organi costituzionali risulta fortemente ridimensionato (poco oltre l’1%), mentre aumenta invece il ruolo di giornalisti, commentatori e opinionisti, rappresentanti del “mondo dell’informazione” (oltre il 35%).
A proposito di quello che in altri tempi veniva definitivo il duopolio Rai-Mediaset, è interessante notare come fra le due emittenti vi sia una differenza non trascurabile in termini di tempo assoluto dedicato al pluralismo sociale: all’incirca 54 ore per le tre reti Rai contro le 48 trasmesse da Mediaset tramite la testata giornalistica Videonews. Ma la rete “regina” per quanto concerne l’informazione giornalistica risulta essere La7, che detiene il record di ore dedicate al pluralismo sociale: ben 161 ore nel solo mese di dicembre.
Il pluralismo sociale extra-Tg
Esiste evidentemente una correlazione fra i temi “caldi” del mese – i temi che quindi entrano a far parte dell’agenda mediatica – e lo spazio di rappresentanza dei soggetti del pluralismo sociale. Da questo punto di vista dicembre è stato un mese particolarmente denso di eventi: il riproporsi della crisi riguardante gli impianti ex-Ilva a Taranto e l’approvazione in Parlamento della manovra finanziaria, il congresso a Milano di fondazione della nuova Lega e il dibattito sull’autorizzazione a procedere per il “caso Gregoretti” riguardante l’ex Ministro dell’Interno. Nello stesso mese cominciava la campagna elettorale per le regionali in Emilia-Romagna e Calabria mentre contemporaneamente “esplodeva” il movimento di piazza delle Sardine. Un effetto, quello dei “temi caldi” del mese, che si ripercuote anche sul pluralismo dei soggetti politici-istituzionali.
Il pluralismo politico-istituzionale extra-Tg
Il Capo dello Stato ad esempio, complice anche il discorso di fine anno, finisce nelle prime posizioni nei programmi delle reti Rai e di Canale 5; meglio di lui – in quanto a minutaggio di presenza nei programmi extra-tg – solo il leader leghista Matteo Salvini. Quanto al Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte può vantare il primo posto di apparizioni sia nei programmi di Rai 1 che sulla rete di Urbano Cairo. Sulla terza rete Rai invece spazio per Mattia Santori, uno dei leader del movimento delle Sardine, e per la Senatrice a vita Liliana Segre. Nei programmi di Rete 4 spazio hanno avuto la possibilità di esprimersi sia Giorgia Meloni che Lucia Bergonzoni, candidata della Lega alla presidenza della regione Emilia-Romagna.
Old e new media
Ciò che emerge dai report di Agcom è il rapporto di profonda dipendenza reciproca fra politica e televisione, dove la seconda non sembra poter fare a meno della prima ma, allo stesso tempo, non è possibile affermare neppure che sia vero il contrario. In un’epoca in cui le nuove tecnologie di comunicazione consentirebbero la possibilità di affrancarsi dalla cara vecchia televisione, i politici alla prova dei fatti continuano a “flirtare” con i programmi televisivi. D’altronde, come dimostra una nostra precedente analisi, il mezzo televisivo rimane uno degli strumenti preferiti dagli italiani per informarsi.
La tanto famigerata disintermediazione – il processo di rimozione di ogni intermediazione fra fonte della comunicazione e destinatario – più che nella radicale sostituzione di un media con un altro sembrerebbe realizzarsi nell’affiancamento fra nuovi media e media tradizionali. Nonostante esista questo rapporto biunivoco fra televisione e politica, paradossalmente, da parecchi anni in Italia non si svolge quello che dovrebbe essere l’evento clou della comunicazione politica in TV: il faccia a faccia fra i principali candidati alle elezioni. Paradosso del paradosso, l’ultima volta che è accaduto – il confronto Berlusconi vs Prodi del 2006 negli studi di Porta a porta – si è trattato di un clamoroso successo in termini televisivi; 52% di share (oltre 16 milioni di italiani). Quasi una partita della Nazionale.
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