Nell’estate del 2005 Angela Merkel si candidò per la prima volta al Cancellierato tedesco. Per tutta la campagna elettorale i sondaggi attribuivano all’Unione (CDU/CSU) un vantaggio netto di oltre dieci punti percentuali. Il giorno delle elezioni quel vantaggio si ridusse drammaticamente a favore dei socialdemocratici guidati dal cancelliere in carica Gerhard Schröder. Merkel e l’Unione riuscirono a vincere il rush finale con appena l’1 per cento di vantaggio, ma si ritrovarono senza maggioranza nel Bundestag.
Nel 2013, otto anni e due governi dopo (il primo fu una Große Koalition e il secondo una coalizione con i liberali), Merkel e l’Unione si trovavano in una situazione analoga al 2005. Sin dall’inizio della campagna elettorale l’Unione era intorno al 42 per cento e i socialdemocratici al 25-26. Diversamente dal 2005, però, Angela Merkel si presentava all’elettorato tedesco forte di un solido consenso, frutto di una buona gestione di una serie di crisi internazionali, in cui la Cancelliera aveva saputo difendere gli interessi tedeschi. Dalla crisi dell’Unione Europea con il fallimento del Trattato costituzionale alla tragedia di Fukushima fino alla crisi dell’euro, Angela Merkel era cresciuta molto diventando una leader apprezzata e riconosciuta in tutto il mondo e con un’importante rete di relazioni internazionali. Se alla campagna elettorale di otto anni prima si era presentata impacciata, nel 2013 si mostrò sicura dell’ascendente sul popolo tedesco: la Merkel-Raute, quella tipica posizione delle mani a formare un rombo, era diventato il simbolo del Brand-Merkel e l’emblema di una Germania che dalla riunificazione del 1990 non era mai stata economicamente così bene.
Il contesto: il governo nero-giallo e la crisi dell’Euro
Il governo nero-giallo con cui Merkel governò dal 2009 al 2013 si può dire sia stato il peggiore della lunga era Merkel. Eppure l’Unione e i liberali (FDP) si erano posti obiettivi ambiziosi: superare le conseguenze della crisi economico-finanziaria internazionale, risolvere il problema dei cambiamenti demografici interni alla Germania, migliorare l’utilizzo delle risorse naturali e continuare a rafforzare il rapporto fra libertà e sicurezza di fronte alle minacce globali (era l’epoca dello scandalo PRISM). I risultati furono però modesti: gran parte di quel programma non fu mai realizzato, complice anche l’aggravarsi della crisi economico-finanziaria e l’instabilità dell’Euro. La riduzione delle tasse, punto fermo della campagna elettorale dei liberali, non arrivò mai. Il Ministro delle Finanze Wolfgang Schäuble (CDU) considerò prioritario sanare i conti pubblici ed evitare che la Germania facesse nuovi debiti. Lo Schwarze Null divenne un vero e proprio programma politico. Con l’emergenza di Fukushima, inoltre, il governo fece una clamorosa marcia indietro sul nucleare sul quale aveva deciso di investire pochi mesi prima della tragedia giapponese.
Il governo nero-giallo poteva vantare un bilancio ben più positivo sui temi legati alla famiglia e soprattutto alla sfera sociale. L’esecutivo aveva approvato il Betreuungsgeld con il quale si sostenevano economicamente le donne che decidevano di non mandare i propri figli all’asilo e di crescerli a casa. Fu anche introdotta una nuova misura per sostenere i bambini più poveri in attività sportive, di musica e di sostegno nella formazione scolastica. L’artefice di queste misure fu una donna molto vicina a Merkel di nome Ursula von der Leyen (CDU), allora Ministro del lavoro degli affari sociali.
In politica estera il governo nero-giallo si distinse anche per la controversa decisione di non partecipare alla guerra in Libia del 2011 che spodestò Gheddafi. Una decisione recepita con molto scetticismo dall’opinione pubblica tedesca che temeva un isolamento della Germania a livello internazionale. Nonostante le critiche e le pressioni Merkel e Guido Westerwelle, Ministro degli Esteri della FDP, restarono sulle loro posizioni. Il tempo, considerato ciò che è diventata la Libia, ha dato ragione alla scelta del governo e ha rafforzato la posizione della Cancelliera anche durante la recente iniziativa di una conferenza sulla Libia a Berlino (19 gennaio 2020).
Il banco di prova più complesso fu certamente la crisi dell’Euro rispetto alla quale la Germania continuò a mantenere posizioni rigidissime, in particolare riguardo all’introduzione degli Eurobond, nei confronti dei quali la Merkel si è sempre dichiarata contraria: “non sono una bacchetta magica con la quale risolvere i problemi economici dell’Eurozona” (Angela Merkel, 16 agosto 2011).
La campagna elettorale: una comunicazione perfetta
Nonostante l’ampio consenso nei confronti di Angela Merkel, le elezioni del 2013 non si presentavano in discesa. In una celebre intervista alla Frankfurter Allgemeine Zeitung, poco più di un mese prima delle elezioni, affermando di voler continuare a governare con i liberali (FDP), Merkel disse “il distacco sarà poco, molto poco”. Dopo l’esperienza del 2005 la campagna elettorale di Angela Merkel e dell’Unione fu programmata in ogni dettaglio e affidata a Lutz Meyer, direttore dell’Agenzia Blumberry, che in precedenza aveva lavorato con successo per il socialdemocratico Gerhard Schröder nel 1998 e 2002. Meyer iniziò a programmarla dieci mesi prima delle elezioni direttamente con Angela Merkel: “ci vedevamo ogni settimana per concordare l’inizio e lo sviluppo della campagna elettorale” (Bild Zeitung, 26.9.2013). Perfetta sintesi di vecchi e nuovi mezzi di comunicazione, la campagna elettorale doveva trasmettere ordine e calma (TAZ, 19.12.2014) ma anche un’immagine morbida e femminile di Angela Merkel (L’Espresso, 22.11.2015). Da qui anche un particolare manifesto elettorale con semplicemente il diminutivo di Angela (Angie) e la scelta di utilizzare prevalentemente il colore arancione che rispetto al classico blu della CDU era più “fresco e giovane” (Bild, 26.9.2013).
L’obiettivo che Meyer e Merkel si erano posti consisteva nel conquistare il Centro (Die Mitte) perché è lì che tradizionalmente si vincono le elezioni in Germania. La strategia prevedeva di non polarizzare il discorso politico e di presentare Merkel come Cancelliera di tutti e non come una candidata e presidente di un partito, quindi di una sola parte politica. Il principio-guida era quello delle cosiddette 3-P: Persona, Partito, Programma. L’intero Partito si doveva mettere a disposizione di Merkel (la Persona) sulla base di un Programma condiviso, mostrandosi come una squadra di governo competente. Un’operazione che riuscì molto bene e che, al contrario, fu totalmente fallimentare per i socialdemocratici dove il candidato Peer Steinbrück dava sempre l’impressione di comunicare esclusivamente alla comunità di riferimento dei socialdemocratici. In questo modo Merkel era la candidata dell’unità, della Germania nel suo insieme, facendo leva sul senso di appartenenza comune e sull’idea di una Germania forte e di successo, com’era del resto la Repubblica Federale in quegli anni. Tutto l’elettorato poteva così riconoscersi nel messaggio di Merkel e dell’Unione.
Da una parte Merkel era impegnata nel più classico dei tour elettorali per l’intero territorio federale seguita da un pullman, a cui si aggiunse una tradizionale campagna elettorale per posta. Fu poi impostata una serie di manifesti elettorali organizzati secondo due differenti archi temporali divisi nei due mesi precedenti al voto. La prima fase in cui al centro del messaggio politico c’era soprattutto il partito e la seconda in cui veniva “venduto” il fortissimo Brand-Merkel. In quella che potremmo definire la parte tradizionale della campagna di comunicazione rientrava anche un opuscolo sulla vita di Angela Merkel, dalla sua infanzia al conquista del Cancellierato passando per le sua formazione, la riunificazione tedesca, il suo ruolo nella CDU fino all’importanza della famiglia, dell’Europa e del rispetto della natura. Benché non ci sia stata mai alcuna presa di posizione ufficiale, quell’opuscolo venne percepito come una risposta alle tante biografie non ufficiali su Angela Merkel che rivelavano, con non poca fantasia, aneddoti sulla sua vita.
Un elemento di straordinaria novità, in questo tradizionale sistema di comunicazione, fu il gigantesco manifesto elettorale di ben 2378 metri della Merkel-Raute davanti alla nuova stazione centrale di Berlino con l’inequivocabile messaggio “Il futuro della Germania in buone mani”.
Non mancarono gli spot pubblicitari. Per la precisione uno solo, rassicurante, asciutto, senza simboli di partito (se non un brevissimo passaggio finale), che veicolava un’immagine di Angela Merkel rassicurante e competente.
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Accanto ai mezzi tradizionali Merkel sperimentò i nuovi media. La Cancelliera decise di puntare esclusivamente su Facebook e non su Twitter, dove c’era soltanto il profilo del portavoce del governo Steffen Seibert (@RegSprecher). La rinuncia a Twitter fu una scelta controcorrente mantenuta ancora oggi. La novità assoluta fu però l’introduzione della Merkel-app, un’applicazione personale di Angela Merkel, per essere sempre informati sulla campagna elettorale della Cancelliera.
Non mancarono, tuttavia, alcune piccole scorrettezze da parte dei concorrenti, tra cui la più rilevante fu l’acquisto del dominio internet www.angelamerkel.de da parte della SPD nel quale erano stati caricati finti manifesti elettorali dei socialdemocratici sul modello di quelli della CDU.
Il dito medio di Steinbrück
Le elezioni del 2013 coincisero con il centocinquantesimo anniversario della nascita della SPD. Il 22 agosto i socialdemocratici organizzarono il Deutschlandfest (Festa della Germania), una grande manifestazione con concerti, birre, currywurst, pizze e propaganda elettorale del partito, a cui parteciparono circa 300.000 persone assiepate sul celebre Viale del 17 giugno a Berlino. Nonostante la notevole mobilitazione, il candidato cancelliere Peer Steinbrück appariva però sempre più solo. La SPD sembrava quasi vergognarsi del suo candidato tanto da “nasconderlo” nel suo spot elettorale nel quale Steinbrück compariva solo alla fine.
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Un fenomeno esattamente opposto a ciò che avveniva nell’Unione. Da parte sua Steinbrück inanellò una serie di gaffes storiche, con alcune esternazioni di dubbio gusto come quella di non poter mai bere una bottiglia di Pinot Grigio di cinque euro o che lo stipendio di Cancelliere era troppo basso. Addirittura dieci giorni prima del voto, contro il parere dei suoi consiglieri di comunicazione, rilasciò un’intervista per il settimanale della Süddeutsche Zeitung facendosi ritrarre con il dito medio e il gesto dell’ombrello. Un messaggio diretto a tutti coloro che nel partito (e fuori) lo avevano criticato e lasciato solo.
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A Steinbrück non servì né un capillare utilizzò di Twitter, tanto che fu il primo politico tedesco a interagire con un Twitter Town Hall con l’hashtag #fragpeer, né l’unico duello televisivo previsto dalla campagna elettorale. A vincere il dibattito, a dire il vero noioso e ingessato, fu a sorpresa la collana con i colori della bandiera tedesca indossata dalla Cancelliera. Durante il duello comparve subito un profilo Twitter satirico (@schlandkette) con l’immagine del collo della Cancelliera adornata dalla collana tricolore. Il messaggio finale dei due candidati mostrò le loro diversità: Steinbrück invitò a votare per un Paese più tollerante, più equo e più aperto; Merkel, al contrario, rivendicò i buoni risultati del suo governo e, semplicemente, augurò buona serata a tutti.
Merkel e Steinbrück, che pure lavorarono insieme nella prima Grande Coalizione merkeliana (2005-2009) durante la quale il socialdemocratico era Ministro delle Finanze, non potevano essere più diversi. La Cancelliera, pur non brillando per capacità retoriche, non aveva mai perso un battaglia politica. Steinbrück, al contrario, aveva già subito una sonora sconfitta nel 2005 nel Nord Reno Westfalia, dove fu Ministro-Presidente per tre anni (2002-2005). Era il candidato Cancelliere più anziano della storia della Germania e un grande oratore, amava parlare chiaro ed era di un’ironia sferzante poco compresa dagli stessi tedeschi. Peer Steinbrück non solo perse la sfida con Angela Merkel, ma anche nel proprio collegio: con il 33,3% dei voti venne sconfitto dalla candidata della CDU Michaela Noll che ottenne ben il 50.6 per cento, ma entrò comunque nel Bundestag grazie alle liste bloccate.
La nascita di una spina nel fianco: Alternative für Deutschland
Nella primavera del 2013 all’Hotel Intercontinental di Berlino nacque un nuovo partito a destra dell’Unione: Alternative für Deutschland era stato fondato da professori universitari, imprenditori e delusi dalla CDU e dal conservatorismo moderato e illuminato di Angela Merkel che aveva abolito il servizio militare obbligatorio, aveva iniziato ad abbandonare il nucleare come fonte energetica e aveva dato ampio spazio alle donne nel partito tedesco più maschilista. L’AfD delle origini era un partito liberal-nazionale e conservatore; il tratto principale restava però la contrarietà all’Euro.
Per Bernd Lucke, leader del partito, la soluzione era far uscire i paesi del Sud Europa dall’eurozona oppure, per la Germania, ritornare al marco tedesco. Gli euroscettici mobilitarono i cittadini tedeschi contro la dispendiosa politica di salvataggio della moneta unica portata avanti dalla Cancelliera. Solo nella fase finale della campagna elettorale, consapevoli che i sondaggi davano il partito ancora sotto la soglia del 5 per cento, Bernd Lucke provò a polarizzare il discorso politico sulla sicurezza e sull’immigrazione cercando di conquistare qualche voto nelle frange più estreme della società tedesca senza tuttavia avere molto successo.
In soli 5 mesi Alternative für Deutschland, con un’organizzazione sul territorio non ancora adeguata ad affrontare una campagna elettorale nazionale, sfiorò la soglia di sbarramento. Il 4,7% era sì una sconfitta ma al contempo un ottimo risultato per un partito neo-nato. La nuova destra tolse voti principalmente ai liberali (430 mila), che non riuscirono a raggiungere la soglia del 5 per cento, e alla Linke (340 mila), ma anche i partiti più forti come CDU (290 mila), SPD (180 mila) e Verdi (90 mila) risentirono dell’ingresso di AfD. Significativo il voto ottenuto dal blocco astensionista (210 mila).
Se nel 2013 AfD perse la sua sfida, negli anni successivi, divenuta molto più estrema e con evidenti tendenze xenofobe, entrò in tutti i Länder della Repubblica Federale e riuscì ad eleggere propri rappresentanti anche alle successive elezioni europee e politiche, diventando il principale avversario del conservatorismo di centro di Angela Merkel ma anche un vero e proprio problema per l’equilibrio politico in Germania.
La vittoria e quel tentativo fallito con i Verdi
La sera del 22 settembre 2013 Angela Merkel trionfa con il 41,5% dei consensi. Nella sede centrale della CDU a Berlino (la Konrad Adenauer Haus) c’è aria di grande festa: è un risultato che mancava all’Unione dalle elezioni del 1994, le ultime vittoriose per Helmut Kohl. L’entusiasmo, però, aveva portato più di qualcuno a sventolare qualche bandiera tedesca di troppo, e per evitare che quel successo venisse associato a forme di neo-nazionalismo – soprattutto dopo le tante critiche di un’egemonia tedesca in Europa – la cancelliera fece subito in modo che quelle bandiere venissero messe da parte.
Nonostante il risultato elettorale indicasse un’evidente stabilità, ovvero un sistema incentrato sulla CDU e con pochi partiti rappresentati in Parlamento, non mancarono profili di discontinuità rispetto al passato e la formazione del governo fu tutt’altro che facile.
Prima di tutto i due partiti principali, Unione e SPD (su cui storicamente è incentrato il sistema politico tedesco), ottennero complessivamente il peggior risultato dal 1949 e tale trend è stato confermato alle elezioni del 2017. Naturalmente il dato complessivo era condizionato dal deludente risultato dei socialdemocratici. Lo squilibrio tra i due partiti di massa, Unione e SPD, ha portato a una vera e propria rivoluzione del sistema dei partiti tedesco e a una frammentazione del consenso politico.
L’altra grande novità fu il risultato deludente dei liberali (FDP), che per la prima volta nella storia della Repubblica Federale non riuscirono a superare la soglia di sbarramento del 5 per cento per eleggere propri rappresentanti nel Bundestag. Il fallimento dei liberali alle elezioni del 2013 fu clamoroso: appena quattro anni prima avevano raggiunto il miglior risultato dello loro storia (14,6 per cento) ed erano tornati al governo come partner di coalizione dopo oltre dieci anni. In virtù dell’insuccesso della FDP e del contemporaneo mancato ingresso della nuova destra di AfD, il parlamento eletto nel 2013 aveva solo quattro gruppi parlamentari: non succedeva da prima della riunificazione del 1990. Da una parte si trattava di una evidente semplificazione, ma dall’altra nascondeva un processo di frammentazione politica al tempo ancora sotterraneo ma che si stava affermando nella società tedesca e che si sarebbe manifestato alle elezioni del 2017.
La formazione del governo fu un processo complesso. Il paradosso della diciottesima legislatura era che, nonostante l’esplicita vittoria della CDU, i rapporti di forza nel Bundestag erano spostati a sinistra: oltre all’Unione, infatti, erano rappresentanti solo partiti di sinistra o progressisti, cioè SPD, Verdi e Linke, che insieme avrebbero avuto una esigua maggioranza parlamentare. Una coalizione di centro-sinistra non era però possibile, perché al tempo SPD e Verdi escludevano una collaborazione con la Linke. In questo contesto a Merkel restavano due opzioni: riproporre una Große Koalition per la terza volta nella storia della Repubblica Federale (la prima fu negli anni 1966-1969 guidata da Kurt Georg Kiesinger della CDU e la seconda negli anni 2005-2009 con Merkel) oppure un’inedita coalizione con i Verdi.
Sebbene i presupposti non fossero favorevoli, Merkel, forte di buoni rapporti con alcuni esponenti dei Verdi come Katrin Göring-Eckardt, decise di sondare prima con gli ambientalisti. Nei Verdi, diversamente da oggi, vi era ancora una forte componente dei cosiddetti Fundis (fondamentalisti) che erano su posizioni molto rigide rispetto a una collaborazione con i conservatori, e alla fine al loro interno prevalse la linea della coerenza rispetto alle posizioni rappresentate nella campagna elettorale, in cui si erano presentati con l’intenzione esplicita di governare con i socialdemocratici. Dopo questo breve ma significativo tentativo, più volte ricordato da Merkel e Schäuble come evento che avrebbe potuto cambiare la storia, la Cancelliera avviò una trattativa ufficiale con la SPD, la più lunga della storia della Repubblica Federale. Non ci furono solo i leader a trattare, ma anche gruppi di lavoro di esponenti delle seconde e terze linee organizzati per nuclei tematici. Un lavoro enorme, ma che portò a un’intesa che andava ben al di là del corposo programma sottoscritto. Il 17 dicembre 2013 Angela Merkel ottenne il via libera dal Parlamento tedesco con 462 voti e giurò per la terza volta come Cancelliera, entrando nella storia della Repubblica federale tedesca.
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Bibliografia, sitografia e filmografia per approfondire (in ordine cronologico)
Parole di potere. Il pensiero della Cancelliera, a cura di Robin Mishra, Claudiana Torino 2012.
L’Europeo. Locomotiva Germania. Dalla ricostruzione alla leadership europea, Novembre 2012.
Intervista a Peer Steinbrück, Süddeutsche Zeitung. Magazine, 12.9.2013 (link).
Intervista ad Angela Merkel, Frankfurter Allgemeine Zeitung, 18.8.2013 (link).
Nikolaus Blome, Angela Merkel. Die Zauder-Künstlerin, Pantheon, München 2013.
Ralph Bollmann, Die Deutsche: Angela Merkel und wir, Klett Cotta, Stuttgart 2013.
Stefan Kornelius, Angela Merkel. Die Kanzlerin und ihre Welt, Hoffmann und Campe, Berlin 2013.
Ubaldo Villani-Lubelli, Enigma #Merkel. In Europa il potere è donna, goWare, Firenze 2013.
Intervista a Lautz Meyer, Bild Zeitung, 26.9.2013 (link).
La Germania della Cancelliera. Le elezioni del 2013 all’ombra della crisi europea, a cura di Gabriele d’Ottavio e Thomas Saalfeld, il Mulino, Bologna 2014.
Intervista a Lutz Mayer, Tageszeitung, 19.12.2014 (link).
Intervista a Lutz Mayer, Espresso, 22.11.2015 (link)
Bundeswahlleiter (link).
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