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Presidenziali USA: perché guardare la Contea di Erie?

Durante l’election night, una piccola contea della Pennsylvania potrà aiutarci a capire chi sarà il prossimo inquilino della Casa Bianca

Nel 2016 Donald Trump ha conquistato inaspettatamente 3 stati dell’ex blue wall democratico, tra cui la Pennsylvania, dove ha vinto con un margine inferiore all’1% – meno di 50.000 voti di scarto. Solo 3 contee su 67 della Pennsylvania, nello specifico, sono passate dai democratici ai repubblicani rispetto al 2012: Northampton, Luzerne, ed Erie. In questo articolo ci focalizzeremo sulla contea di Erie, perché è stata identificata come una contea “bellwether”, cioè una di quelle contee che votano in linea con il resto del Paese. Certo, anche le contee di Northampton e Luzerne giocheranno un ruolo fondamentale nel decretare il vincitore della Pennsylvania, ma non sono rappresentative del Midwest quanto la contea di Erie per una serie di motivi. 

La contea di Northampton è tra le regioni in più rapida ascesa economica, con un prodotto interno lordo pari a 41,2 miliardi di dollari – più di quello del Vermont e del Wyoming. Questo fa sì che questa contea non sia un modello ideale per misurare se l’elettorato di Donald Trump – prevalentemente blue-collar, senza laurea e con un reddito familiare annuale sotto la media – si mobiliterà come nel 2016 negli stati chiave della Rust Belt.

La contea di Luzerne, d’altro canto, non ha beneficiato dalla trasformazione economica avvenuta nella Lehigh Valley, dov’è situata Northampton, anzi proprio come la contea di Erie ha subito una forte contrazione economica per via del declino delle grandi industrie del ferro e dell’acciaio nella seconda parte del ventesimo secolo. Quello che differenzia la contea di Luzerne dalla contea di Erie è l’aspetto demografico: con il 7,8% della popolazione afroamericana ed il 4,4% della popolazione ispanica, la contea di Erie è un microcosmo del Midwest, a differenza di Luzerne dove si registra una popolazione ispanica addirittura più elevata (13,8%) rispetto a quella afroamericana (6,6%).

La contea di Erie ha poco più di 200.000 abitanti ed è situata nell’estremo nord-ovest della Pennsylvania. All’apice della sua espansione divenne il punto nevralgico degli Stati Uniti nordorientali per l’assemblaggio di locomotive e per la produzione di pentole in ghisa, grazie ad aziende come la Griswold Manufacturing che diedero posti di lavoro a migliaia di persone. Oggi questa piccola contea detiene un tasso di disoccupazione pari all’11%, ben al di sopra della media nazionale dell’8%: in pochi anni la contea di Erie si è trasformata da regione di prosperità per la classe media americana a centro per rifugiati e immigrati che sono disposti a lavorare a basso costo per le piccole e medie imprese di biocarburanti.

Il messaggio protezionista e anti-immigrazionista di Donald Trump nel 2016 ha fatto breccia in questa contea oramai delusa da anni di promesse non mantenute da parte dei candidati democratici, che hanno fallito nel riportare i livelli di prosperità e sicurezza vissuti in questa regione all’inizio del ‘900. Nel 2016 infatti, per la prima volta dopo oltre tre decenni, la contea di Erie ha votato per un candidato repubblicano. Con una popolazione bianca dell’87% e una percentuale di laureati inferiore rispetto al resto del Paese, la contea di Erie rappresenta la base elettorale che ha portato Donald Trump a vincere non solo in Pennsylvania, ma anche in altri stati della Rust Belt: Michigan, Wisconsin, Ohio, e Indiana. Un’affluenza elevata in questa contea la sera del 3 novembre significherebbe che Trump è stato in grado di riportare ai seggi la sua base elettorale: i primi risultati parziali provenienti dalla contea di Erie saranno dunque da tenere d’occhio per valutare se gli elettori della Rust Belt sono rimasti fedeli al messaggio protezionista del Presidente.

Da tenere d’occhio sarà anche l’affluenza nei distretti che circondando la città di Erie, la capitale della contea, i quali nel 2016 votarono per Hillary Clinton. Uno dei problemi principali della candidata democratica fu proprio quello dell’affluenza nelle grandi città e nei sobborghi del Midwest, dove l’elettorato è più eterogeneo rispetto alle zone rurali. Il 17% della città di Erie è composto da cittadini afroamericani, ed il 37% di questi vive sotto la soglia di povertà: quattro anni fa molti di questi elettori non votarono perché pensavano fosse scontata una vittoria democratica o perché non entusiasmava la candidata scelta dal partito. Quest’anno, secondo i sondaggi, gli elettori afroamericani preferiscono Joe Biden con un margine di circa 80 punti.

Nel 2016, nello stato dell’Ohio, Hillary Clinton vinse la contea del Cuyahoga – dov’è situata la città di Cleveland – con 50 mila voti in meno rispetto a quelli guadagnati da Obama nel 2012. Stesso discorso per Detroit nel Michigan, dove ci furono 60 mila voti in meno, e per Milwaukee nel Wisconsin, dove ci furono 51 mila voti in meno e Trump vinse lo stato per soli 23 mila voti. Un’affluenza elevata la sera del 3 novembre nei distretti che circondando la città di Erie significherebbe dunque che Joe Biden è stato in grado di portare ai seggi gli elettori che sono rimasti a casa nel 2016. I dati poi ci diranno se questo sarà bastato per sovrastare l’ondata rossa proveniente dalle zone rurali della Pennsylvania e del Midwest in generale.

Nella contea di Erie hanno già dichiarato che incominceranno a contare gli absentee ballots solo dopo aver finito con gli scrutini dell’election day. Dato che più repubblicani voteranno nell’election day rispetto ai democratici, sarà ancora più importante vedere se ci sarà un’affluenza significativa nei distretti rurali la sera del 3 novembre, mentre un’affluenza più bassa nei distretti intorno alla città di Erie potrà essere ribaltata dagli absentee ballots che incominceranno ad essere contati con ogni probabilità mercoledì.

Ecco dunque che nell’incertezza che avvolgerà la notte del 3 novembre, in attesa dello scrutinio delle schede e dei voti per posta potremo guardare questa piccola contea nel nord-ovest della Pennsylvania per avere qualche indizio su chi potrebbe occupare lo Studio Ovale per i prossimi quattro anni.    

Andrea Arletti

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