«Dove c’è discordia, porteremo armonia. Dove c’è errore, porteremo verità. Dove c’è dubbio, porteremo fede. E dove c’è angoscia, porteremo speranza.»
Fu con queste parole di San Francesco d’Assisi che il 4 maggio 1979 Margaret Thatcher rispose ai giornalisti, mentre stava per varcare la soglia del numero 10 di Downing Street. Un momento storico, non solo perché era la prima donna ad assumere la premiership nel Regno Unito, ma anche perché la sua vittoria arrivò dopo una campagna elettorale intensa e delle elezioni politiche definite watershed (“spartiacque”) da più parti.
In effetti, il voto del 1979 ha cambiato radicalmente il modo di affrontare le campagne elettorali oltremanica. Dalla fine della seconda guerra mondiale c’era stato un consenso di fondo tra i partiti principali – il cosiddetto «post-war consensus» – relativamente ad alcuni temi chiave, attraverso l’incoraggiamento delle nazionalizzazioni, il rafforzamento dei sindacati e la pesante regolamentazione dell’economia. Margaret Thatcher fu però capace di farsi alfiere dello smantellamento di tutto ciò, guidando i Tories in una campagna elettorale condotta mentre il Paese affrontava una difficile situazione economico-sociale.
Antefatti
Per entrare nel dettaglio di questa campagna elettorale, densa di innovazioni sul lato comunicativo, è indispensabile fare un passo indietro. Dopo le elezioni politiche del 1974 vinte dai laburisti, la leadership conservatrice di Ted Heath fu presto messa in discussione, e già l’anno successivo i deputati conservatori lo sostituirono con una figura in ascesa nel panorama politico della destra inglese: Margaret Thatcher, deputata 49enne, già ministro dell’educazione e della scienza proprio nel governo Heath (1970-74).
Nel frattempo, i governi targati Labour che si susseguirono dal 1974 al 1979, guidati prima da Harold Wilson (1974-76) e poi da James Callaghan (1976-79), dovettero affrontare numerose difficoltà sul piano economico-sociale, con un’inflazione galoppante e una disoccupazione che arrivò a toccare livelli record. Non solo: nella House of Commons la maggioranza, dopo il 1976, si fece sempre più risicata e traballante, inducendo Callaghan a stringere un patto con il Liberal Party di David Steel. Questa strana alleanza Lib-Lab, però, ebbe vita breve, anche per via dello scarso appoggio di cui essa godeva tra i rispettivi elettorati. Nemmeno la politica di aumento dei salari riuscì a riportare consensi nel bacino laburista di Callaghan, e anzi tra il 1978 e il 1979 si sollevarono delle proteste in tutto il Paese da parte del mondo del lavoro, in quello che è diventato noto come winter of discontent (“inverno del malcontento”).
La maggioranza parlamentare, alla fine, collassò: il 28 marzo 1979 lo Scottish National Party ritirò il proprio appoggio al governo e Callaghan fu sfiduciato con 311 voti favorevoli alla mozione e 310 contrari. Vennero indette le elezioni generali per il successivo 3 maggio: si diede così il via ad una campagna in cui, per la prima volta dal 1959, si fronteggiavano tre nuovi leader per laburisti, conservatori e liberali.
Una campagna su misura per la “Lady di ferro”
La maggioranza uscente, con lo slogan «The Labour way is the better way», sosteneva l’aumento delle pensioni e la necessità di una riduzione fiscale. Tuttavia, i sondaggi condotti mostravano come l’opinione pubblica ritenesse che i conservatori fossero il partito più propenso a tagliare le tasse, mettendo quindi in difficoltà il Labour Party. In più, il manifesto dei Tories prometteva di mantenere sotto controllo sia l’inflazione oramai incontenibile, sia i sindacati: Margaret Thatcher riuscì così a convincere l’opinione pubblica che la colpa per il winter of discontent che il Paese stava cercando di lasciarsi faticosamente alle spalle fosse da addossare in toto al governo Lib-Lab. L’avversario da colpire, infatti, non erano solo i laburisti, ma anche il Liberal Party, che in caso di hung parliament avrebbe di nuovo potuto costituire l’ago della bilancia in un Paese in cui le coalizioni di governo sono sempre state molto traballanti.
Sul fronte mediatico, anche se la Thatcher rifiutò di apparire nel programma televisivo Weekend World insieme a Callaghan e al leader dei liberali Steel, si registrò un’ingente copertura della campagna come mai era accaduto prima. Tutti e tre i principali partiti, per esempio, tenevano conferenze stampa mattutine davanti alle telecamere, per avere un costante contatto diretto sia con le fasce più consolidate con i rispettivi elettorati, sia con le fette di popolazione che si cercava di portare dalla propria parte.
La campagna dei Conservatives, in particolare, si concentrò sulla ricerca del sostegno da parte di tre categorie: gli elettori storicamente laburisti, chi aveva per la prima volta diritto di voto – ossia i neo-maggiorenni – e coloro che votarono Liberal nel 1974. I consiglieri più stretti di Margaret Thatcher, ossia Gordon Reece e Timothy Bell, concordarono poi con Larry Lamb, direttore del Sun, una serie di interviste a 5 ex ministri laburisti disillusi, i quali avrebbero spiegato in dettaglio i motivi per cui sarebbero passati ad appoggiare Thatcher in quelle elezioni. Le interviste furono pubblicate a intervalli regolari ma ristretti nel corso della campagna, per colpire nel profondo anche gli elettori tradizionalmente laburisti attraverso dichiarazioni inaspettate da parte di ex pezzi da novanta dei laburisti.
Insomma, Margaret Thatcher sconfinò ben in profondità nel campo degli avversari, e lo fece con molta abilità. Quando lanciò la sua campagna a Cardiff, peraltro, chiese esplicitamente agli elettori laburisti il loro voto, sostenendo che il Labour aveva preso una pericolosa deriva estremista ed era ormai in combutta con le trade unions. La scelta di Cardiff, peraltro, non fu casuale, ma rientrava proprio nella strategia thatcheriana di fare appello ai lavoratori manuali più qualificati: una scelta azzeccata, perché le analisi successive al voto mostrarono come i Conservatives guadagnarono ben 11 punti percentuali in questa classe tradizionalmente ritenuta vicina al Labour.
In aiuto alla futura Iron Lady venne anche la gaffe più memorabile della campagna del 1979: l’ex premier laburista Harold Wilson, poco prima del voto, rivelò in un’intervista al Daily Mail che sua moglie avrebbe potuto votare per i conservatori perché il loro leader era una donna. In effetti, l’immagine di una donna leader ancorata alle idee e ai valori della destra conservatrice non sconvolgeva soltanto gli stereotipi di genere, ma anche quelli politici, dal momento che – in un Paese in cui il movimento femminista era stato a lungo un attore fondamentale – la maggioranza dell’elettorato femminile era tradizionalmente più propensa a votare il Labour Party piuttosto che i conservatori.
Il ruolo dei fratelli Saatchi
Ma il vero asso nella manica della “Lady di ferro”, oltre che la vera innovazione che ha differenziato questa campagna dalle precedenti, fu il ricorso, per la prima volta nel Regno Unito, alle agenzie pubblicitarie: leader e partiti affidarono infatti la pianificazione della propria strategia comunicativa ad imprese private specializzate in marketing. Nel caso della Thatcher, la campagna fu affidata ai fratelli Maurice e Charles Saatchi, che nel giro di poco tempo passarono dal pubblicizzare beni alimentari e di prima necessità all’adattare i principi comunicativi all’infuocata arena politica.
Seguendo le indicazioni proprio dei fratelli Saatchi, Margaret Thatcher cercò per esempio di farsi fotografare in situazioni ordinarie che potessero farla apparire vicina alla popolazione, bevendo del tè in una fabbrica o tenendo in braccio un vitello appena nato: un’immagine sicuramente nuova e inusuale, almeno allora, per un leader – e soprattutto per una leader – di una forza politica inglese.
Tra le intuizioni dei fratelli Saatchi in questa storica campagna del 1979, in ogni caso, non si può non menzionare lo slogan studiato per cercare di screditare il Labour e in particolare le sue politiche per il lavoro: con un raffinato gioco di parole, infatti, Maurice e Charles Saatchi produssero un manifesto da diffondere in tutto il Paese recante la scritta «Labour isn’t working», ovvero «I laburisti non stanno funzionando» o anche «I laburisti non stanno lavorando». Sotto questa scritta a caratteri cubitali era riportata l’immagine di una fila interminabile di disoccupati: il Paese, come accennato, stava affrontando uno dei suoi momenti più difficili dal punto di vista occupazionale, e la scelta dei conservatori di puntare sullo screditamento delle politiche del governo uscente – piuttosto che sull’effettiva promozione delle proprie idee – si rivelò alquanto efficace (a livello di dimensione, la scritta «Britain’s better off with the Conservatives» occupa uno spazio molto più ridotto nel manifesto).
Questo manifesto e questo slogan ebbero talmente tanto successo da entrare nei manuali di studio della comunicazione politica, finendo addirittura per essere ripresi in alcune campagne successive dei conservatori, oltre che dei repubblicani negli Stati Uniti (i quali produssero nel 2012 un cartellone con la grafica simile e la scritta «Obama isn’t working»).
Il mutamento nel paradigma comunicativo di fine anni ’70, pertanto, fu davvero drastico: si passò da una comunicazione piuttosto fredda e ancorata ai valori tradizionali dei partiti principali a slogan capaci di imprimersi con forza nella mente dei cittadini inglesi. Del resto, se i politici hanno sempre gli occhi puntati sul presente e seguono l’inesorabile corso degli eventi, i pubblicitari, affidandosi a tutti i metodi di ricerca qualitativa e quantitativa del caso, hanno permesso ai partiti di adottare una strategia di comunicazione scientifica.
Come andò a finire
Nonostante l’avvertimento di Callaghan secondo cui i Tories erano «un rischio troppo grande per il Paese», Margaret Thatcher divenne la prima donna Premier del Regno Unito grazie ad una maggioranza ampia in parlamento: i Conservatives ottennero 339 seggi, mentre il Labour si fermò a quota 269. I Liberals persero due seggi portandosi a quota 11; ma anche per i nazionalisti scozzesi e gallesi andò male, perdendo 10 dei loro 14 seggi.
Con 43 seggi in più rispetto alle opposizioni, Thatcher governò agevolmente e la sua premiership fu riconfermata alle elezioni del 1983 e del 1987: da inizio Novecento a oggi, è la premier britannica che ha governato più a lungo.
Bibliografia
AITKEN, Margaret Thatcher: Power and Personalities, Bloomsbury, 2013.
BALL, Dole Queues and Demons: British Election Posters from the Conservative Party Archive, Bodleian Library Press, 2011.
BUTLER, CAVANAGH, The British General Election of 1979, Macmillan, 1980.
CRINES, HEPPELL, DOREY, The Political Rhetoric and Oratory of Margaret Thatcher, Palgrave, 2016.
DELANEY, Mad Men & Bad Men. What happened when British politics met advertising, Faber & Faber, 2015.
EVANS, Thatcher and Thatcherism, Routledge, 1997.
Filmografia
The Iron Lady, diretto da Phyllida Lloyd, con Meryl Streep, 2015.
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