Domani, martedì 3 marzo, negli USA entrano nel vivo le elezioni primarie per eleggere il candidato democratico che il prossimo novembre sfiderà Donald Trump. Nel “Super Martedì”, il cosiddetto Super Tuesday, saranno chiamati ad esprimere la loro preferenza gli elettori del Partito Democratico di ben 14 Stati (più quelli delle isole Samoa Americane e i democratici all’estero).
Gli Stati dove si voterà nel Super Tuesday 2020 non sono distribuiti in modo geograficamente omogeneo. Sette su quattordici (Texas, Alabama, Arkansas, North Carolina, Tennessee, Virginia, Oklahoma) si trovano nella regione meridionale del Paese e rappresentano più della metà della popolazione al voto in questa data. Nel complesso, il 3 marzo saranno 1,357 i pledged delegates in palio, il 34,1% del totale.
Super Tuesday: la distribuzione dei delegati
La storia del Super Tuesday
Lo scenario che ci si presenta davanti è ancora molto incerto, ma il Super Tuesday si è spesso rivelato un momento cruciale delle primarie Dem. Oltre ad essere un indicatore della forza di ciascun candidato in Stati più decisivi rispetto agli early states (come la California, ricca di aree urbane densamente popolate, o gli Stati del New England) il Super Tuesday ha rivelato in 6 primarie su 7 il candidato che avrebbe poi vinto la nomination democratica.
Proviamo dunque a dare uno sguardo allo storico dei risultati del Super Tuesday, tralasciando gli anni in cui i Presidenti uscenti si sono ricandidati (ovvero Bill Clinton nel 1996 e Barack Obama nel 2012) per cogliere possibili indicazioni rispetto a quello che potrà accadere quest’anno.
Il primo Super Tuesday
Il termine Super Tuesday venne utilizzato per la prima volta nel corso delle primarie del 1984. A contendersi la nomination per sfidare Ronald Reagan al termine del suo primo mandato, si trovarono in veste di frontrunners l’ex vice-presidente nell’amministrazione Carter, Walter Mondale, e il senatore del Colorado Gary Hart. In quell’anno si tennero non uno, ma ben tre Super Tuesday. Al primo e più importante, Hart si presentò dopo una sconfitta in Iowa e le vittorie in New Hampshire, Vermont e Wyoming. Alla fine Hart vinse in 7 dei 9 Stati.
Ma la vittoria di Mondale in Georgia (sulla quale aveva puntato molto), unita alle buone performance nei mesi successivi, portarono a un testa a testa che si protrasse fino al “Super Tuesday III”. La vittoria di due Stati su 5 permise a Mondale di arrivare alla Convention democratica in uno stato di sostanziale parità con Hart. A quel punto, il Partito si spostò a favore di Mondale, che vinse la nomination con il doppio dei voti rispetto a quelli espressi per Hart, ma che alle elezioni di novembre venne pesantemente sconfitto da Reagan, il quale vinse in 49 Stati.
Le primarie democratiche dalla nascita del Super Tuesday
Le primarie del 1988
Nel 1988 la corsa alla nomination si presentava molto più aperta di quattro anni prima. Tra i principali candidati c’erano il governatore del Massachusetts Michael Dukakis, il reverendo Jesse Jackson, il deputato Richard Gephardt del Missouri, il senatore Al Gore del Tennessee e il senatore Joe Biden del Delaware. Il voto in Iowa fu vinto con il 28% da Gephardt, che tuttavia perse negli altri early states: New Hampshire, Minnesota, Maine e Vermont, dove si impose Dukakis.
Il Super Tuesday del 1988 fu caratterizzato dalla scelta degli esponenti del Partito Democratico del Sud di tenere contemporaneamente le primarie, per cercare di riportare al centro della scena politica gli Stati che rappresentavano. Votarono dunque 20 Stati, un numero così alto che i principali candidati (impossibilitati a mantenere la spinta delle proprie campagne elettorali in tutti gli scenari) finirono per spartirsi il bottino di delegati in palio. Dukakis vinse in 8 Stati, tra cui Florida e Texas, mentre Jesse Jackson e Al Gore primeggiarono negli altri Stati del Sud. Gephardt rimase indietro, vedendo sfumare le sue possibilità di nomination e, Dukakis emerse come frontrunner. Una volta ottenuta la nomination, però, fu sconfitto alle presidenziali da George H. W. Bush.
Le primarie del 1992
Nel 1992 si ripresentò il blocco di Stati del Sud che aveva monopolizzato il Super Tuesday di 4 anni prima, risultando fondamentale per la corsa del governatore dell’Arkansas, Bill Clinton. In Iowa, il senatore Tom Harkin, che giocava in casa ed era ritenuto il frontrunner per la nomination, vinse con il 76%. Prima della campagna elettorale Clinton non godeva di grande notorietà a livello nazionale e nelle fasi iniziali delle primarie fu anche colpito da uno scandalo, che tuttavia non gli impedì di arrivare inaspettatamente al secondo posto in New Hampshire guadagnandosi il famoso appellativo di “Comeback Kid”.
A vincere il New Hampshire fu il senatore del Massachusetts Paul Tsongas, che rimase al centro dello scontro nelle 13 elezioni che anticiparono il Super Tuesday (dietro di lui Jerry Brown, governatore della California). Il 9 marzo, il vincitore dell’Iowa, Harkin, abbandonò la corsa e fu il primo ad appoggiare la candidatura di Clinton. Nel Super Tuesday del 10 marzo, degli 11 Stati al voto, 6 erano del Sud (Louisiana, Mississippi, Oklahoma, Missouri, Tennessee, Texas). Bill Clinton vinse in tutti e 6, oltre che in Florida e nelle Hawaii, spianando la strada per la sua nomination e la successiva vittoria alle presidenziali.
Le primarie del 2000
Nel 2000 il vice-presidente uscente Al Gore vinse le primarie in tutti gli Stati. L’unico sfidante con una base elettorale combattiva fu Bill Bradley, ex senatore del New Jersey ed ex cestista per i New York Knicks. Bradley, nonostante l’endorsement ricevuto dal Des Moines Register in Iowa fu sconfitto da Gore con il 63% dei consensi. Nelle 11 primarie e nei 4 caucus del Super Tuesday Gore ottenne alcune vittorie schiaccianti, tra cui l’81% in California e il 66% nella New York di Bradley.
Il Super Tuesday del 2000 fu un momento chiave, dopo il quale Bradley abbandonò la corsa e Gore potè agguantare la nomination. Nella sfida presidenziale contro George W. Bush, Gore ottenne la maggioranza dei voti ma Bush conquistò 271 grandi elettori, uno in più del necessario per vincere. Fu il quarto caso nella storia degli USA (il primo dal 1888) in cui il vincitore delle elezioni non coincise con il vincitore del voto popolare.
Le primarie del 2004
Il 2004 fu l’anno di Howard Dean, ex governatore del Vermont. Dean, ai primi test in Iowa e New Hampshire spese più di 40 milioni di dollari. Considerato come il frontrunner a livello nazionale, nei sondaggi era messo in difficoltà soltanto da Dick Gephardt, che nel 1988 aveva vinto i caucus in Iowa. A pochi giorni dai primi caucus tuttavia, l’attenzione si spostò su altri due candidati: John Kerry, Senatore del Massachusetts e John Edwards, senatore del North Carolina, che riuscirono a ribaltare le previsioni iniziali ottenendo rispettivamente il 38% e il 32%, mentre Dean e Gephardt si fermarono al 18% e all’11%. In New Hampshire, Kerry si impose su Dean con il 38% a 26%.
In quell’anno, 7 Stati, principalmente del Sud, decisero di abbandonare la posizione tradizionale nel calendario di marzo, anticipando le elezioni nel tentativo di influenzare il resto delle primarie. Così, il 3 febbraio, nel cosiddetto “Mini Tuesday”, Kerry vinse in 5 Stati su 7 e durante il vero e proprio Super Tuesday del 2 marzo trionfò in 9 primarie su 10. Anche in questo caso la nomination era già in cassaforte e Kerry dedicò i restanti mesi a battagliare con Bush, il quale lo sconfisse nella conta dei grandi elettori per 286 a 251.
Le primarie del 2008
I candidati Dem in campo nel 2008 furono 9. Tra questi tornavano alla ricerca della nomination John Edwards e Joe Biden. I frontrunner di quell’anno furono però il senatore dell’Illinois Barack Obama e la senatrice di New York Hillary Clinton. Il momentum generato dalla vittoria di Obama in Iowa (con il 38% dei voti contro il 30% di Edwards ed il 29% di Clinton) fu fortissimo. Nonostante la sconfitta in New Hampshire, da dove lanciò per la prima volta il suo slogan “Yes we can”, Obama vinse in Nevada e in South Carolina proiettandosi al centro dell’attenzione a livello nazionale.
Il Super Tuesday fu sconvolto da un massiccio cambio di calendario: ben 22 Stati decisero di votare il 5 febbraio. Il 52% dei delegati in palio venne così assegnato nello “Tsunami Tuesday” ma Obama e Clinton, vincendo rispettivamente in 13 e 9 Stati, ne uscirono in sostanziale parità. Nei mesi successivi il testa a testa continuò: Obama ottenne un piccolo vantaggio a febbraio vincendo 11 Stati in 11 giorni, ma Clinton ricucì gradualmente fino a un distacco finale inferiore al 2% dei delegati. Soltanto a giugno Clinton cedette e Obama si lanciò verso la Presidenza sconfiggendo il repubblicano John McCain.
Le primarie del 2016
Nel 2016 la favorita – da prima ancora di annunciare la sua candidatura – era senza dubbio Hillary Clinton. In Iowa, tuttavia, la vittoria arrivò soltanto per pochi decimi di punto contro il senatore del Vermont Bernie Sanders. Erano stati i caucus più combattuti di sempre (fino al testa a testa di quest’anno fra Sanders e Buttigieg) ed il risultato di 49,8% a 49,6% non fu una buona notizia per Clinton. In New Hampshire Sanders trionfò con il 60,4%, mentre Nevada e South Carolina andarono a Clinton con il 52,6% ed il 73,5%.
In questa tornata il Super Tuesday si ridimensionò e degli 11 Stati al voto Clinton vinse in 7, trionfando in Alabama e Texas e ottenendo un buon vantaggio nei delegati che avrebbe mantenuto fino alla fine. Nonostante ciò, nei mesi successivi tra i due candidati ci fu una lotta molto serrata e l’endorsement da parte di Sanders a Clinton arrivò soltanto a luglio. Comunque, la Convention fu segnata da un clima di unità piuttosto che di protesta. Alla fine, come sappiamo, Trump sconfisse Clinton a novembre e per la quinta volta nella storia il Presidente eletto perse il voto popolare.
E nel 2020?
Come abbiamo visto, ottenere un ottimo risultato nel Super Tuesday può essere l’elemento chiave per agguantare la nomination. La presenza di Stati molto popolosi come California e Texas nel voto di domani rende ancor più decisivo l’esito del Super Tuesday 2020. Tuttavia, con diversi candidati in corsa che rischiano di equivalersi è probabile che, come nel 1988, non emerga un netto favorito. Dopo il ritiro di ieri di Pete Buttigieg, anche altri candidati (ad esempio Amy Klobuchar) potrebbero però decidere di abbandonare la corsa dopo il voto di domani. Il campo dei partecipanti alle altre 11 primarie di marzo potrebbe quindi ridursi a soli due o tre candidati, pronti a battagliare fino alla convention di Milwaukee di luglio per la nomination democratica.
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