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USA: il punto su primarie e campagna presidenziale

Nonostante il ritiro di Sanders e l’emergenza Coronavirus, negli USA continuano le primarie Dem tra rinvii e voto per posta. Intanto, Biden adotta la sua prima strategia per la campagna elettorale presidenziale: il silenzio.

L’8 aprile scorso Bernie Sanders ha annunciato la sospensione della sua campagna per la corsa alla nomination presidenziale democratica, mettendo ufficialmente fine a una competizione che di fatto si era già chiusa dopo che il suo avversario, Joe Biden, aveva trionfato in 18 stati sui 24 al voto nel mese di marzo. Ma le primarie negli USA non si fermano e Sanders ha intenzione di portare avanti la sua battaglia ideologica all’interno del partito puntando a conquistare almeno il 25% dei delegati in palio, numero che gli permetterebbe di assicurarsi un posto ai tavoli dei comitati decisionali durante la Democratic National Convention (già spostata dalla metà di luglio alla metà di agosto).

Lo scoppio della pandemia di Coronavirus sta però rimodellando il calendario del voto, con ben 17 stati (Alaska, Connecticut, Delaware, Georgia, Hawaii, Indiana, Kansas, Kentucky, Louisiana, Maryland, New Jersey, New York, Ohio, Pennsylvania, Rhode Island, West Virginia e Wyoming) che hanno deciso di rinviare le primarie o passare al voto per posta con scadenze prolungate per evitare assembramenti ai seggi. Lo stato di New York aveva addirittura cancellato le primarie dopo averle inizialmente riprogrammate al 23 giugno, ma la sentenza di un giudice federale le ha ripristinate in seguito alla causa intentata dall’ex candidato democratico Andrew Yang contro la decisione del New York Board of Elections.

Primarie Dem: il nuovo calendario del voto

Nel frattempo, in alcuni di questi stati – e nel Wisconsin, dove l’amministrazione repubblicana ha impedito il rinvio delle primarie – la data fissata per il rinvio è già arrivata e gli elettori democratici si sono recati ai seggi durante le scorse settimane. Qui su YouTrend ci eravamo lasciati con le primarie in Illinois, Arizona e Florida del 17 marzo: andiamo quindi a vedere i risultati delle votazioni che si sono tenute tra quel giorno e oggi. Come si nota nella mappa soprastante, dall’inizio di aprile sono sei gli stati che hanno tenuto le primarie, e in quasi tutti ha vinto Biden con un margine piuttosto ampio.

Nel Wisconsin si è votato “normalmente” – cioè recandosi ai seggi – lo scorso 7 aprile e Biden ha ottenuto 58 delegati contro i 28 di Sanders. Negli altri cinque stati le operazioni di voto si sono svolte invece via posta tra il 10 aprile e il 12 maggio. Dei pochi delegati in palio in AlaskaWyoming e Kansas, Biden ne ha ottenuti rispettivamente 8, 10 e 29 mentre il suo avversario 7, 4 e 10. Più significativa, invece, la vittoria di Biden in Ohio per 115 a 21. Sono rimasti invece aperti i seggi, per volere dell’amministrazione repubblicana, la notte scorsa in Nebraska, anche se molti funzionari hanno incoraggiato la popolazione a votare via posta. A operazioni di scrutinio ancora in corso, Biden avrebbe ottenuto una vittoria schiacciante, totalizzando fino ad ora 27 dei 29 delegati in palio, mentre Sanders non ne avrebbe ottenuto alcuno.

Ad oggi, il conteggio totale dei delegati ammonta a 1.462 per Biden contro i 984 di Sanders, cui ne mancano solo 11 per ottenere il 25% del totale di 3.979 (995). Un obiettivo dunque non così lontano, dato che la soglia del 15% necessaria ad ottenere delegati non dovrebbe rappresentare – nonostante il ritiro – un grande ostacolo per il Senatore del Vermont in almeno alcuni dei 16 stati che mancano all’appello.

Primarie USA: tutti i risultati fino ad ora


Nel corso delle prossime settimane toccherà all’Oregon il 19 maggio (61 delegati) e alle Hawaii il 22 (24 delegati, il voto è già in corso via posta). Il 2 giugno, poi, esprimeranno la propria preferenza gli elettori Dem in 9 stati: Delaware, Washington D.C., Indiana, Maryland, Montana, New Mexico, Pennsylvania, Rhode Island, South Dakota, per un totale di ben 500 delegati da assegnare. Chiuderanno poi tra giugno e agosto gli ultimi 7 stati mancanti, Georgia, West Virginia, Kentucky, New York, New Jersey, Louisiana e Connecticut, e alcuni dei territori non incorporati: Isole Vergini Americane, Guam e Porto Rico.

È già Biden contro Trump?

Nel frattempo Joe Biden, forte della nomination democratica in tasca, sta iniziando a occuparsi della campagna elettorale che culminerà con il voto di quest’autunno adottando una strategia piuttosto insolita: il silenzio. Pur rilasciando sovente interviste o organizzando eventi di found-raising dal suo scantinato adattato a studio televisivo, Biden ha deciso di farsi da parte e lasciare il palcoscenico nazionale a Donald Trump, che dal canto suo sta godendo dell’enorme esposizione mediatica offertagli dall’emergenza Coronavirus. Una tattica rivelatasi fino ad ora vincente, dato che i sondaggi premiano Biden e penalizzano Trump. Ma come può la scelta di tenere un “basso profilo” prevalere sull’onnipresenza mediatica di cui beneficia il presidente?

Fino a qualche giorno fa il presidente teneva dei briefing a cadenza giornaliera per aggiornare il paese sullo stato della pandemia, ma nel giro di qualche settimana gli stessi briefing gli si sono ritorti contro. Trump, infatti, non solo ha sottovalutato la gravità del Coronavirus durante le prime settimane della sua diffusione negli Stati Uniti, ma di recente ha anche commesso una serie di gaffe (come il riferimento alla possibilità di iniettarsi un disinfettante per contrastare il virus) che hanno rischiato di mettere in pericolo la salute nazionale. Il presidente, poi, ha parzialmente delegato la risoluzione dell’emergenza ai singoli stati, preferendo interagire con i governatori che lo “trattano bene” piuttosto che con quelli a lui sgraditi, dimostrando così non solo incompetenza dal punto di vista amministrativo, ma anche scarso senso di unità nazionale. È facile quindi capire la motivazione che spinge Joe Biden a restare in disparte: lasciare che l’avversario si danneggi con le sue stesse mani.

 

E come accennato in precedenza, anche i sondaggi premiano questa strategia: Biden sarebbe in testa non solo su scala nazionale, ma anche negli stati chiave che a Hillary Clinton costarono l’elezione: Florida, Michigan, Pennysilvania e Wisconsin. Attenzione, però: allo stesso punto della competizione, e negli stessi stati, nel 2016, i sondaggi indicavano un vantaggio addirittura superiore per Clinton. La strada, infatti, è ancora lunga: in primo luogo, non ci è dato sapere per quanto le condizioni imposte dall’emergenza Coronavirus si protrarranno nel tempo e se continueranno a danneggiare Trump. Inoltre, Biden e il Partito Democratico sono chiamati a recuperare il vantaggio accumulato negli anni passati dai repubblicani nella gestione della comunicazione sul web, compito già difficile in condizioni di “normalità” ma oggi ancora di più, dato che a causa della pandemia di Coronavirus le campagne elettorali si sposteranno quasi esclusivamente su questo piano.

Inoltre, nonostante il basso profilo fino ad ora mantenuto da Joe Biden, non mancano i primi ostacoli sul suo percorso verso la presidenza: lo scorso 25 marzo, Tara Reade, una ex collaboratrice di Biden, lo ha accusato di averla molestata sessualmente quando faceva parte dello staff del senatore nel 1993. L’ex vice presidente ha respinto le accuse, ma la questione è ancora in sospeso e proseguono le indagini dei giornali per fare luce sulla vicenda. Se prove tangibili di ciò che afferma Reade venissero pubblicate, o se si presentassero altri casi di presunte molestie sessuali riferite a Biden, la sua credibilità all’interno dell’elettorato democratico potrebbe uscirne fortemente compromessa e il vantaggio accumulato in queste settimane ridursi notevolmente.

In attesa di una candidata vice presidente “speciale”

Circa due mesi fa Biden annunciò di voler scegliere un vice candidato donna, non solo per dimostrare la sua vicinanza alla causa della parità di genere, ma anche per ampliare il suo appeal sull’elettorato democratico. Come spiegavamo in un articolo pubblicato qualche settimana fa, la scelta dovrebbe ricadere su una candidata che sia in grado di attirare segmenti dell’elettorato su cui lo stesso Biden fatica ad esercitare una certa influenza, oppure, su qualcuno che provenga da uno dei cosiddetti swing state in modo da facilitarne la conquista al momento delle elezioni.

Secondo il New York Times, oltretutto, la futura candidata vice presidente democratica potrebbe definire l’agenda del partito e del paese per il prossimo decennio a venire. A dicembre, infatti, erano circolate voci di una discussione interna allo staff di Biden sull’eventualità di candidarsi per un unico mandato. In questo modo, in caso di vittoria, Biden potrebbe lasciare la possibilità alla sua vice di candidarsi presidente già nel 2024, ed eventualmente nel 2028. Quella del vicepresidente è una scelta dunque a dir poco cruciale per Biden, nonché una delle incognite più importanti nella sua campagna elettorale, da cui potrebbero dipendere il risultato delle elezioni di novembre, ma forse anche il futuro dell’intero paese. Di seguito, una lista di quelle che sarebbero le scelte più plausibili, elaborata dal Washington Post all’incirca un mese fa.

Gianluca De Feo

Trentino, grande appassionato di politica americana ed europea. Vive in Italia ma studia politica e storia del Nord America alla Freie Universität Berlin.

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