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The Upper House: North Carolina, follow the people

Tra gli stati in bilico c’è il North Carolina: riuscirà il democratico Cunningham a spodestare un sempre più “trumpiano” Tillis?

Il prossimo 3 novembre, negli Stati Uniti, non si vota solo per la Presidenza. Si vota anche per 35 seggi al Senato e per il rinnovo completo della Camera dei Rappresentanti. La cosa non è secondaria, anzi: senza un Congresso dalla sua parte, il Presidente può incontrare grandi difficoltà nel suo mandato.

La gara più serrata è al Senato perché lì i numeri sono molto ristretti: ogni Stato dispone di due senatori indipendentemente dalla popolazione, per un totale di 100 Senatori. Attenzione però: il Senato si rinnova solo per un terzo, perché si vota ogni due anni e ogni Senatore rimane in carica sei anni.

In queste settimane Luciana Grosso ci racconta allora le sfide più delicate, avvincenti e cruciali per diventare o restare Senatore degli Stati Uniti e, di fatto, avere nelle mani il destino di milioni di persone.

Oggi siamo in North Carolina, nona tappa del nostro viaggio oltreoceano.

 

Ci sono stati che Donald Trump, alle prossime presidenziali, non può proprio perdere. Uno è il Texas che oltre a pesare molto in termini di grandi elettori (38) è anche un simbolo identitario per i repubblicani americani; un altro è la Florida, stato swing per eccellenza, che nel 2016 (come nel 2000) si è rivelato fondamentale per le vittoria di Trump in un caso e di George W. Bush nell’altro; un altro ancora è l’Arizona, stato che per decenni è stato nel conto degli stati rossi, ma senza esserlo davvero. L’Arizona era il feudo di John McCain, e basta: gli elettori votavano per McCain e solo di conseguenza per i repubblicani. Se John McCain si fosse candidato con i democratici, con i verdi o con il partito di vattelappesca, probabilmente i suoi elettori lo avrebbero seguito. Per questo, ora che John McCain non c’è più, l’Arizona, con i suoi 11 grandi elettori, non è più uno stato automaticamente repubblicano e potrebbe rendere complicata  la vita e la rielezione di Trump. Infine tra gli stati in bilico c’è il North Carolina: 15 grandi elettori, dopo essere stato democratico per decenni, per altri decenni è stato repubblicano e ora oscilla tra una maggioranza e un’altra. (Negli ultimi 50 anni, i soli candidati presidenziali democratici a vincere qui sono stati Jimmy Carter, nel 1976, e Barack Obama, ma solo nel 2008, con un margine ristrettissimo, lo 0,3%). Nel 2016, in North Carolina, Donald Trump ha vinto lo stato con un vantaggio di meno di 4 punti.

 

La stessa stasi, seguita da una continua oscillazione, si trova anche nei risultati del Senato: un lungo dominio democratico (durato più o meno fino agli anni ‘60) seguito da un altrettanto lungo dominio repubblicano (il senatore Jesse Helms, uno dei più rigidi conservatori della storia d’America è stato rieletto qui per 5 volte, restando in carica per 30 anni, dal 1973 al 2003).

 

Dopo di lui, al senato, si è aperto un periodo di alternanza con i democratici che solo di recente sembra essersi stabilizzato a favore dei repubblicani. Ma di poco.

La ragione di tanta instabilità, piuttosto recente, ha una ragione: il North Carolina sta cambiando.

La rivoluzione demografica

Lo stato del North Carolina, per varie ragioni, la principale delle quali è una forte terziarizzazione delle grandi città come Charlotte o Greensboro, che si sposa con un mercato degli affitti ancora decisamente abbordabile, negli ultimi anni ha visto la sua popolazione crescere costantemente.

 

 

Tutte le principali città dello stato, negli ultimi 10 anni sono cresciute in termini di abitanti e (dunque) di economia. Charlotte, la più grande, ha addirittura visto la sua popolazione aumentare di oltre il 20%, e la popolazione complessiva dello stato è passata da otto a dieci milioni di residenti complessivi. Secondo le informazioni che arrivano dagli uffici del governatore, ogni anno lo stato ha un saldo netto di 85 mila abitanti in più.

Il fatto che la popolazione del North Carolina stia cambiando significa che anche il suo elettorato lo sta facendo. Per esempio il fatto che siano arrivati in North Carolina persone da stati radicatamente democratici (come la California o New York) o storicamente in bilico (come la Florida) potrebbe cambiare, a lungo andare, l’equilibrio elettorale dello stato, facendo pendere la bilancia a favore dei democratici.

 

Thom Tillis: il senatore amico di Trump
Il fatto che gli equilibri demografici, e dunque elettorali, dello stato stiano cambiando si accompagna anche al fatto che, qui, negli ultimi tempi, la popolarità di Trump è precipitata. Colpa del modo in cui ha gestito i rapporti con la Cina (tasto delicato per uno stato la cui economia si regge in gran parte sulla manifattura tessile) e soprattutto l’emergenza CoVid (87 mila casi su 10 milioni di abitanti,  solo fino alla metà di luglio, e poco meno di 2000 morti) che hanno molto deluso gli abitanti del North Carolina. L’ ostilità montata verso Trump, in teoria, potrebbe non influire sui risultati delle elezioni per il Senato, perché in America l’abitudine al voto disgiunto e personale, al candidato e non al partito, è molto diffusa, ma in realtà si sta rivelando una pessima notizia per il senatore uscente repubblicano Thom Tillis.

Questo perché Tillis, di recente, si è molto avvicinato a Trump, tanto da essere considerato una cosa sola con il Presidente. La storia di Tillis, almeno negli ultimi 3 anni e mezzo, è stata simile a quella di molti altri senatori repubblicani: partito da posizioni relativamente moderate e molto scettico nei confronti di Donald Trump, ne ha poi sposato, per reale convinzione o per mero tornaconto, le posizioni oltranziste e muscolari, oltre che un certo sprezzo per leggi e convenzioni.  Scrive Politico che Tillis “ha iniziato l’era Trump negoziando con i democratici sull’immigrazione e come co-autore di leggi per proteggere il consigliere speciale Robert Mueller. Si è opposto all’idea del presidente Donald Trump di costruire un muro di confine con il Messico. Ma poi la serie di voti da  indipendente del senatore del North Carolina è lentamente ma inesorabilmente svanita”.

Per dire quanto si sia fatto forte e cocciuto il sostegno di Tills a Donald Trump basti sapere che, negli ultimi 3 anni, il senatore ha votato nel 94% dei casi a favore del Presidente e che, ai tempi dell’impeachment, Tills ha dichiarato “Non so se ne suoi panni avrei chiamato il presidente ucraino per chiedere un favore. Ma so che se il Presidente lo ha fatto è stato perché sta subendo attacchi di ogni tipo da tre anni. Credo che vada difeso ad ogni costo”.

Non roba da poco.

 

 

L’uomo dei record: Cal Cunningham

A sfidare Tills, in rappresentanza del Partito Democratico, ci sarà Cal Cunningham. Il fatto che il partito abbia scelto lui, un veterano militare decorato della guerra in Iraq, conferma la strategia Dem a queste elezioni: andarsi a prendere i voti dei repubblicani moderati che non si riconoscono più nel loro partito trumpizzato. Andare a pescare uno per uno i voti di chi aveva votato Tills perché lo considerava un centrista, un politico in grado di dialogare con i democratici, e ora si ritrova deluso dal ritrovarsi con un senatore pasdaran del pPresidente. Andare insomma a colmare il vuoto lasciato dal partito Repubblicano al centro, spostandosi a destra e tacitando (almeno per ora e fino a nuovo ordine) le istanze più progressiste portate avanti dai sostenitori di Bernie Sanders.

Questa strategia, che il partito ha scelto di adottare per le corse al Senato praticamente in tutti gli stati tradizionalmente repubblicani (Arizona, Kentucky, Texas…) potrebbe pagare, o forse no. Per ora sta suscitando grande interesse e curiosità da parte dell’elettorato, specie di quello indipendente e centrista. E sta ingolosendo i democratici, convinti che una candidatura moderata possa arrivare lì dove il muscolare Trump invece non ce la fa.

 

I primi risultati di Cunningham (che i sondaggi danno in vantaggio) appaiono buoni, almeno per quel che è la raccolta fondi: lo scorso luglio Cunningham ha fatto sapere di aver raccolto 7,4 milioni di dollari nel secondo trimestre del 2020, una cifra che segna un record assoluto per per i candidati al Senato in North Carolina. E che potrebbe essere indice di un altro aspetto: il partito democratico sta puntando forte su questo stato perché lo ritiene espugnabile. Sia per il Senato che per la Presidenza. E senza North Carolina Trump corre il rischio di non andare da nessuna parte.

 

Luciana Grosso

Giornalista di esteri, ha passato le notti dell’adolescenza a inseguire ‘The West Wing’ tra i canali in chiaro degli anni ‘90. Scrive (soprattutto di USA e di UE) per Il Foglio, Linkiesta, Business Insider, Il Venerdì di Repubblica. Cura una newsletter settimanale sull’Unione Europea.

1 commento

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  • La città di Charlotte non è passata da 8 a 10 milioni di abitanti! Sarebbe piú grande di NYC o LA! É l’intera North Carolina che è passata da 8 a 10 milioni di abitanti in 20 anni dal 2000. Charlotte è passata da 540,000 a 880,000 negli ultimi 20 anni.