USA: le risposte statali a macchia di leopardo
Avevamo già parlato di come ogni governatore americano abbia annunciato il lockdown in giorni differenti, a causa del diverso numero di casi in ciascuno stato, ma anche – in alcuni casi – del colore politico del governatore. Infatti, alcuni stati repubblicani, come la Florida o il Texas, hanno annunciato la chiusura solo nei primi giorni di aprile, e quindi significativamente più tardi rispetto agli stati più colpiti governati dai democratici. Tuttavia, dai dati rilasciati da Apple questa differenza non è così evidente: in effetti, nella maggior parte delle città in analisi, il calo più importante nella mobilità si ha attorno all’11-12 marzo.
La differenza, piuttosto, può essere riscontrata nel grado di mobilità a cui si arriva. Fra le città del West, San Francisco è quella che registra un calo della mobilità più graduale e, rispetto a gennaio, più marcato se paragonato ai cali di Denver, Los Angeles e Seattle (nonostante i governatori degli stati di queste città siano tutti democratici). Il caso di San Francisco è particolare, come emerge dalla curva: infatti, nonostante il 17 marzo si registrassero meno di 50 casi di coronavirus in città, la sindaca Breed dichiarò subito il lockdown. Si è trattato di una scelta inizialmente criticata come prematura e affrettata, ma che in seguito sarà presa come modello per altre città.
Coronavirus: l’andamento della mobilità nelle città americane secondo i dati Apple
Un altro caso interessante è quello di Boston (in Massachusetts, stato repubblicano) che, a confronto con le altre città dell’East Coast, ha un calo degli spostamenti più notevole sia di Baltimora (in Maryland, anch’esso stato repubblicano) che di Philadelphia, città più popolosa della democratica Pennsylvania. Anche tra due città del Midwest come Chicago e Detroit, entrambe in Stati governati dai democratici, il tasso di mobilità è differente, nonostante il lockdown sia stato annunciato a soli 3 giorni di distanza tra uno stato e l’altro (in Michigan il 24 marzo, mentre nell’Illinois il 21).
E per quanto riguarda New York, la città maggiormente colpita? La Grande Mela ha il primo caso confermato il 1° marzo, per poi segnare un’impennata durante le due settimane successive. Il vero calo nella mobilità si registra però solo 10 giorni dopo: in effetti, il 1°marzo il livello di mobilità è pari al 103,4% rispetto gli inizi di gennaio, e il 7 marzo è addirittura al 148%. Solo, dal 17 marzo il calo – seppur lento – diventa costante, giungendo all’attuale 31,8% in quasi un mese. Sembra dunque che il ritardo nello stabilire il lockdown e nell’effettivo arresto della città abbiano sicuramente favorito l’impennata di casi positivi.
A oggi, visto il costante aumento dei casi, gli spostamenti dei newyorkesi rimangono ancora al 35%, uno dei livelli più bassi insieme a San Francisco (32,3%). Nel resto del Paese, invece, i cittadini hanno ripreso a spostarsi: ad Atlanta e Baltimora, per esempio, si raggiungono l’82,6% e il 78,6% rispetto a inizio gennaio
Il calo della mobilità anticipa i lockdown
Sicuramente i provvedimenti presi dai singoli stati influenzano la mobilità, soprattutto se il Governo decide la chiusura del Paese con limitazioni degli spostamenti. Tuttavia, molti Stati hanno conosciuto una riduzione degli spostamenti ancora prima dell’entrata in vigore del lockdown. Per esempio in Italia, prima ancora del 9 marzo, gli spostamenti a piedi erano già notevolmente calati, probabilmente per via del focolaio di Codogno e dell’aumento repentino dei casi in Lombardia: le notizie sull’aumento dei casi positivi, insomma, sono state senz’ombra di dubbio un deterrente psicologico alla mobilità dei cittadini.
“Tuttavia, molti Stati hanno conosciuto una riduzione degli spostamenti ancora prima dell’entrata in vigore del lockdown. Per esempio in Italia, prima ancora del 9 marzo, gli spostamenti a piedi erano già notevolmente calati, probabilmente per via del focolaio di Codogno e dell’aumento repentino dei casi in Lombardia: le notizie sull’aumento dei casi positivi, insomma, sono state senz’ombra di dubbio un deterrente psicologico alla mobilità dei cittadini.”
Vero, ma dobbiamo anche considerare che la chiusura delle scuole e la limitazione di alcuni eventi hanno anticipato il 9 marzo. Di conseguenza, molte aziende avevano già deciso di far lavorare i dipendenti in smart-working o comunque di lasciarli a casa.