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Coronavirus: perché cresce la popolarità dei leader?

Con l’emergenza sanitaria dovuta al Coronavirus si registra un aumento di consenso per i leader in carica dei rispettivi paesi, ma quanto durerà il boom di popolarità?

Come abbiamo visto in questo articolo pubblicato la settimana scorsa, nel caso del presidente degli Stati Uniti Donald Trump l’emergenza Coronavirus sta sortendo l’effetto conosciuto dai politologi come “rally around the flag” (letteralmente lo “stringersi intorno alla bandiera”), accrescendo la popolarità del presidente in carica. L’effetto non è però limitato agli Stati Uniti, ma più in generale alle democrazie di tutto il mondo. In momenti di grave crisi, è infatti esperienza comune che i cittadini ripongano le proprie speranze nelle istituzioni che più rappresentano il sentimento di unità nazionale, come leader e Governo, con la speranza che queste siano in grado di condurre al più presto il paese fuori dalla crisi.

 

 

Come evidenziato da un articolo del Financial Times di qualche giorno fa, con le difficoltà sanitarie ed economiche causate dal Coronavirus quasi tutti i leader delle maggiori democrazie mondiali stanno effettivamente vivendo un momento di forte popolarità. Tra questi, cresce particolarmente l’approvazione dell’operato del primo ministro britannico Boris Johnson (15 punti percentuali di differenza in più tra il tasso di approvazione e quello di disapprovazione rispetto all’11 marzo), che dopo un primo momento di sottovalutazione del problema ha deciso di attuare le misure di contenimento nel Regno Unito e lui stesso contratto il Coronavirus. Sale anche Macron – il più impopolare della lista – che vede chiudersi leggermente la forbice tra chi non approva il suo operato e chi invece sì. Crescono più moderatamente anche i consensi nei confronti di Merkel, Modi, Trudeau e Morrison.

 

Non è presente nella rosa di leader citati dal Financial Times Giuseppe Conte, che, anticipando tutti gli altri, già a febbraio viveva un momento di forte popolarità paragonabile a quello di Boris Johnson degli ultimi giorni. Secondo l’Atlante politico di Demos, infatti, tra febbraio e marzo il premier italiano avrebbe guadagnato quasi 30 punti percentuali, passando dal 44%  al 71% di giudizi positivi nei sondaggi.

Un effetto già visto

L’effetto rally around the flag si era presentato già in passato durante momenti di grave crisi dovuti a qualsiasi tipo di emergenza nazionale, come attentati terroristici o disastri naturali. Siamo andati quindi a ripescarne alcuni, per capire quanto momenti di particolare drammaticità del passato abbiano influito sulla popolarità di alcuni leader.

 

Nel primo decennio degli anni 2000 il primo ministro del Regno Unito Tony Blair vide oscillare ripetutamente il suo tasso di approvazione, prevalentemente a causa di guerre o attacchi terroristici. I britannici si strinsero intorno a lui dopo gli attentati dell’11 settembre (vissuti come una grave minaccia da parte di tutto l’occidente) e la conseguente invasione dell’Iraq al fianco degli alleati statunitensi. In entrambe le circostanze il tasso di approvazione del primo ministro salì di quasi 20 punti nel giro di poche settimane, per poi ritornare altrettanto rapidamente ai livelli pre-emergenza (se non al di sotto). In misura minore, lo stesso accadde anche nel caso degli attentati di Londra del luglio 2005.

 

Anche il presidente francese François Hollande (uno dei più impopolari della storia della Quinta Repubblica, il cui operato è stato quasi sempre di gran lunga più disapprovato che approvato) vide crescere la sua popolarità di più del 20% subito dopo la sparatoria a nella sede parigina del giornale satirico Charlie Hebdo, avvenuta il 7 gennaio del 2015 e perpetrata da un commando di estremisti islamici. Nel novembre dello stesso anno, una serie di attentati terroristici – sempre di matrice islamista – colpì nuovamente Parigi, mietendo 137 vittime; il più sanguinoso attentato sul suolo francese dalla fine della seconda guerra mondiale ad oggi. In quell’occasione, Hollande proclamo lo stato di emergenza nazionale e chiuse tutte le frontiere. I francesi – in cerca di forte unità nazionale – fecero crescere il tasso di approvazione del suo operato fino a toccare il 35%, vetta mai raggiunta dal 2012, anno dell’elezione. Dopo qualche settimana la popolarità di Hollande ritornò ai livelli precedenti (intorno al 15%) e si abbassò ulteriormente nei mesi successivi.

Non solo guerre e terrore

Per quanto riguarda gli Stati Uniti, nell’articolo pubblicato la settimana scorsa spiegavamo l’effetto rally around the flag sulla presidenza Trump e sui presidenti del passato. Tenevamo però in considerazione solo i gravi momenti di crisi dovuti a guerre o attentati terroristici, ovvero quelli che hanno scosso maggiormente l’opinione pubblica americana. Gli Stati Uniti, tuttavia, sono un paese particolarmente soggetto anche a grandi disastri naturali (uragani, alluvioni, terremoti) che in casi di particolare gravità hanno avuto forte impatto sulla politica nazionale.

 

Verso la fine di ottobre 2012, nel periodo subito antecedente alle elezioni che avrebbero riconfermato Obama al suo secondo mandato da presidente degli Stati Uniti, l’uragano Sandy si abbatté sulla parte orientale degli Stati Uniti mietendo 110 vittime e causando oltre 60 miliardi di dollari di danni. Il disastro scosse il popolo americano, ma in questo caso Obama migliorò la sua posizione nei sondaggi di solo qualche punto percentuale. In quei giorni, però, il Presidente uscente giocava sul filo del rasoio e solo a metà ottobre il suo tasso di approvazione si aggirava intorno al 49%. Alla vigilia delle elezioni, Obama raggiunse il 50% e il divario nei sondaggi tra lui e Mitt Romney – che fino a quel momento era pressoché nullo – si allargò leggermente. Difficile dire se l’uragano Sandy abbia giocato un ruolo cruciale nella rielezione di Obama, ma sicuramente la – seppur limitata – crescita nei sondaggi gli potrebbe aver dato una spintarella in più.

Tornando in Italia, nei giorni del terremoto dell’Aquila del 6 aprile 2009, la fiducia nell’allora Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi salì di 4 punti percentuali, per poi ritornare ai livelli di prima solo un mese più tardi. Nel caso dei disastri naturali, come abbiamo visto, l’effetto rally around the flag risulta essere molto più limitato; questo perché l’azione positiva o negativa del governo nel rispondere all’emergenza si dimostra quasi immediatamente. I cittadini statunitensi avevano approvato le misure di emergenza e la prontezza dimostrata dall’amministrazione Obama, ed è per questo motivo che lo hanno premiato nei sondaggi. In tutti i casi però – anche guerre e attentati – l’effetto è quasi sempre momentaneo e circostanziale, e va a scemare – o addirittura a crollare – nelle settimane successive all’evento scatenante, riportando ben presto le cose alla normalità – o anche peggio, nel caso in cui l’azione di risposta del leader in questione sia stata particolarmente negativa.

Gianluca De Feo

Trentino, grande appassionato di politica americana ed europea. Vive in Italia ma studia politica e storia del Nord America alla Freie Universität Berlin.

2 commenti

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  • Quando si ha paura, quando ci si trova davanti ad un pericolo ignoto, ci si aggrappa anche alle poche certezze che i capi di governo hanno imparato a propinarci con tutti i mezzi di comunicazione. Ma i nodi verranno al pettine, e ci sarà l’onda di ritorno amplificata e contraria. Aspettare per vedere. Buona Pasquetta a tutti.

  • Davvero molto interessante! Complimenti per l’articolo.
    Contiene proprio le informazioni che stavo cercando e un bell’approfondimento sui precedenti storici di casi simili. E’ un vero peccato che i dati sul gradimento del governo giallo-rosso non siano direttamente confrontabili con il primo grafico insieme a quelli degli altri governi. Ma ho fatto due calcoli per poterlo fare, se non visivamente, almeno mentalmente, e ho scoperto che il governo Italiano è di gran lunga quello che ha avuto il maggior apprezzamento dai propri cittadini durante la pandemia del coronavirus (almeno fra quelli riportati)! Anche molto più di Johnson che secondo me deve molto della sua popolarità al fatto che i cittadini Inglesi hanno rischiato di veder morire di coronavirus il loro primo ministro più che al suo tardivo e contraddittorio modo di reagire al pericolo della pandemia.
    Per chi ama i calcoli….
    Dal grafico sul gradimento del governo Italiano si può stimare che il gradimento di Conte a gennaio fosse intorno al 43%, valore medio fra il 42% di dicembre e il 44% di febbraio. Per confrontare i dati italiani con quelli degli altri stati bisogna calcolare il gradimento netto del governo conte ovvero il numero di opinioni favorevoli meno il numero di opinioni sfavorevoli. Per Conte fa: a gennaio 43-57=-14, a febbraio 44-56=-12 e a marzo 71-29=42. Poiché il sondaggio italiano è stato fatto nei giorni 16-17 marzo è corretto far coincidere il picco di Conte con la metà di marzo e per comodità facciamo coincidere anche i valori per ciascun mese con la metà del del mese. Quindi volendo riportare i valori dell’Italia nel grafico internazionale che c’è all’inizio dell’articolo vediamo che in corrispondenza del 15/1/20 il governo Conte si trovava a -14, ossia al di sopra della linea gialla (governo giapponese) e al di sotto di quella rossa (governo tedesco). A metà febbraio (-12) si era solo un po’ avvicinato alla linea rossa del governo tedesco ma sostanzialmente era ancora poco apprezzato. A metà di marzo, più o meno quando il grafico di Boris Johnson iniziava a salire, Conte si trovava già molto più in alto (+42) di quanto si trovi ora lo stesso Johnson, più in alto anche del gradimento di Morrison in Australia all’inizio di gennaio.

    Molto interessante davvero. E’ bello vedere che almeno questa volta noi Italiani ci sentiamo un grande paese e dimostriamo anche di esserlo. Ci è voluto il coronavirus ma finalmente noi Italiani abbiamo smesso di lamentarci e basta e di dar la colpa di ogni male a qualcun’altro (il governo attuale, il governo precedente, l’Europa, gli immigrati, i poteri forti, la massoneria, le ONG, gli Illuminati etc…) e stiamo iniziando a concepire la politica come un discorso collettivo e costruttivo in nome dell’interesse di tutti piuttosto che una battaglia di propaganda in nome del potere di pochi.
    Spero che finirà presto l’era della propaganda e che inizi presto l’era della responsabilità e della consapevolezza.